lunedì 29 maggio 2023

Norgay e Hillary sull'Everest, esattamente 70 anni fa!

 

Il 29 maggio 1953, lo sherpa nepalese Tenzing Norgay e l'alpinista neozelandese Edmund Hillary raggiunsero la cima dell'Everest, il tetto del mondo con i suoi 8848 metri.

Furono molti a tentare prima di loro e gran parte di essi si fermarono prima, alle soglie della quota fatidica oltre la quale la rarefazione dell'aria rende quasi impossibile la respirazione. Tanti morirono, vinti dal gelo, dalla mancanza d'ossigeno o dalle difficoltà tecniche del percorso. Tra essi è indispensabile ricordare Andrew Irvine e George Mallory, i quali nel 1924 provarono a raggiungere la vetta. Secondo alcuni ci riuscirono, ma non fu possibile in alcun modo provare la riuscita della loro impresa, in quanto i due sparirono e i loro corpi furono ritrovati, uno ai piedi di uno strapiombo l'altro - appena nel 1999 - poco sopra quota 8000. 

70 anni fa quella di Norgay e Hillary fu considerata una delle più straordinarie imprese della storia, considerata quasi impossibile. Oggi, grazie o a causa dell'affinamento delle tecniche e soprattutto del lavoro pazzesco di centinaia di sherpa nepalesi che attrezzano i percorsi nei tratti più difficili, la salita all'Everest è diventata una meta turistica per danarosi avventurieri di tutto il mondo che vengono pressoché trascinati fino al culmine del loro desiderio. Non che non ci mettano del loro, sono ancora molti coloro che muoiono ogni anno e a giudicare dalle fotografie virali che circolano ovunque, l'attesa di procedere, a 8500 metri, sotto il famoso Hillary step, deve essere davvero snervante. Sono finiti i tempi delle solitarie di Reinold Messner, Neil Zaplotnik e di altri grandi nomi che hanno fatto la storia dell'alpinismo mondiale. Come tutto, anche l'Himalaya fa parte del fenomeno del turismo globale, con tutti i problemi che questo comporta.

Ma perché raggiungere il punto più alto del Pianeta? Cosa spinge un essere umano a rischiare la vita per mettere il piede sulla vetta della montagna più spettacolare? 

Nessuno ha mai messo un piede su queste nevi eterne, il vento fischia con una potenza incredibile, il respiro si fa di momento in momento più affannoso. Il peso dello zaino, unito a quello delle bombole a ossigeno, sembra volermi schiacciare come una lastra di marmo di un quintale sul guscio di una chiocciolina. Il gelo si impadronisce di ogni fibra dell'essere, mentre l'orizzonte si allarga. Ancora un passo, un altro passo, un ultimo passo. Ed ecco, "sopra di noi soltanto il cielo" e dentro di noi un senso di gioia infinita, che riesce a cancellare per un istante la paura del ritorno. La vetta è arrotondata, ma non è ripida, quanto ghiaccio, quante rocce, quanta fatica si sono mescolati per consentire la realizzazione dell'impresa. Ed è subito tempo di scendere, con circospezione, attenti a non lasciarsi trascinare dall'inebriante mal di montagna che genera allucinazioni o dalla voglia di sfidare un buio del giorno che non può che preludere a quello ben più oscuro della morte. Eppure la felicità è incontenibile, Irvine si lancia di corso giù per il pendio, scivola, il suo corpo rimbalza un paio di volte sulla neve prima di sprofondare nell'abisso. Mallory si calma e cerca di riflettere, ma l'angoscia cresce e lo convince e bivaccare, per non seguire il destino dell'amico. Scende per qualche centinaio di metri, si costruisce con le ultime forze una specie di riparo e si addormenta, per sempre, vinto dalla stanchezza e dal terrore. Così verrà recuperato 75 anni dopo, la fine di uno strano mistero. Hillary sa tutto questo e non si lascia ingannare, Tenzing Norgay è uomo di fede e sa come rispettare il "deus" Sagarmatha, come lo chiamano i nepalesi o Chomolungma, come venerato dai tibetani. Riescono pian piano a scendere, ecco il campo sulla spalla sud, a 8000, e poi gli altri, fino a quello base, dove finalmente la festa può cominciare. Non si sa se erano arrivati prima i due inglesi, prima di volare via con il vento. Ma questa volta è certo, l'Everest è stato conquistato. 

Il 29 maggio di 70 anni fa.

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