sabato 9 gennaio 2021

La Politica, tra teoria e prassi

La Politica è nello stesso tempo teoria e prassi della convivenza. In quanto animale sociale, ogni essere umano non può che contribuire alla costruzione dell'ambiente in cui vive, sia esso una famiglia, un paese, una nazione o il mondo intero. Anche chi ritiene di non partecipare, di fatto decide la particolare responsabilità politica di colui appunto che ritiene di astenersi e di lasciare pertanto agli altri il compito di decidere al posto suo. Dunque, tutti, nessuno escluso, siamo politici e facciamo politica, non soltanto perché elettori, ma essenzialmente perché siamo semplicemente umani.

La teoria della convivenza si chiama anche morale sociale. E' la visione del mondo e dell'essere umano, la prospettiva eminentemente culturale che fonda qualsiasi azione nell'ambito sociale. Tale prospettiva trova la sua radice e il suo riconoscimento nelle ideologie, nelle filosofie e nelle visioni religiose. Normalmente a tali concezioni si aderisce - con le dovute integrazioni da parte di ogni soggetto libero - in modo integrale, esse sono delle vere e proprie convinzioni che impregnano tutte le sfere della vita, ovviamente anche quella individuale. Il senso del nascere e del morire, dell'amare o dell'odiare, dell'edificare o del demolire, dell'accogliere o del rifiutare, dipende totalmente da questo orizzonte il cui limite può essere di due ordini di grandezza. In un contesto democratico il confine dell'appartenenza ideologica è determinato dalla legge, frutto di un bilanciamento tra diverse forze che assumono maggiore o minore peso sulla base di un consenso elettorale. In un regime assolutista è il dittatore a stabilire la liceità d'espressione di alcune visioni ideologiche e l'assoluto divieto di professare altre "fedi".

La prassi della convivenza deriva dalla specifica teoria e si traduce in proposta concreta di azione. Le proposte, contenute in percorsi progettuali e programmatici che richiedono precisi tempi e complesse modalità di attuazione, possono a volte riscontrare convergenze in rapporto a visioni ideologiche diverse o divergenze rispetto a concezioni del mondo simili. Lo spazio del dibattito politico è l'istituzione, che ovviamente riveste diversi caratteri in ambiti pluralisti o assolutisti. Se tutti - consapevolmente o meno - hanno una visione teorica della propria e altrui presenza nella società, non tutti sono tenuti a fornire precise risposte alle concrete problematiche da affrontare ogni giorno. nello Stato democratico dovrebbe comunque esistere uno spazio di partecipazione assembleare, dove ogni cittadino potrebbe e dovrebbe esprimere il proprio parere e la propria proposta e uno spazio di rappresentatività, in ambienti specifici dove gli "eletti" sono chiamati a prendere delle decisioni che riguarderanno non soltanto i decisori, ma anche tutti gli altri membri di una determinata società.

Per esemplificare, l'idea di "pace" può essere declinata teoricamente in molte maniere, supponendo che quasi tutti desiderano ciò che il concetto esprime. E coloro che non rientrano nel "quasi" molto probabilmente potrebbero essere banditi sia da una società assolutista che da una democratica. Ma quando si passa all'attuazione della teoria in una prassi politica, la situazione cambia e occorre districarsi tra soluzioni alquanto diversificate, veleggiando dalla  nonviolenza attiva gandhiana agli interventi umanitari di Giovanni Paolo II, dalla guerra preventiva di Bush al sorprendente interventismo di D'Alema in Bosnia, fino alla legittimazione della seconda guerra in Iraq di Blair e alla definizione della guerra come "follia" da parte di Francesco nello stesso momento in cui stringe le mani ai capi militari italiani.

Fino a quando il dibattito politico riguarda la prassi, è difficile che esca dai binari di una costruttiva diversità che cerca una mediazione unitaria per rispondere nel miglior modo possibile ai problemi che si devono affrontare. Se invece la virulenza del disaccordo si sposta sul piano morale, la delegittimazione dell'altro in quanto "immorale" o "ignorante" o "incolto" o "disumano" diventa molto pericolosa, in quanto foriera di quelle tremende guerre ideologiche o di religione che hanno insanguinato l'Europa e il mondo. Ed è anche controproducente, perché la ridicolizzazione degli "avversari" convince maggiormente i "propri", aumenta il divario dai "loro" e soprattutto - il che in un regime democratico fondato sull'acquisizione del consenso è deleterio - rende perplessi gli incerti, cioè quella grande parte della popolazione che con il proprio voto determina colta per volta gli equilibri delle rappresentanze.

Tutto ciò per dire che se il centro sinistra vorrà continuare a combattere il centro destra, demonizzandolo e sostenendone sul piano teorico la presunta mancanza di morale e di competenza, non riuscirà a raggiungere altro obiettivo che quello di rendere più accalorati i propri "supporter", innalzando inutilmente la tensione politica e allontanando gli indecisi. E' necessario invece che ci sia un forte investimento sul piano concreto, in modo che chi andrà a votare lo possa fare sulla base di programmi e progetti chiaramente distinguibili da quelli degli altri. Ma di ciò, in un altro post...

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