Forse queste situazioni potrebbero aiutare a pensare - con un sentimento di comprensione e solidarietà - a coloro che vivono ordinariamente tali restrizioni, che sono in lockdown non per brevi periodi ma per mesi, anni e decenni.
Chi è condannato a trascorrere una parte della propria vita in prigione, sa che cosa significa non poter uscire dalle mura tra le quali si è rinchiusi. E' un'esperienza disumanizzante, spesso vissuta in un sovraffollamento e in un degrado strutturale che rendono molto teoriche le splendide intuizioni di
Mario Gozzini, confluite negli anni '70 del XX secolo nelle leggi che portano il suo nome e che proponevano la pena riabilitativa e non punitiva.
I confini chiusi creano angoscia. Anche in questi giorni, camminando sulla linea di demarcazione tra Italia e Slovenia, pur non essendoci per ora alcuna barriera materiale, ci si sente respinti come da un filo invisibile. Lo sbarramento previsto dalle normative è vissuto come una violenza, da qualunque parte esso venga stabilito, si prova umiliazione a non poter passare, non si osa neppure mettere un piede oltre la linea. Il blocco è dentro di noi, crea ansia e timore, un senso misterioso e inesprimibile di respingimento e di distacco, ci si sente "stranieri" là dove fino al giorno prima non ci si poneva neppure lontanamente il problema. Come non pensare ai migranti della rotta balcanica o del Mediterraneo, quando giungono stremati alle frontiere della nuova Europa. Come guardano queste linee immaginarie ma fin troppo reali, che dividono il mondo tra privilegiati e penalizzati? Come possono vincere il senso di umiliazione e di rifiuto, di fronte all'indifferenza e all'evidente ostilità di chi dovrebbe riceverli? Cosa significa sentirsi costantemente additati come "stranieri", "diversi", indegni di essere trattati come esseri umani? I centri per il respingimento sono molto simili ai campi di concentramento, le urla che provengono dal cpr di Gradisca o da quello di Postojna, non indicano soltanto un disagio materiale, ma proclamano una verità inquietante, il fallimento del progetto di un'Europa autenticamente democratica, aperta alla libera circolazione delle persone e delle loro idee.
E che dire della sofferenza del non poter incontrare i propri congiunti? Di averli abbandonati in paesi lontani e di essere guardati con disprezzo perché un telefonino consente l'ultimo legame, almeno attraverso le parole? O di poterli incontrare - l'amore della propria vita o i figli tanto amati - in una squallida stanza di carcere, sotto gli occhi indagatori di guardie pronte a intervenire per reprimere - più o meno delicatamente - qualsiasi gesto d'affetto ritenuto eccessivo?
Come sempre, tante domande e poche risposte. Eppure quest'anno così delicato e difficile, questo 2020 che più bisesto di così non si può, potrebbe essere quello della svolta, anche sotto questo punto di vista. Potrebbe essere il momento per raggiungere gli obiettivi dell'eliminazione delle carceri come strumento di pena e l'invenzione di nuove forme di ricostruzione e riabilitazione della vita, della cancellazione di tutti i Centri di detenzione per immigrati pro cedendo verso la libera circolazione degli esseri umani, del riconoscimento dei diritti civili per ogni creatura che vive sulla faccia della Terra.
Sogni? Utopie? Mah, forse una meravigliosa umanità che riesce a scavare buche e a raccogliere frammenti di un asteroide che ruota a 350 milioni di chilometri di distanza, potrebbe fare molto di più per costruire sul Pianeta un civiltà fondata sulla giustizia sociale, sulla pace, sulla salvaguardia dell'ambiente vitale, per tutte e per tutti...
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