venerdì 21 luglio 2023

In viaggio (1)

Velika Kladuśa 
Il filo spinato sul fiume Kolpa, anche se un po' accantonato sulle sponde del ponte, ricorda che il confine tra Slovenia e Croazia è stato fino a quest'anno quello di Schengen. Poco dopo un altro fiume dal nome simpatico -Dobra- con un bel ponte arcuato di inizio '700, rallegra la vista in attesa di raggiungere la nuova frontiera.

In effetti ci si accorge ben presto di essere in un punto di passaggio. A Maljevac c'è una lunga coda di auto, più di mezz'ora per poche manciate di macchine. E Velika Kladuśa, in realtà, dopo un chilometro parla più o meno la stessa lingua, ma racconta tante culture e una religione maggioritaria diversa. È il punto più a nord nei Balcani della diffusione di un Islam, qui non certo integralista o impositivo. Si lascia alle spalle l'Unione europea ma non si abbandona l'Europa, quella dei differenti popoli e nazioni, della quale l'Unione è soltanto una parte.

Purtroppo questo confine non permette di "condividere i fini" e per molti versi segna una distanza quasi incolmabile tra il Nord e il Sud del mondo. Qui fino a poco tempo fa esisteva un grande campo profughi, dal quale ogni notte partivano i game, i drammatici tentativi di migliaia di persone in fuga da guerra fame e persecuzioni. Finivano quasi sempre male, con il respingimento in Bosnia a suon di percosse e insulti. Ora ci sono solo campi incolti e la rotta balcanica sembra essere stata spostata altrove. Forse la Croazia, divenuta il limite sud di Schengen, non si può permettere di impedire con la forza gli ingressi e tramite le organizzazioni internazionali i campi di "accoglienza" sono stati trasferiti lontano dal confine. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, prosegue la vita difficile delle schiere il cui desiderio è quello di sopravvivere, in Italia in Germania ovunque possibile. Decine di persone sostavano l'altra notte alla Casa Rossa di Gorizia, riparate da un minuscolo davanzale mentre imperversava la bufera.

Nel baretto ostello dove in passato un uomo generoso offriva qualcosa da mangiare ai profughi, stanno seduti una decina di giovani. Sono molto simpatici, offrono un buon caffè e sorridono. Dicono di venire dal Kurdistan iracheno, "dove si vive molto bene". Sono a Velika Kladuśa perché attendono il visto turistico e "vogliono visitare l'Italia", soprattutto Roma, l'unica città che conoscono. "Siamo turisti e non vediamo l'ora di goderci le meraviglie del tuo Paese!". Dietro la divertita accoglienza e gli occhi dallo sguardo profondo, si può intuire la diffidenza e il timore. Un tempo il dolore veniva ostentato come un grido di aiuto, ora è tenuto dentro, non si sa mai con chi tu stia parlando, un poliziotto, un giornalista poco incline alla multiculturalità, un agente segreto... Meglio offrire un caffè e una risata e salutarsi cordialmente. "Ci si vede in Italia" o "forse anche in Iraq".

Scorrono i chilometri nella verde Bosnia e dopo vari saliscendi si arriva a Jajce, la città costruita sulla cascata. Qui, il 29 novembre 1943, è nata l'idea della nuova Jugoslavija. Ma questo è un altro capitolo della storia mondiale, come pure di questo breve resoconto.

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