domenica 14 maggio 2023

Aggressori e aggrediti, pensieri su guerra e pace

Begunje, opera di Kalin nel cimitero degli ostaggi
Ogni guerra porta con sé distruzione, lutto, atroce sofferenza. Da un giorno all'altro, donne e uomini che vivevano la loro quotidianità sono sconvolti. I soldati vanno al fronte e sanno che molti di loro non torneranno mai indietro, la loro esistenza sarà cancellata da un colpo di fucile o dalla lama di un coltello. I bombardamenti terrorizzano i civili, devastano le città e le campagne, ovunque regnano il dolore, l'odio e il desiderio di vendetta. Così accade oggi ogni giorno in Ucraina, nello Yemen, nel Sudan e in tanti, ma tanti altri Paesi "dove la terra brucia". Così è accaduto nei Balcani nell'ultimo decennio del XX secolo, prima in Ruanda e altrove, risalendo indietro fino alle due guerre mondiali e alle atrocità dei secoli precedenti. Sembra, assai tristemente, che conflitti, genocidi, massacri, carneficine siano prerogativa di questa specie tragica e affascinante che si chiama "homo sapiens".

Perché esiste la guerra? Perché essa porta con sé non soltanto il tentativo di risolvere con la forza controversie tra popoli, ma anche il desiderio di annichilire, umiliare, azzerare quello che viene bollato come il "nemico"? Esistono davvero delle ragioni che per qualsiasi motivo giustifichino la produzione e l'uso di strumenti tecnologici il cui unico fine sia quello di uccidere? E' davvero necessario che esista un mestiere come quello del militare, finalizzato in ultima analisi ad addestrare e rendere efficiente l'uso delle armi?

Non c'è risposta a queste domande, se ci fosse forse non ci sarebbe più la guerra! Sta di fatto che la maggior parte dei Paesi cosiddetti "civili" riconosce come ovvia la distinzione tra aggressore e vittima. In altre parole, la guerra sarebbe una triste necessità, dovuta alla necessità di difendersi dalla violenza di qualcuno che vuole occupare lo spazio vitale dell'altro. Cosa fare in questi casi? Gandhi propone il metodo della nonviolenza attiva, qualcosa di simile alle parole attribuite a Gesù nel Vangelo: "a chi ti percuote su una guancia, tu mostra anche l'altra", quasi a costringere l'altro a riconoscere la propria irrazionalità nel momento in cui ti colpisce i ti uccide. E' una prospettiva affascinante, ma che fare quando la vittima predestinata non sei tu, ma la tua famiglia, il tuo popolo o una marea di innocenti che non hanno nulla a che fare con le tue scelte, per quanto eroiche esse siano? La nonviolenza di Gesù non ha salvato i bambini innocenti massacrati da Erode al posto suo!

Si torna quindi daccapo, con la Costituzione italiana tutti sono d'accordo sulla necessità di "ripudiare" la guerra come strumento di offesa. Ma ben pochi sosterrebbero che essa debba essere rifiutata anche come strumento di difesa, a meno di non immaginare una sorta di arbitrato internazionale planetario, al quale ogni singola Nazione potrebbe affidare una parte importante del proprio potere, compreso quella relativa alla difesa dei diritti e della dignità di ogni singola persona. E' un'utopia, ma potrebbe anche essere una via, già indicata peraltro durante la prima guerra mondiale, in pieno conflitto, da un Pontefice illuminato come Benedetto XV.  

Ammesso e non necessariamente concesso che sia necessario un servizio militare esclusivamente "difensivo", si pone il problema successivo, ovvero come distinguere l'aggressore e la vittima. 

Sembra ovvio, ma così non è, dal momento che ogni forma di violenza ha una sua radice previa, ogni aggressione ha dietro a sé una catena di ingiustizia che senza giustificarle, ne spiega le ragioni. Solo per portare qualche esempio abbastanza attuale, il presidente Bush, all'indomani dell'attacco alle Twin Towers, inventò il concetto di "guerra preventiva", ritenendo che l'attacco - ovviamente ingiustificabile per qualsiasi persona svincolata dagli interessi che l'hanno provocato - contro Afghanistan e Iraq avrebbe reso possibile la "difesa" degli Stati Uniti da quello che a quel tempo veniva chiamato terrorismo islamico. Il bombardamento di Belgrado e della Serbia da parte della NATO (Italia compresa, premier D'Alema), fu giustificato da presunte "ragioni umanitarie" che furono in qualche modo avvallate perfino da Giovanni Paolo II - anche se in termini non molto evidenti - per sostenere la necessità di "difendere" Sarajevo e la Bosnia musulmana.

Nel caso attuale, gran parte dell'opinione pubblica e della politica di una parte del mondo sostiene che l'aggressione della Russia nei confronti dell'Ucraina sia del tutto inaccettabile e che sia quindi necessario difendere a ogni costo - anche con l'invio di armi e tecnologia militare - quella che viene definita la resistenza del popolo ucraino. Per sostenere questa tesi, si fa riferimento alla lotta antifascista e antinazista, determinante per cancellare dalla faccia della terra - con l'aiuto degli eserciti vincitori - il veleno micidiale sparso a piene mani da Hitler e Mussolini. 

Un'altra parte del mondo - poche Nazioni, forse, ma abitate da quasi un terzo dell'intera umanità - ritengono che l'aggressione russa sia conseguenza del rifiuto, da parte dell'Ucraina di Zelenski, di riconoscere il diritto all'indipendenza del Donbass e della Crimea. Si contano le azioni persecutorie da parte degli ucraini e alcuni liberi Stati circostanti - per esempio la Moldavia - sono terrorizzati da una possibile invasione da parte dell'esercito ucraino. Ad ascoltare loro, la realtà è ben diversa da quella descritta dai giornali e dai telegiornali "occidentali". O meglio, non è tanto diverso il racconto degli orrori che ogni guerra porta con sé, ma è completamente opposta l'interpretazione dei fatti. In questo, il gioco delle rispettive propagande crea una situazione ben diversa da quella che ha caratterizzato la lotta partigiana, dove era ben chiaro chi fossero i responsabili della catastrofe della seconda guerra mondiale e chi ne fossero le vittime.

Stando così le cose, occorre soltanto ragionare. Putin è un dittatore sanguinario, il cui potere si è retto su assassini e sul soffocamento della libertà di stampa e di opinione. Era tale anche quando se ne andava a spasso con Berlusconi nelle ville della Sardegna o quando Salvini non esitava a lodarlo come il più promettente degli statisti planetari. Zelenski, da parte sua, non è certo un campione di democrazia, assestato su un rifiuto costante di affrontare qualsiasi discussione in merito alla possibile cessazione della guerra. Proprio ieri ha detto il suo chiaro "niet" alla raccomandazione niente meno che del capo della Chiesa cattolica. In queste condizioni, se è evidente che l'occupazione dell'Ucraina è un atto di aggressione, è altrettanto evidente che essa deriva dalla volontà di "difendere" i diritti dei russi conculcati dallo Stato vicino e che quest'ultimo potrebbe approfittare volentieri della situazione per assimilare anche qualche altro spazio nell'Europa orientale, ciò che teme appunto la Moldavia, già ora penalizzata negli scambi commerciali.

A questo punto, è difficile negare che da parte dei Paesi della Nato ci sia molto più una volontà di sostenere solo una parte contro l'altra, piuttosto che quella di aiutare a portare al tavolo delle trattative i due contendenti. Anche il viaggio nelle capitali europee del comandante Zelenski risulta una richiesta di sostenerlo verso la "vittoria", invece che verso un'autentica e duratura pace. Tra gli statisti planetari che "contano", il presidente cinese sembra l'unico, inascoltato propugnatore di una volontà di mediazione. Tra le autorità morali, una dopo l'altra scomparse dalla scena, sembra emergere solo la figura di papa Francesco che continua a indicare l'unica via possibile, quella del dialogo e della diplomazia. Ma è inascoltato anche all'interno della Chiesa, soprattutto dalle chiese cattoliche di Ucraina e di Russia, sostanzialmente fino a questo momento del tutto silenziose. E' una prudenza comprensibile, vista la situazione, che rende tuttavia meno efficace l'azione del vescovo di Roma.

In conclusione, l'urgenza assoluta è quella di fermare l'atrocità della guerra. Per riuscirci occorre schierarsi, non dalla parte dell'uno o dell'altro, ma investendo tutti gli sforzi finora impegnati per costruire e inviare armi sempre più sofisticate in Ucraina, nel portare con convinzione i belligeranti al tavolo delle trattative, dell'armistizio e della pace. Magari si potrebbe realizzare questo tavolo proprio a Nova Gorica e Gorizia, là dove è stato versato troppo sangue nei conflitti e dove ora ci si prepara a diventare faro di cultura e di convivenza tra popoli, nel cuore dell'Europa!

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