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Edicola con affresco, la prima caduta di Gesù |
Ci si può salire una o cinquanta volte, ma il cammino verso la cima del Monte Lussari è sempre emozionante. Il dolce sottofondo musicale del rio, alimentato da decine di ruscelli provenienti dalle profondità della terra accompagna il rumore cadenzato dei passi. Le prime casere, un tempo abitate e frequentate dai valligiani pastori, stanno crollando, piegate dall'inesorabile procedere del tempo. Su una di esse, ormai ridotta soltanto a una piattaforma coperta dalle erbe, c'era scritto "meglio un giorno da leone che cent'anni da pecora". Anno dopo anno, la scritta indelebile era stata spezzata, una lettera da un pezzo di tetto crollato, un'altra dal muro sbrecciato dal gelo. Intorno gli alberi nascevano, crescevano e venivano tagliati, in un ciclo apparentemente eterno, condizionato invece anch'esso dal mistero del tempo.
Poi c'è il crocifisso, a quota 1200 metri. Quante persone ha visto passare, chi fermandosi per una preghiera, chi per deporre un sasso in ricordo di chissà quale dolore, chi per fermarsi un attimo e tirare un sospiro, chi senza neppure voltarsi e procedendo di fretta, per sfidare la montagna con la forza delle gambe e della mente. E' un luogo meraviglioso e suggestivo, carico di energia spirituale!
Da lì inizia la Via Crucis, con le edicole affrescate a segnare il passo pellegrino. Sono state risistemate recentemente, con improbabili restauri dei dipinti originali del grande Tone Kralj. Nella loro semplicità sono un inno all'arte, nella mescolanza delle forme e dei colori di uno dei più importanti pittori del XX secolo e di qualche coraggioso artista locale che si è voluto cimentare in una ben ardua, ma nell'insieme riuscita, impresa.
E poi finalmente, sia arriva alla Malga Lussari, poi alla selletta con il più bel panorama sui fratelli Mangart e Jalovec, dall'altra parte sul Montasio e sul gruppo dello Jof Fuart, in questi giorni imbiancati da un sottile velo di neve, come sparsa con delicatezza e discrezione dall'autunno incipiente. La meta è vicina, il santuario nel bel borgo medievale risplende alla luce del Sole. E' chiuso, non c'è funivia e non ci sono turisti. Ma la presenza si sente soprattutto nell'assenza e dalla cima la bellezza delle Alpi Giulie e Carniche parla più dell'oscurità del banchi raggruppati nel tempio e lo scrigno della Natura si apre alla vista come un tabernacolo infinito, Cima Cacciatore si offre alla vista come un'immagina sacra custodita nel buio.
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Cima Cacciatore, con la prima neve |
Occorre scendere a valle, le giornate ormai sono corte. Ma c'è il tempo per un'ultima sorpresa, l'unico incontro di oggi è con Peter. Con il suo silenzioso cagnolino scende rapido, mi sorpassa e poi si ferma. Con la punta della racchetta raccoglie una carta e la inserisce in un sacchetto che tiene tra le mani. "Ogni anno salgo quassù almeno 100 volte, anche 200 prima del lockdown" - mi dice con una punta di sano orgoglio. "E perché così spesso? Non potresti conoscere qualche altro monte, oltre al Lussari?". "No, da quando sono in pensione (una quindicina di anni), mi sono prefisso di tenere pulito il sentiero. La domenica e in estate tutti i giorni, sono migliaia coloro che salgono e non puoi immaginare quanti rifiuti scaricano sulla via e soprattutto nell'erba o nel bosco, dove credono che nessuno se ne accorga". Ecco svelato un piccolo mistero, una domanda che effettivamente spesso ci si pone salendo: come fa a essere sempre così pulito, un percorso affrontato da così tanta gente ogni anno? E' così perché Peter quasi ogni giorno sale di mille metri per liberare i prati e il bosco da cartacce, plastiche di ogni tipo, attualmente da decine di mascherine anti covid ("Ne potrei vendere a quintali", dice ridendo). Ovviamente lo fa esclusivamente perché ama la Natura. Con la sua serenità mi ha fatto pensare a un santo. Forse di quelli un po' simpaticamente eccentrici, dei quali si parlava un paio di settimane fa a èStoria.
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