sabato 6 maggio 2023

6 maggio 1976. Un ricordo personale.

Chi in questo momento - se ha più di 50 anni - non sta pensando a come era e dove era in quel giorno?

Esattamente a quest'ora, 47 anni fa, ero a casa con mio padre e un ospite del Sudan in via Angiolina. Mia madre era a Gradisca, dove stava tenendo una conferenza sul corso del fiume Isonzo/Soča. All'improvviso, il finimondo. Ricordo distintamente l'armadio che si muoveva come spinto da una forza immane, i lampadari impazziti. Fu un minuto che spezzò mille vite nell'alto Friuli, che trasformò un'intera regione e che cambiò per sempre le nostre esistenze. Scendemmo in strada, mentre l'amico africano continuava a mangiare tranquillamente rimanendo in casa ritenendo - come cui disse dopo - che se era destino morire in quella sera, tanto valeva morire senza rinunciare alla cena. Le notti successive, per precauzione, furono in roulotte, anche per non sentire il rumore sinistro prodotto dai muri in movimento sotto la pressione delle scosse di assestamento. 

Solo la mattina dopo, andando a scuola - al Liceo, dove era caduto un camino e le lezioni erano state sospese - ci si accorse della tragedia avvenuta a qualche decina di chilometri di distanza. Un compagno di studi già patentato ci propose di andare su, "a dare una mano". In prefettura a Udine ci inviarono a Gemona - non esistevano a quei tempi ancora i servizi di Protezione Civile che nacquero proprio da un'intuizione di Zamberletti in quell'occasione. Ad Artegna cominciammo a vedere le case accartocciate su sé stesse e dopo un po' risalimmo a piedi la china per arrivare nel centro dell'antica Gemona. Ci colpirono molto il Duomo devastato - l'avevo visitato una settimana prima, dopo aver scalato al parete Glemina con il corso di roccia del CAI - e le strade coperte di macerie. Ci inviarono a raccogliere i morti tirati fuori dalle case e a portarli nei luoghi di raccolta. Quando c'erano le scosse, vedevamo le case non ancora cadute muoversi come se fossero vive. Non  ci rendevamo conto del pericolo, ci soffocava il pensiero delle vite spezzate, delle famiglie cancellate dalla storia. Ci colpiva la dignità delle persone, l'assenza di lacrime, gli occhi spenti da un momentaneo fatalismo, la paura che serpeggiava tra i viottoli impregnati di fumo. L'esperienza durò poche ore, poi subentrarono l'esercito e i volontari preparati per le emergenze. Ritornammo a casa in assoluto silenzio, con dentro il cuore una preghiera per i morti e perché i sopravvissuti avessero la forza di ricominciare. 

A Gemona avevamo lasciato per sempre il fascino dell'adolescenza.

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