venerdì 11 dicembre 2020

Ferdinando Laurenti, un piccolo grande Uomo

 

E' stato sepolto ieri nel cimitero della sua amata Bagnarola Fernando Laurenti, semplicemente "un uomo". Vorrei ricordare la sua vita extra-ordinaria, cioè letteralmente fuori dall'ordinario. E' stato un amico più fedele di quanto io non sia stato per lui, ma sono certo che - in modo misterioso ma reale - continuiamo a camminare insieme. Da poche persone nella mia vita ho imparato tanto e nella famiglia che gli ha dato l'unica "Casa" della sua esistenza ho visto il rarissimo miracolo dell'autentica Fraternità. Abbiamo scritto insieme le parole che seguono, alcuni anni fa.  Dovevano essere l'inizio di un libro, nel quale raccontare una storia di tanto buio e di immensa luce, di tristezza e di gioia, di solitudine e amicizia. Sono rimaste invece solo l'introduzione a una trasmissione radiofonica su RadioRai dove Fernando - così l'ho sempre chiamato - si è raccontato suscitando le lacrime e il sorriso anche della brava regista e dei tecnici di studio.

“In questo momento per la prima volta apro la porta di un appartamento con una chiave mia”. E’ il 17 novembre 2003, Ferdinando ha più di sessant’anni gran parte dei quali trascorsi senza una residenza fissa, istituti per orfani, panchine, istituti di pena, treni, prigioni…

Il suo primo ricordo è una stanza d’ospedale, un letto sul quale la madre moriva urlando di dolore e stringendogli con veemenza la mano… Poi la divisione dalle sorelle più grandi e la partenza per il primo orfanotrofio, poi i trasferimenti di casa in casa, Veneto, Toscana, Lazio, fino al ritorno nel natìo Polesine: frati, suore, buone dame di compagnie, giochi poco innocenti, punizioni esemplari, miscela esplosiva di rancore, sorda gratitudine e paure…

E venne il compimento del fatidico sedicesimo anno, fine della permanenza garantita: Ferdinando esce dalla sua casa con il classico sacchetto sulle spalle, un cambio di vestiti, i soldi per un panino e la raccomandazione di rigare dritto. Sì, ma dove andare?

I primi giorni della nuova vita trascorrono su una panchina in un parco comunale, come stanza da bagno il pubblico wc e – primo di una lunga serie di periodi - come tetto la volta stellata. Tra chi lo vede c’è chi fa finta di niente, chi avvisa impotenti forze dell’ordine, chi si scandalizza per il degrado della città. Passano due o tre giorni e poi su quella panchina si siede un signore elegante e gentile, che lo affronta con una domanda precisa: “Vuoi lavorare per me?”

La fame e la necessità di avere in tasca qualche lira hanno contribuito in modo decisivo a dare inizio così a una lunga carriera: piccoli negozi, poi più grandi esercizi commerciali, poi qualche banca… Fino al primo arresto e a quello che una volta veniva definito “manicomio criminale”. Soltanto le parole del protagonista possono comunicare una minima idea di ciò che poteva significare per un ragazzo di vent’anni vivere legati ad un letto, fatti vittime dei più incredibili soprusi.

Dopo il più massacrante periodo tra le case di pena, i momenti di libertà, senza denaro, senza prospettive e senza sostegni: nell’Italia di quegli anni la vita per un uomo che non rientra tra le categorie a rischio di alcoolismo o tossicodipendenza è molto dura, sembra non sia contemplata la possibilità di strade riabilitative dedicate a chi – per un motivo o per l’altro – si è trovato a imboccare vicoli ciechi. In una girandola di incontri – affaristi senza scrupoli, benpensanti da spennare, pingui preti alla ricerca di emozioni a buon mercato, ragazzi fuggiti di casa da istruire sui trucchi e sui rischi di un’esistenza vissuta nelle carrozze delle ferrovie – Ferdinando impara a conoscere l’essere umano nel profondo.

Per periodi più o meno brevi paga il prezzo di una vita raminga sperimentando la residenza in quasi tutte le prigioni italiane, conosce dal di dentro brani importanti della complessa recente storia nazionale; nel periodo degli anni di piombo è vittima di clamorosi errori giudiziari giungendo a provare la stretta al cuore che si produce quando il giudice pronuncia la parola “ergastolo”; con la sua selvatica saggezza e la fuga sistematica in un silenzio introverso diventa autorevole fra i suoi compagni di cella procurandosi amicizie e  protezioni utili alla sopravvivenza nella giungla di relazioni umane fragili quanto il vetro più sottile.

L’ultimo nemico, quello da cui è più difficile fuggire, è la propria coscienza a tratti stanca di lottare: le mura delle case di detenzione sono sempre troppo alte, le umiliazioni ricevute da capi disumani sono troppo frequenti cosicché l gambe si spezzano, le braccia si coprono di tagli, i polmoni respirano aria poco pura. E la disperazione si avvicina, nascosta tra le pieghe di un indomito desiderio di autentica libertà.

Passano gli anni e si avvicina il tempo che per molti coincide con la pensione; contemplando il cielo stellato sdraiato sulla pietra lungo la passeggiata delle mura di Lucca, Ferdinando si domanda inquieto a cosa sta andando incontro, come potrà andare avanti ancora nella sua fuga senza fine, dove trovare i mezzi per poter almeno mangiare. Ancora una volta un uomo gli va vicino, lo risveglia dal torpore; è ben vestito ed elegante, gli dice di non averlo mai visto in quel luogo… Colpito dal portamento della persona non si accorge dell’abbassamento del livello di guardia e per la prima volta Ferdinando si racconta, quasi piangendo, come un figlio che si rifugia tra le braccia di un genitore che credeva scomparso. L’uomo lo saluta con sobria gentilezza e scompare come era arrivato, come risucchiato dalle mura di Lucca. Ferdinando si addormenta felice ed al risveglio da un sonno finalmente profondo trova nella sua tasca una busta con tanti soldi, sufficienti a risolvere il problema del cibo e a consentire di rimettersi in strada. Prima di andarsene vuole ringraziare il suo benefattore, chiede informazioni ma nessuno sa dire chi sia: molti ne avevano sentito parlare come dell’”angelo delle mura”, ma alcuni ritenevano fosse una leggenda metropolitana, altri un misterioso Robin Hood che rubava ai ricchi e restituiva ai miseri, alcuni ancora un ricco eccentrico che ogni tanto regalava una sua notte in albergo al primo povero che incontrava.

Con il contenuto di quella busta raggiunge la Lombardia dove uno dei tanti compagni occasionali di cammino gli offre la possibilità di mettere a frutto una delle sue migliori qualità; fa il cuoco in una casa di riposo fino all’ennesimo scontro con i responsabili e all’inevitabile allontanamento. Ma ormai la sorte sembra aver cambiato il proprio orientamento e con l’espulsione da quell’ennesimo istituto si materializza la proposta di trascorrere un mese in una casa-famiglia di Cordovado: un bellissimo podere bagnato dalla Fontana di Venchiaredo (quella cantata da Ippolito Nievo) dove la legge della convivenza è l’accoglienza illimitata e la faticosa valorizzazione della dignità specifica di ogni persona umana.

Siamo nella primavera del 1998; la stanza laboratorio sul retro della grande casa colonica diventa il quartier generale di una nuova fase esistenziale: per la prima volta qualcuno cerca di aiutare Ferdinando che con il sistema delle borse lavoro si impegna in diversi campi, dalla custodia del cimitero all’aiuto in cucina, dalla pulizia nei bar all’arrotondamento degli spigoli nella vetreria. Un percorso di riabilitazione difficile, caratterizzato da esplosioni di rabbia, fughe incontrollabili, incredibili arresti per pene già precedentemente scontate, perfino il destino dell’omonimia con un ladruncolo della zona...

Cammino difficile, ma non impossibile, se è vero che si conclude cinque anni dopo, con l’assegnazione di un appartamento dell’edilizia popolare. La storia non finisce con un “visse felice e contento”: il carattere temprato da decenni di diffidenza e di paura deve fare i conti con le quotidiane costrizioni dell’ordinarietà; resta tuttavia la dimostrazione che un altro mondo è possibile, anche qui e ora, anche per un uomo relativamente avanti con gli anni che ha avuto la forza di cercare e la fortuna di trovare il bandolo della matassa esistenziale.

2 commenti:

  1. Ho conosciuto bene Nando tutto quello che ho letto in questa bella lettera corrisponde a tutte verità ... Ha insegnato ha chi ha voluto ascoltarlo .... Ciao Nando sono contento che tu sia sepolto a Bagnarola una visita alla domenica ce l'avrai

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