Viene definito "il prete degli ultimi", intendendo con ciò che gli altri suoi colleghi siano ordinariamente con "i primi". E con ciò viene scavato un abisso tra l'aiutante che dedica la sua vita ai più poveri e l'aiutato che invece di essere riconoscente si scaglia con furia omicida sul suo benefattore.
No, non può essere sempre così. Malgesini ha realizzato ciò che altri avrebbero dovuto fare in uno Stato che si definisca "sociale". Non è possibile che sia demandato ai preti o a tanti altri esseri umani di buona volontà ciò che dovrebbe essere compito della società e delle pubbliche istituzioni.
Ovunque è lo stesso, l'aiuto a chi soffre è demandato al privato sociale, meno vincolato dai tempi e dai modi della burocrazia o al volontariato gratuito, spesso mandato allo sbaraglio senza alcun sostegno e assicurazione. O addirittura si arriva perfino al dileggio o alla denuncia, come nel caso delle ong, salvatrici di migliaia di vite umane e per una parte degli italiani divenute sinonimo di truffe e interessi occulti.
Smettiamo di usare definizioni che creano distacco. Roberto Malgesini è stato semplicemente un "Uomo", capace di accorgersi di non essere solo in questo mondo e di sentirsi "fratello" di ogni altro essere vivente.. A tutti può capitare una disgrazia, un incidente di percorso che non rende eroe chi ne è vittima e non rende carnefice chi è trascinato verso il crimine da una ventata di follia. Il compito di coordinare e di intervenire deve essere anzitutto dello Stato. Le istituzioni devono ricordare che ogni "assenza" non può che essere riempita da "presenze" generose e ammirevoli che per coprire i buchi ufficiali vanno incontro anche alla morte.
Ma tutti dovremmo sentirci "ultimi" e condividere la vita con gli altri "ultimi", senza demandare ai preti "di frontiera" (quale?) o ai supereroi del nostro tempo la scelta di rischiare la vita per chi è in difficoltà. Un grazie a Roberto Malgesini per avercelo ricordato, riposi in pace.
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