domenica 10 gennaio 2021

La vergogna d'Europa nel nord della Bosnia

Dopo il "game", Bosnia 2018
Gli straordinari servizi giornalistici di Nello Scavo su Avvenire nelle domeniche di dicembre, l'appello delle rete DASI del Friuli-Venezia Giulia, il lavoro costante - da quasi tre anni - tra i profughi a Trieste portato avanti da Linea d'Ombra, ICS, Caritas e altre associazioni, hanno portato alla luce e alla ribalta mediatica ciò che sta accadendo da tanto tempo nel cantone di Una-Sana, in Bosnia Erzegovina.

L'incendio e la chiusura del campo di Lipa ha portato qualche migliaio di persone a trascorrere il periodo natalizio senza un riparo, con poco cibo, sotto la neve e in mezzo al ghiaccio. Ma anche coloro che continuano a essere "ospitati" a Bihac e Velika Kladusa non se la passano meglio, asserragliati in enormi edifici fatiscenti, aiutati, per quanto possibile, soltanto dalle organizzazioni internazionali, anch'esse in difficoltà data la crescente situazione di tensione nello Stato Balcanico.

Una decina di migliaia di persone vive in questa situazione. Molte di loro, forse tutte, hanno tentato l'avventura dell'attraversamento del confine. Dopo aver passato tutti i pericoli e i disagi possibili e immaginabili, essere stati derubati di tutto da gente senza alcuno scrupolo morale, cercano di fuggire dalla fame e dal congelamento passando per i boschi. vengono quasi sempre rintracciati, picchiati e torturati prima di essere rispediti in Bosnia. Alcuni, pochi, riescono a raggiungere la Slovenia, quando vi entrano chiedono subito agli abitanti quanti chilometri manchino per arrivare in Italia, provando grande delusione nel sentirsi rispondere 100, 150 o più di 200. quasi sempre anch'essi vengono presi dalla polizia slovena, condotti nei campi per il rimpatrio e rispediti in Croazia e da lì in Bosnia. Pochissimi riescono ad arrivare in Italia, stremati, curati dai volontari nelle piazze triestine. Ma anch'essi - almeno un numero notevole - vengono riaccompagnati oltre il confine. Si dice "riammessi", ma si tratta di "respinti", sulla base di una legislazione risalente alla metà degli anni '90 e superata dall'ingresso della Slovenia nell'Unione Europea e nell'area Schengen. In altre parole, nell'anno 2021, centinaia di esseri umani sono stati rigettati indietro, ben sapendo quale destino li attendesse nel drammatico viaggio di ritorno attraverso la Slovenia e la Croazia.

L'esplosione mediatica di questo ultimo periodo ha avuto il pregio di smuovere le alte sfere dell'Unione Europea che sembrano ora muoversi verso una rinnovata attenzione nei confronti della Bosnia, anch'essa in ginocchio a causa del disinteresse internazionale e della Croazia, dove non si fa mistero sulle violenze di frontiera, implicitamente e a volte esplicitamente richieste proprio per "difendere" i limiti dell'Unione. Sarà così, si produrrà qualche cambiamento, cesseranno almeno i respingimenti dalla Slovenia e dall'Italia, le torture presso i valichi di Bihac e Velika Kladusa? 

Questa volta sembra che il grido che si innalza da quelle attualmente gelide contrade sia stato almeno ascoltato! Ma quanto tempo è passato... La situazione di quella zona non è di oggi, ma perdura da almeno tre anni. Migliaia e migliaia di esseri umani - anche donne e bambini - hanno calpestato quella terra, hanno tentato quello che essi chiamano il game, sono stati colpiti, feriti, sprofondati nella più nera delle disperazioni. Molti giornalisti ne hanno parlato e scritto, non varcando le porte di piccoli bollettini di associazione o giornale di provincia, senza ottenere alcun risultato. Forse la tragedia di Lipa con la catastrofe umanitaria conseguente può finalmente aver aperto gli occhi ai ciechi. O forse ancora no...

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