sabato 16 ottobre 2021

16 ottobre, tra la deportazione nazista degli ebrei ad Auschwitz (1943) e l'elezione al pontificato di Wojtyla (1978)

Roma, Sinagoga e Basilica di San Pietro
Il 16 ottobre 1943, alle 5.15, le SS iniziano la deportazione di oltre mille ebrei di Roma ad Auschwitz e nei campi di stermino nazisti. E' una pagina orribile della storia italiana, da non dimenticare, soprattutto in questi tempi di pericolosa rinascita di fenomeni riconducibile al neofascismo e al neonazismo. 

Il destino dell'ebraismo e quello del cattolicesimo si intrecciano a Roma, fin dalle origini del cristianesimo. E' sempre stato un rapporto complesso, a volte di scontro, o meglio di esplicita persecuzione da parte dei sedicenti cristiani, a volte di incontro e di riconoscimento reciproco, come avvenuto soprattutto negli ultimi decenni. 

Se è vero che clamorosamente il Concilio Vaticano II, celebrato neppure venti anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, non ha riservato neppure un accenno alla Shoah nei suoi principali documenti, è altrettanto vero che dopo l'elezione di Papa Wojtyla si è usciti da una fase di inaccettabile silenzio "diplomatico", soprattutto attraverso il riconoscimento degli ebrei come "fratelli maggiori" dei cristiani. Per questo oggi, accanto a uno dei più vergognosi anniversari della storia d'Italia, se ne può ricordare un altro sicuramente meno drammatico, anche se in altro modo importante per le vicende relative all'Europa e al Mondo "a cavallo" tra il secondo e il terzo millennio. 

Proprio il 16 ottobre 1978 è stato infatti eletto Vescovo di Roma Karol Wojtyla. Il suo pontificato è stato tra i più lunghi della storia, concluso con la sua morte, il 2 aprile 2005. Acclamato "santo subito" dalla folla di Piazza san Pietro, ha risalito con estrema rapidità la carriera della canonizzazione, proclamato "beato" dall'immediato successore, il suo amico e massimo collaboratore Ratzinger e "santo" da papa Bergoglio.

E' difficile restringere a un post la valutazione su un periodo così prolungato e importante non soltanto per la Chiesa ma per il mondo intero. La forte personalità e un'acuta intelligenza lo hanno senza dubbio reso protagonista degli avvenimenti di un periodo caratterizzato da enormi trasformazioni politiche. Non si possono dimenticare anche le vicissitudini che hanno toccato il suo corpo, trasformandolo dalla "superstar" del primo triennio nel fragile convalescente dopo l'attentato del 13 maggio 1981, dall'instancabile viaggiatore in tutti i Continenti alla debole figura del malato sempre più piegato dalla sofferenza e incamminato verso l'ultima pagina della vita. E' stata un'esistenza in mondovisione, si potrebbe dire, con la riduzione della sfera privata al mero minimo indispensabile.

Dai moti popolari di Solidarnosc in Polonia agli eventi collegati al crollo del muro di Berlino nel 1989, dalle tragiche guerre balcaniche all'attacco terroristico alle Twen towers di New York, dall'estate "dei tre papi" agli interventi militari in Afghanistan e Iraq, in tutto è stato sempre presente, con la sua voce autorevole e informata, guida abbastanza accentratrice della Chiesa ancora alla ricerca della via da seguire nel post-concilio.

Se le reazioni del "giorno dopo" furono contrastanti, con le tante perplessità contrapposte alla vox populi, a distanza di ormai quasi venti anni è meno difficile proporre qualche valutazione, svincolata dagli entusiasmi e dalle delusioni del momento.

Per usare criteri politici, si deve distinguere la politica estera da quella interna. Se è vero che il ruolo di Giovanni Paolo II nella trasformazione dell'Europa negli ultimi anni del Novecento deve essere senz'altro ridimensionato, non si può neppure ridurre all'espressione di pii auspici il primo trionfale viaggio in Polonia nel 1979 e il costante e reiterato richiamo alla debolezza dei sistemi socialista ma anche capitalista. Sul piano delle preoccupazioni per la pace planetaria, Wojtyla non ha mai fatto mancare la propria voce, a volte con gesti eclatanti come l'invito alla preghiera di tutti i rappresentanti delle religioni planetarie ad Assisi nel 1987, a volte con accenti fortemente accorati come nel richiamo esplicito al presidente USA Bush a non avviare quella che si sarebbe rivelata la catastrofica guerra all'Iraq, a volte proponendo nuove prospettive di teologia sociale come con la dichiarazione della fine del concetto di "guerra giusta" in occasione del conflitto delle isole Falkland/Malvinas, a volte infine arrampicandosi sugli specchi della legittimità di un non mai meglio specificato "intervento umanitario" nel ginepraio della Bosnia dilaniata dalle milizie nazionalistico religiose. Insomma, si è trattato di una presenza importante, ruotata attorno all'attesa piena di speranza e alla successiva drammatica delusione del Giubileo dell'anno 2000, dove tutti gli auspici - dagli obiettivi del millennio alla libertà dalle guerre, dalla concordia tra le religioni al dialogo con il mondo a-religioso - sono stati travolti dall'esplosione dei terrorismi di ogni colore, dal soffocamento - spesso violento - delle istanze delle basi popolari in marcia ovunque per la giustizia e per la pace, dalla mancanza sempre più marcata di rispetto per l'ambiente naturale e sociale.

Meno efficace è stato il contributo di papa Wojtyla alla concezione della Chiesa cattolica e al suo rapporto con il mondo. Attestato sulle tradizionali concezioni filosofiche aristoteliche-tomiste condite con una buona dose di un personalismo evidentemente determinato dagli scritti di Mounier, Marcel e soprattutto Max Scheler, non ha di fatto voluto affrontare nessuna delle problematiche ecclesiologiche e pastorali lasciate insolute dal recente Concilio Vaticano II. Non ponendo in discussione i trascendentali (Verità, Bontà, Bellezza) di una corrente della tradizione filosofica occidentale, ha ribadito tutti i "divieti" della teologia morale, soprattutto per ciò che concerne l'inizio e la fine della vita, l'autodeterminazione delle persone, le scelte e gli orientamenti sessuali. Ha ribadito senza dubbi il dettato del Vaticano I riferito all'infallibilità in materia di fede e di morale, giungendo fino quasi alla definizione dogmatica e alla negazione del dibattito intorno al sacerdozio femminile. Non ha de-clericalizzato la Chiesa e ha di fatto orientato il dialogo ecumenico e interreligioso a prospettive non troppo lontane dall'antica concezione della "pienezza della Verità", detenuta soltanto dal Cattolicesimo. Non si sono affrontate questioni pressanti quali il celibato presbiterale obbligatorio e si sono presi provvedimenti molto blandi nei confronti della terribile piaga della pedofilia dei religiosi, ricondotta solo alla "debolezza" dei singoli senza accettare mai una riflessione sulle carenze del sistema di formazione e di realizzazione dell'esperienza sacerdotale. 

Insomma, è come se ci fossero state due diverse velocità di intervento, la prima incentrata su una robusta antropologia radicata nella convinzione della centralità dell'Uomo redento dal Cristo e dalla necessità di proteggere l'ambiente vitale, la seconda sul ruolo e sulla pretesa dominante della Chiesa anche sulla sfera dell'etica individuale e sociale.

Certamente è troppo poco, non si possono certo liquidare oltre 26 anni di storia in una manciata di righe. Sicuramente gli anni romani di Wojtyla devono ancora essere molto approfonditi e scandagliati, per comprendere anche le conseguenze attuali, sia nell'ambito geopolitico che in quello ecclesiastico, determinato fra l'altro dal silente ma difficilmente occultabile conflitto fra i suoi coesistenti successori con i rispettivi agguerriti sostenitori, Josef Ratzinger e George Bergoglio.

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