domenica 16 novembre 2025

La necessità di una nuova stagione politica

Cosa è la sinistra, cosa è la destra? Cantava Giorgio Gaber.

E la sue domande sono più che mai attuali, constatando che ormai ogni elezione non viene vinta dalla sinistra o dalla destra, bensì - e quasi sempre con maggioranza assoluta - dall'astensione.

L'evidente segnale di crisi di questa fase della democrazia liberale, riduce ogni competizione elettorale a una specie di gioco, dove pochissime persone cercano di conquistare posizioni di prestigio. Una volta raggiunto l'obiettivo, i fortunati - nel caso di parlamentari e consiglieri regionali - ricevono stipendi e privilegi da capogiro che li innalzano talmente tanto rispetto alla situazione ordinaria delle famiglie, da far dimenticare in pochi istanti la propria precedente condizione. O anche no, dal momento che una buona parte dei prescelti arriva alla cosiddetta politica attiva avendo già in tasca emolumenti astronomici.

A parte questo, la disaffezione al voto ha radici profonde. 

C'è chi, consapevolmente, non si ritiene rappresentato da nessuno dei protagonisti del teatrino e spera che un maggior impegno nella società civile possa contribuire a migliorare la situazione. Si ritiene - spesso a ragione - che un'eroica dedizione al bene e ai beni comuni, possa essere realizzata più fuori che dentro le tradizionali istituzioni della democrazia rappresentativa. Ma anche qua ci si riferisce a una sparuta minoranza di persone, particolarmente sensibile alla crescita complessiva dela società.

La stragrande maggioranza dei cittadini, in realtà, non sembra avere una specifica idea politica. O meglio, l'ideale è quello di "stare in pace", di salvaguardare quello status grazie al quale si può trascorrere una normale esistenza, senza scossoni e soprattutto "in sicurezza". Forse un 20% degli italiani combatte con convinzione per un valore rappresentato dalle attuali cosiddette "destra" e "sinistra". Tutti gli altri - votanti o non votanti - si affidano al caso, i primi facendo finta di credere alle promesse delle campagne elettorali, i secondi affidandosi alla sorte. In nome di questa pretesa "sicurezza", nel ventennio ci si è affidati a chi ha trascinato l'Italia alla dittatura e alla catastrofe, poi si è accettato per quarant'anni l'ingessamento del potere democristiano e ora il tracimante berlusconismo filoatlantico.

"Meglio così che peggio" - sembra affermare, un po' sconsolato, il cittadino che vorrebbe starsene tranquillo, con un discreto lavoro, qualche spicciolo per farsi una vacanza e il desiderio di godersi la famiglia. Mentre lui pensa così, grandi ombre si stendono sul mondo. Sente ancora lontana l'eco dei bombardamenti, non vede il sangue dei genocidi se non nelle effimere immagini della tv, ha paura del radicale cambiamento culturale che sta accadendo sotto i suoi occhi e fa finta di credere che il governo di turno sappia difenderlo.

Come scuotere un simile rammollimento, indotto prima dall'esplosione del fenomeno delle televisioni private, poi anche dall'uso spregiudicato e fondamentalmente incontrollabile delle tecnologie informatiche?

Forse una strada - con risultati non a brevissimo, ma almeno a medio tempo - potrebbe essere quello del recupero di una sorta di "serietà antropologica". Agli ignobili e imbarazzanti balletti della premier, ma anche a quelli della cosiddetta opposizione, occorre sostituire un ritorno delle idee e della cultura, come fondamento di ogni azione sociale e politica. Alle chiusure mentali di chi quando giunge al governo si inchina senza pudore alle mire di Potere dei capetti di un'Unione europea dimentica del manifesto di Ventotene e del padrino che abita la Casa Bianca, è necessario sostituire un efficace, concreto programma. Esso deve essere in grado di mettere al centro degli interessi - in realtà e non a parole - la persona, nel contesto sociale e ambientale in cui vive. E perché ciò si possa realizzare, deve urgentemente ritrovare il proprio posto la grande assente dal dibattito sul Potere, ovvero una Filosofia capace di proporre una nuova sintesi globale, impregnata delle sue acquisizioni raccolte nel cosiddetti Oriente e Occidente, come pure nel Nord e nel Sud del mondo.

In altre parole, mutatis mutandis, si deve recuperare ciò che c'è stato di buono nelle prospettive dell'Ottocento quando, analizzando la crescita del Capitalismo, se ne erano individuati i limiti e i pericoli. L'idea di uguaglianza nella dignità di ogni essere umano, l'internazionalismo contro ogni sovranismo, la prospettiva della fine di tutte le guerre attraverso il superamento delle terribili ingiustizie sociali che attanagliano tuttora il mondo, la libera circolazione delle persone prima di quella delle merci, il dialogo e l'incontro tra le diverse religioni e concezioni della vita, il rispetto per l'ambiente vitale nell'epoca del riscaldamento globale, la politica con la P maiuscola intesa esclusivamente come servizio e non come volano per imporre i propri interessi... Tutto questo, può ancora essere ripreso e riproposto, accompagnato dalla costruzione di un diritto condiviso, garantito dalle grandi linee della nostra bella Costituzione? 

La democrazia rappresentativa può ancora essere il terreno sopra il quale costruire questa reale alternativa allo "spettacolo" attuale? E' difficile dare una risposta a questa domanda. Forse si può dire un timido sì. Si tratta di coniugare l'invito alla scelta di partiti e personaggi capaci di interpretare questi grandi obiettivi con l'accoglienza della voce potente che giunge dalle sempre più numerose manifestazioni di base che a livello mondiale stanno invocando la pace, il rispetto dei diritti, la salvaguardia della Natura.

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