Non spaventatevi per il titolo. Dopo l'amletico "essere o non essere", questo è il problema: "assoluto o relativo". Ed esso centra con i criteri del nostro voto alle elezioni, con la scelta se vaccinarsi o meno, con una probabile guerra o la pace planetaria, con l'accoglienza illimitata o meno dei migranti, con l'affrontare una crisi di coppia con il divorzio o con un nuovo accordo, con le piste ciclabili e il turismo lento, con la scelta se vivere o morire, con le (infinite?) forme dell'amore, perfino con l'affermazione, la negazione o il dubbio sull'esistenza del Trascendente. Se potete, leggete ed eventualmente commentate. In ogni caso, grazie, almeno dal mio punto di vista.
Il punto, in effetti, è proprio questo: ammesso e non concesso che questa domanda abbia una risposta, che cosa è la Verità?
E' un interrogativo che ha enormi conseguenze, anche sulla vita quotidiana. Infatti, il tema della Verità coinvolge immediatamente - cioè senza mediazione - quelli altrettanto fondamentali della Bontà e della Bellezza.
Si è scritto tutto con la maiuscola, supponendo l'esistenza di "una" logica, di "una" etica e di una "estetica". Tutto andrebbe bene, se fossimo nati in qualche landa dell'Europa medievale intrisa del pensiero aristotelico e tomista. sarebbe semplice stabilire chi ha ragione e chi no, chi agisce bene e chi male e non sarebbe certamente bello ciò che piace, ma piacerebbe ciò che è bello. E il sovrano, incoronato da Dio mediante il suo rappresentante sulla Terra, sarebbe il garante di tutto ciò. Obbedendo a lui, si vivrebbe nella giustizia, disobbedendo, nell'iniquità.
Invece l'orologio del tempo ha ruotato rapidamente le sue lancette, dilatando lo spazio delle relazioni all'intero Pianeta, permettendo di scoprire l'esistenza di altri mondi diversi da quello medievale europeo, proponendo nuove forme interpretative dell'esistenza, del pensiero come fondamento dell'essere (cogito, ergo sum e non più sum, ergo cogito), della scienza non più come ricerca delle cause in un universo creato limitato, ma apertura degli orizzonti verso l'illimitato.
Tutto ciò ha relativizzato le grandi parole riferite alla percezione della realtà, dall'oggettivismo si è passati al soggettivismo, in forme sempre più particolareggiate e radicali. Non è più lecito usare la maiuscola dell'Assoluto, è necessario confrontarsi sulla quotidianità del Relativo, sul dialogo tra diverse verità, tra differenti concezioni della bontà, tra legittimamente articolate concezioni della bellezza.
Il sistema di esercizio del potere corrispondente è la democrazia, ovvero il risultato del confronto fra diverse concezioni della vita che si attua con la norma regolamentaria, cioè con la norma, la legge, frutto di una più o meno riuscita, ma sempre parziale e mai definitiva, sintesi. Non si tratta della ricerca del minimo comune multiplo, ma del massimo comune divisore.
E' evidente che nel tempo del trionfo - definitivo ma anche agonico - della tecnologia, la questione dell'effettiva "libertà di scelta" da parte dell'individuo è assai inquietante. Più che di relativismo s dovrebbe parlare di lobbysmo, più che di soggettivismo di dominio del più influente, cioè di chi detiene più degli altri i mezzi finalizzati alla creazione del consenso.
Ed ecco allora gli interrogativi prima suggeriti, riproposti in termini drammatici: se attraverso un processo democratico, sale al potere una forza politica antidemocratica, occorre accettarlo in quanto attuazione della regola oppure è necessario intervenire (violentemente, dal momento che si tratterebbe della ribellione di una minoranza nei confronti di una maggioranza)? Per tutelare quale bene? Quello relativo di chi ha vinto le elezioni o quello altrettanto relativo di chi le ha perse? Chi ha ragione e chi ha torto?
Oppure, per portare un esempio attuale, nel momento in cui ci si confronta sull'utilizzo o sulla pericolosità dei vaccini, riconoscendo posizioni alquanto diversificate sia tra gli scienziati che tra i medici, sia tra gli opinionisti che tra i politici, come può orientarsi un cittadino privo di mezzi per discernere? Di fatto si schiererà da una parte o dall'altra, procedendo da un giudizio di coscienza, nella piena consapevolezza della sua parzialità.
Il riconoscimento della legittimità della diversità di opinioni e punti di vista da parte del soggetto, implica insomma la drammaticità di un dialogo che per essere tale non dovrebbe mai sfociare nella violenza fisica, ovvero nel tentativo di annullare la soggettività dell'uno in nome della soggettività dell'altro. Insomma, la teoria della nonviolenza, intesa non come forma religiosa dell'assoluto, ma come metodo pratico per affrontare l'inevitabile conflittualità fra le parti, deve essere rispolverata e riproposta quanto prima per evitare che il dibattito sia determinato da una specie di legge della giungla dove ogni uomo sia lupo per l'altro uomo.
La teoria della nonviolenza potrebbe essere l'aria che si respira sul ponticello fragile, sospeso fra la Verità aristotelico tomista ormai ammuffita nella soffitta della Storia e la debole ma dominante Certezza che determina le scelte individuali e collettive della modernità e della postmodernità.
Mica si potrà mettere in discussione tutto, perfino le conclusioni di Einstein? - dice qualche persona illuminata, preoccupata dalle possibili derive di una simile situazione. Già, Einstein, la cui principale "visione" è stata proprio la teoria della "relatività generale"!
“Quando sono sconfortato, ricordo che in tutta la storia umana la strada della verità e dell'amore ha sempre vinto. Ci sono stati tiranni e assassini e per un certo tempo sono sembrati invincibili ma alla fine, sono sempre caduti - pensaci, sempre!”
RispondiEliminaMahatma Gandhi