martedì 4 marzo 2025

No al riarmo dell'Europa!

 

L'accelerazione degli eventi ha rivelato ancora una volta l'inconsistenza di una democrazia rappresentativa nella quale i partiti sono stati deprivati della loro componente ideologica.

Nel momento in cui ci si trova costretti a discutere e deliberare, non su problematiche tutto sommato marginali, ma su questioni fondamentali per il futuro dell'Italia, dell'Europa e del Mondo, gli schieramenti si dividono radicalmente. 

Come recentemente accaduto in occasione delle vicende legate al Covid, anche il tema della guerra in Ucraina e del genocidio del popolo palestinese a Gaza e in Cisgiordania, le posizioni si polarizzano intersecando la cosiddetta sinistra e la cosiddetta destra. Ciò accade mentre si avverte più che mai la necessità di un rifiuto convinto del riarmo dell'Europa e della riproposizione urgente e concreta della Cultura della relazione e del dialogo.

Nello schieramento governativo la divisione è assai netta. Il partito Fratelli d'Italia, con la presidente del Consiglio sull'orlo di una crisi di nervi, appoggia Zelensky, non vuole rompere le da lei presunte buone relazioni con Trump e Musk e nello stesso tempo, pur facendo l'occhiolino a Orban, pretende di contare qualcosa sul fragile barcollante tavolo dell'Unione europea. Forza Italia, con il ministro degli esteri, cerca di conciliare il tradizionale atlantismo berlusconiano con la necessità di non rompere con gli europei, rimanendo più possibile defilato per non dover prendere posizioni troppo precise. Queste ultime sono invece appannaggio della Lega, che con il vicepremier si schiera apertamente dalla parte di Trump contro Zelensky, non disdegnando neppure un trattamento di favore addirittura a Putin. In questo settore, da nessuno viene messo in discussione l'appoggio incondizionato a Netanyahu, decisamente negato invece dall'ala estrema della destra che sostiene senza se e senza ma le ragioni della Palestina libera.

Anche nel gruppo dell'opposizione governativa, le posizioni sono assai diversificate. Il Partito Democratico esprime le sue tradizionali diverse anime. Una parte difende a spada tratta le Ragioni dell'Ucraina, cercando di portarla alla vittoria anche con l'invio di soldati e accusando chiunque abbia dei dubbi di fascismo filoputinista; un'altra parte più prudentemente sostiene la triste necessità dell'invio delle armi, ma nega il coinvolgimento del personale militare; un'altra ancora, rappresentata soprattutto dalla segretaria Schlein, riesce a dire tutto e il contrario di tutto, dichiarandosi contro il proseguimento della guerra senza per questo negare la necessità dell'invio delle armi. Del tutto opposta è la visione del Movimento 5 Stelle, passata dalla sofferta vicinanza alla proposta dell'invio delle armi, legata alla partecipazione al governo Draghi a una decisa contrarietà, supportata dalla convinzione della priorità assoluta data dalla fine della guerra. Più chiara Alleanza Verdi e Sinistra, dall'inizio contro l'invio delle armi, così come la Sinistra non rappresentata in Parlamento, alleate - si fa per dire - con il povero Papa Francesco, la cui voce è indebolita dalla malattia, nel rivendicare come le uniche vie possibili di soluzione siano la trattativa, il negoziato e la diplomazia. Per quanto concerne la situazione in Medio Oriente, si ondeggia tra la condanna da parte del pd e del centro sinistra nei confronti degli uni e degli altri accompagnata dal principio dei due Stati e il sostegno pieno - da parte delle componenti della Sinistra ma anche di buona parte del Movimento 5 Stelle - dell'obiettivo previo di Free Palestine.

Ma se si dovesse votare, che cosa accadrebbe? Probabilmente si formerebbero alleanze inedite trasversali che porterebbero purtroppo l'Italia ad accodarsi pedissequamente agli interessi europei o a quelli statunitensi. Molto difficilmente tutte queste divisioni riuscirebbero a consentire una presenza autonoma e originale, in grado di contribuire efficacemente all'unica - sì, unica! - alternativa possibile alla catastrofe planetaria. Né con Putin, né con Zelensky, né con Trump, né con von der Leyen, ma con un'Europa costruttrice di pace, di giustizia, nella nonviolenza attiva.

domenica 2 marzo 2025

Una Chiesa da ricostruire, sul fondamento delle sue origini

 

L'Aquila, la cattedrale durante la ristrutturazione (estate 2024)
Mentre si è vicini con il pensiero o con la preghiera a papa Francesco che sta affrontando la prova della malattia al Gemelli, la Chiesa cattolica si interroga sul proprio futuro. Ciò accade mentre anche il genere umano sta attraversando uno dei suoi ricorrenti difficili momenti. C'è il rischio, non troppo velato, di una deriva catastrofica non solo per coloro che già sono coinvolti in tante guerre e genocidi, ma per tutti.

In realtà c'è un nesso tra la sofferenza del pontefice e la drammatica ora del Pianeta. Quella di Bergoglio è stata infatti l'unica voce - tra quelle molto autorevoli - contraria alla narrazione guerrafondaia che da anni sta dominando il villaggio globale. L'affievolirsi dei suoi richiami all'intelligenza umana, alla diplomazia e al negoziato corrisponde all'indebolirsi di quella forza di speranza che è l'essenza del messaggio del Giubileo del 2025.

Quello che Francesco ha fatto capire è che quanto la Chiesa cattolica abbia bisogno di una riforma radicale, di una vera e propria ricostruzione sulla base dell'insegnamento e dell'esempio del  suo Fondatore. Per ricordare soltanto alcuni dei suoi richiami, è interessante paragonarli a quelli espressi dai suoi immediati predecessori. Se per Ratzinger era fondamentale l'affermazione della Verità filosofica e teologica, sulla linea del tradizionale aristotelismo tomista, per Bergoglio il primato spetta alla cura della persona e del creato, sulla scia degli innovativi percorsi della teologia della Liberazione. Se per il primo occorre essere fedeli ai "principi etici non negoziabili", per il secondo prevale la raccomandazione del non giudizio e dell'accoglienza dell'altro. Se Benedetto XVI contrastava il relativismo ideologico e dei costumi, Francesco contesta l'assolutismo di ogni Potere umano che genera guerra, persecuzione e fame. Se il pontefice tedesco vedeva i processi migratori come un possibile attentato alle "radici cristiane dell'Europa", quello argentino non ha mai smesso di contemplare il dolore dei migranti e di pretendere - quasi sempre inascoltato - il riconoscimento dell'universale fraternità e sororità, con il fattivo appello all'accoglienza permanente. Se Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ribadito la centralità e l'unicità della Chiesa Cattolica come via per raggiungere la salvezza, Francesco nel suo viaggio in Indonesia è giunto ad affermare che "tutte le religioni sono delle vie per arrivare a Dio". 

Dal punto di vista teorico, sono dei cambiamenti di orizzonte molto significativi, corroborati anche dagli atteggiamenti personali. Il suo agire sobrio e simpatetico vuole far percepire quello del Papa come un ruolo che non pone la persona al di sopra degli altri, ma al contrario al servizio di tutti, come peraltro esplicitamente insegnato dallo stesso Gesù di Nazareth. "Chi vuole essere il primo, sia l'ultimo e il servo di tutti".

Ciò che Francesco non ha realizzato - probabilmente per un'oculata scelta prudenziale - è stata la trasformazione delle sue parole e dei suoi atteggiamenti in normativa canonica, in scelte destinate a influire sul futuro della Chiesa e del Mondo. La teologia dogmatica e il codice di diritto canonico non hanno compiuto passi significativi oltre al dettato dell'ormai sessantenne Concilio Vaticano II. Papa Bergoglio ha ritenuto evidentemente più urgente segnalare la necessità di intraprendere una nuova strada, piuttosto che adeguare strutture e mezzi in modo da mettersi immediatamente in cammino. Forse per questo ha rinnovato quasi completamente il collegio cardinalizio, pensando che da un futuro Conclave possa emergere il nome di un nuovo papa in grado di dare forma stabile alle sue intuizioni.

Chi verrà dopo di lui non avrà certo un compito facile. Si troverà davanti alla drammatica scelta che Francesco ha evitato di compiere. Dovrà misurarsi con una crescente opposizione di "destra" che già in questi ultimi anni ha minacciato lo scisma, in caso di fissazione di regole non corrispondenti alla presunta "Tradizione" della Chiesa. Ma dovrà tenere conto anche della maggior forza della "sinistra" che vorrebbe decisioni coraggiose portatrici di una vera Riforma generale, forse addirittura la fine della "cattolicità", in vista di un cristianesimo federale, condiviso con le altre confessioni cristiane e aperto al dialogo senza confini con le altre religioni e con l'ateismo moderno.

Come reggere un simile obiettivo, tanto più tenendo conto dell'urgenza di un tempo che richiede la capacità di risposte immediate a problemi impellenti? Come non cedere alla venefica tentazione di chiudersi negli angusti confini del Vaticano, senza partecipare all'attuale, decisivo momento della storia dell'Uomo e del Mondo?

Una sola previsione è possibile: il primo atto del nuovo Vescovo di Roma  non potrà essere che l'annuncio e poi la celebrazione del XXII Concilio Ecumenico, con la partecipazione delle altre chiese cristiane, degli osservatori delle altre religioni e concezioni della vita. Solo una gigantesca assise planetaria potrebbe offrire quell'autorità e quell'autorevolezza necessarie per intraprendere la più grande Riforma della Chiesa dai tempi di Lutero fino ai nostri.

sabato 1 marzo 2025

Verso la fine della guerra In Ucraina?

 

Nell'effimero mondo delle news a effetto, questo sabato ha visto sparire dall'orizzonte il genocidio di Gaza e le pulizie etniche perpetuate da Israele in Cisgiordania, la paura dei dazi astronomici, le manifestazioni di piazza promosse dai giovani in Serbia, in Grecia e altrove (peraltro in generale già quasi del tutto oscurate dai media italici), la salute di papa Francesco...

Di cosa tutti parliamo, schierandoci radicalmente divisi, con posizioni dirompenti che attraversano gli schieramenti di destra e di sinistra?

Di una rude chiacchierata che ha visto confrontarsi due guitti, Zelensky da una parte e Trump dall'altra. Premetto tutta la possibile profonda preoccupazione e antipatia nei confronti del neopresidente americano e l'orrore per le sue posizioni relative al futuro del Medio Oriente e più in generale del mondo. Tuttavia, in questo specifico contesto, nel quale i signori del mondo discutono fra loro come se si trovassero in un reality show, c'è anche da sottolineare qualche nuovo elemento, non si sa bene se foriero di speranza o di angoscia.

Lo scontro è avvenuto intorno alla guerra in Ucraina. Una parte dello stupore deriva dalla trasparenza con la quale Trump ha fatto capire all'interlocutore che la questione è basata esclusivamente sulla tutela degli interessi economici e strategici delle parti. Non c'è più bisogno di mascherare il tutto con richiami all'autodeterminazione delle nazioni o al (purtroppo mai esistito) diritto internazionale. Qui si tratta di vedere, parafrasando il passaggio più impressionante dello scontro, chi ha le carte e chi non le ha. E chi non le ha, non può fare altro che prenderne atto e cercare un cessate il fuoco, prodromo di un accordo che sia il meno penalizzante possibile. Per di più deve tenere conto di tutti gli europei, interessati a fare affari quanto gli americani. Anche essi, dopo aver dilapidato le proprie sostanze per il superstar ucraino, passeranno alla cassa pretendendo anch'essi la restituzione. 

Si capisce la rabbia di coloro che hanno voluto sostenere Zelensky in tutti questi ultimi tre anni, di chi ha voluto che fossero investiti miliardi di dollari e di euro per rendere cronica una guerra che più inutile strage e orrenda carneficina di così non avrebbe potuto essere. Ora arrivano l'emblema del male planetario, il rozzo tycoon  e il suo vice a suggerire niente di più e niente di meno di ciò che hanno detto - essi sì per motivi prioritariamente etici - papa Francesco e gli assertori di un percorso alternativo, fin dal giorno successivo all'intervento russo in Ucraina: l'unica strada possibile per la risoluzione del conflitto erano e continuano a essere la diplomazia e il negoziato. 

Il problema è lo stesso di tre anni fa. Si vuole che questa guerra prosegua all'infinito, senza un'apparente possibilità di conclusione, una voragine che inghiotte ogni giorno centinaia di poveri ragazzi inviati al fronte senza sapere bene perché? Oppure si spera che questa carneficina possa finire, magari grazie all'intervento di un Trump qualsiasi - in altri ambiti iperguerrafondaio - in grado di convincere Zelensky, con la chiusura del rubinetto dei dollari e delle armi, a concordare un immediato cessate il fuoco e a sedersi sul tavolo della diplomazia? Ma in grado di convincere anche il cinico, altrettanto macellaio zar Putin, a sedersi intorno allo stesso tavolo per ridiscutere le proprie mire sulle regioni orientali dell'Ucraina?

Ci si stracci le vesti quanto si vuole, ma le posizioni degli uni e degli altri, stanno tutte nella risposta a questa drammatica domanda.