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L'Aquila, la cattedrale durante la ristrutturazione (estate 2024) |
In realtà c'è un nesso tra la sofferenza del pontefice e la drammatica ora del Pianeta. Quella di Bergoglio è stata infatti l'unica voce - tra quelle molto autorevoli - contraria alla narrazione guerrafondaia che da anni sta dominando il villaggio globale. L'affievolirsi dei suoi richiami all'intelligenza umana, alla diplomazia e al negoziato corrisponde all'indebolirsi di quella forza di speranza che è l'essenza del messaggio del Giubileo del 2025.
Quello che Francesco ha fatto capire è che quanto la Chiesa cattolica abbia bisogno di una riforma radicale, di una vera e propria ricostruzione sulla base dell'insegnamento e dell'esempio del suo Fondatore. Per ricordare soltanto alcuni dei suoi richiami, è interessante paragonarli a quelli espressi dai suoi immediati predecessori. Se per Ratzinger era fondamentale l'affermazione della Verità filosofica e teologica, sulla linea del tradizionale aristotelismo tomista, per Bergoglio il primato spetta alla cura della persona e del creato, sulla scia degli innovativi percorsi della teologia della Liberazione. Se per il primo occorre essere fedeli ai "principi etici non negoziabili", per il secondo prevale la raccomandazione del non giudizio e dell'accoglienza dell'altro. Se Benedetto XVI contrastava il relativismo ideologico e dei costumi, Francesco contesta l'assolutismo di ogni Potere umano che genera guerra, persecuzione e fame. Se il pontefice tedesco vedeva i processi migratori come un possibile attentato alle "radici cristiane dell'Europa", quello argentino non ha mai smesso di contemplare il dolore dei migranti e di pretendere - quasi sempre inascoltato - il riconoscimento dell'universale fraternità e sororità, con il fattivo appello all'accoglienza permanente. Se Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ribadito la centralità e l'unicità della Chiesa Cattolica come via per raggiungere la salvezza, Francesco nel suo viaggio in Indonesia è giunto ad affermare che "tutte le religioni sono delle vie per arrivare a Dio".
Dal punto di vista teorico, sono dei cambiamenti di orizzonte molto significativi, corroborati anche dagli atteggiamenti personali. Il suo agire sobrio e simpatetico vuole far percepire quello del Papa come un ruolo che non pone la persona al di sopra degli altri, ma al contrario al servizio di tutti, come peraltro esplicitamente insegnato dallo stesso Gesù di Nazareth. "Chi vuole essere il primo, sia l'ultimo e il servo di tutti".
Ciò che Francesco non ha realizzato - probabilmente per un'oculata scelta prudenziale - è stata la trasformazione delle sue parole e dei suoi atteggiamenti in normativa canonica, in scelte destinate a influire sul futuro della Chiesa e del Mondo. La teologia dogmatica e il codice di diritto canonico non hanno compiuto passi significativi oltre al dettato dell'ormai sessantenne Concilio Vaticano II. Papa Bergoglio ha ritenuto evidentemente più urgente segnalare la necessità di intraprendere una nuova strada, piuttosto che adeguare strutture e mezzi in modo da mettersi immediatamente in cammino. Forse per questo ha rinnovato quasi completamente il collegio cardinalizio, pensando che da un futuro Conclave possa emergere il nome di un nuovo papa in grado di dare forma stabile alle sue intuizioni.
Chi verrà dopo di lui non avrà certo un compito facile. Si troverà davanti alla drammatica scelta che Francesco ha evitato di compiere. Dovrà misurarsi con una crescente opposizione di "destra" che già in questi ultimi anni ha minacciato lo scisma, in caso di fissazione di regole non corrispondenti alla presunta "Tradizione" della Chiesa. Ma dovrà tenere conto anche della maggior forza della "sinistra" che vorrebbe decisioni coraggiose portatrici di una vera Riforma generale, forse addirittura la fine della "cattolicità", in vista di un cristianesimo federale, condiviso con le altre confessioni cristiane e aperto al dialogo senza confini con le altre religioni e con l'ateismo moderno.
Come reggere un simile obiettivo, tanto più tenendo conto dell'urgenza di un tempo che richiede la capacità di risposte immediate a problemi impellenti? Come non cedere alla venefica tentazione di chiudersi negli angusti confini del Vaticano, senza partecipare all'attuale, decisivo momento della storia dell'Uomo e del Mondo?
Una sola previsione è possibile: il primo atto del nuovo Vescovo di Roma non potrà essere che l'annuncio e poi la celebrazione del XXII Concilio Ecumenico, con la partecipazione delle altre chiese cristiane, degli osservatori delle altre religioni e concezioni della vita. Solo una gigantesca assise planetaria potrebbe offrire quell'autorità e quell'autorevolezza necessarie per intraprendere la più grande Riforma della Chiesa dai tempi di Lutero fino ai nostri.
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