Le numerose fotografie e i documenti presentati aiutano a immergersi, con un brivido di emozione, negli avvenimenti. Le delegazioni, scelte nei rispettivi convegni svolti nelle città momentaneamente libere, giungono a Jajce a piedi, percorrendo centinaia di chilometri, affrontando la neve e le altre intemperie. Donne e uomini portano un desiderio si pace, giustizia e libertà, ma anche di unità e fraternità tra popoli diversi e culture differenti. Arrivano dalla Slovenia, dalla Serbia, dal Montenegro, dalla Croazia, ovviamente dalla Bosnia. Solo il gruppo dalla Macedonia non raggiunge la meta, bloccato dai tedeschi.
Qui, coordinati da Josip Broz Tito, immaginano la nuova Jugoslavija, uno stato federale suddiviso in sei repubbliche dotate di una certa autonomia. L'obiettivo della Liberazione si accompagna a quello della valorizzazione delle specificità. Ci sono comunisti e socialisti, cattolici, ortodossi e musulmani, credenti e non credenti, lavoratrici e lavoratori in ogni campo della vita umana. Impegnati in una guerra con forze impari rispetto ai potenti apparati militari degli occupatori, trovano in questo loro incontro un'immensa energia e un grande entusiasmo per riprendere la lotta, uniti fino alla vittoria, con l'aiuto, sia pur limitato, dei sovietici, degli americani e dei britannici. Le scritte originali, solo rinfrescate sui muri della sala, riportano la gratitudine nei confronti di chi ha espresso concreta vicinanza e sintetizzano questo afflato con le parole "morte al fascismo libertà ai popoli".
Insomma, in questo salone di Jajce, il 29 novembre 1943 è nato il sogno di un sistema politico non legato ad appartenenze etniche o ad assolutismi ideologici o religiosi, ma fondato sull'unità nel riconoscimento delle diversità. Se poi la divisione in diverse realtà confederate abbia funzionato e se abbia effettivamente consentito un'epoca di vera pace e piena libertà, è oggetto di interpretazione storica e giudizio politico. Certo, il ricordo delle imprese partigiane ma anche dei relativamente lunghi tempi "in cui c'era Tito" è ancora forte in tanti cittadini della ex Jugoslavija. Sì, anche perché dopo la morte del Presidente il sogno si è trasformato in un incubo, soprattutto proprio in Bosnia, dive ogni paese ricorda con monumenti rigorosamente separati le decine di migliaia di vittime della disgregazione provocata dalle guerre balcaniche degli anni '90.
Jajce è anche tanto altro. La famosa cascata che sembra fuoriuscire dalla città rispecchia un'antica fortezza, un mitreo del IV secolo testimonia la presenza di soldati dall'oriente e da Roma, i fiumi e i laghi da essi formati consentono giornate estive gioiose e rinfrescanti. Ma il pensiero che rimugina dentro, lasciandola alle spalle, corre soprattutto ai volti severi e appassionati dei partigiani riuniti in quella sala, al loro desiderio di costruire un futuro, alla consapevolezza di scrivere la storia del dopoguerra. È andata proprio come avrebbero desiderato? Il sacrificio di tante vite ha realizzato l'immenso sogno di un sistema politico ed economico alternativo al capitalismo? La Jugoslavija"non allineata", quanto ha concretizzato delle speranze immense di quel giorno? Non è certo questo lo spazio per rispondere, per il momento basta lasciarsi coinvolgere dalle domande e comunque dalla gratitudine per chi, ovunque, ha lottato e continua a lottare contro ogni tirannide che soffoca il mondo.
Nessun commento:
Posta un commento