Come dopo ogni tornata elettorale, nelle dichiarazioni dei politici tutti hanno vinto e nessuno ha perso. In realtà in questa occasione, pochi hanno solo vinto o solo perso, la maggior parte ha contemporaneamente vinto e perso.
Solo vinto ha senz'altro Zaia, riconfermato presidente della Regione Veneto con una specie di plebiscito, cui ha contribuito in massima parte la "sua" lista che ha raggranellato intorno al milione di voti, mettendo di fatto in grande difficoltà il resto del centro destra e della destra "stracciati" dal protagonista. Per tutti gli schieramenti nazionali è un interrogativo pressante e un'analisi urgente: ma che "cosa" (per non usare altre parole non adatte al blog) ha fatto Zaia per meritare una simile fiducia? Solo vinto, anche se in misura meno eclatante, hanno anche Toti in Liguria, De Luca in Campania e soprattutto Emiliano in Puglia, forse l'unica sorpresa non prevista dai sondaggi dell'antivigilia. Uno degli elementi - non certo l'unico - che ha contribuito a queste vittorie solitarie è stato certamente determinato dalla gestione del contrasto al coronavirus, là dove di fatto chi più si è dimostrato "uomo forte" ha suscitato maggiore consenso, in attesa delle non ancora evidenti ricadute sull'occupazione e sulla prevedibile ormai imminente crisi lavorativa e produttiva autunnale. I topolini di Zaia divorati dai cinesi e i lanciafiamme evocati contro le feste campane da De Luca hanno lasciato un segno!
Solo perso ha senz'altro Salvini e la sua Lega, sconfitta di fatto ovunque, con l'atteso crollo al Sud che ha trascinato la coalizione di centro destra alla sconfitta anche in Puglia. Il piano inclinato su cui si è seduto dopo i famosi eventi del Papeete si fa sempre più ripido, gli slogan ossessivi non accompagnati da alcuna proposta politica sostenibile, hanno indebolito anche la sua stessa candidata in Toscana, mentre le visite preelettorali in Veneto sono apparse ovunque appena tollerate e non certo gradite. Come politico, Salvini è al termine della sua parabola e non gli rimane altro che prenderne atto e cercare di uscire in modo meno imbarazzante possibile di scena.
Solo perso hanno coloro che hanno votato "no" al referendum, compreso chi scrive questo blog. Dire che "ben il 30%" ha compreso la portata di un taglio dei parlamentari che ridurrà drasticamente la rappresentanza e cancellerà le realtà culturali numericamente minoritarie, è una ben magra consolazione. Incredibile il risultato nelle piccole Regioni, le più penalizzate dalla legge costituzionale, sorprendente anche il fatto che il "no" abbia prevalso in rarissime occasioni anche nelle zone che subiranno le maggiori conseguenze. In Friuli Venezia Giulia solo il Comune di Repentabor, sul Carso, ha visto una peraltro risicata affermazione controcorrente.
Gli altri, tutto sommato, hanno i loro motivi per rallegrarsi e per preoccuparsi.
I 5 Stelle intascano e si appropriano del risultato referendario. Pur riconoscendo che il 70% sarebbe stato un sogno senza l'appoggio - più o meno convinto - di quasi tutti i partiti dell'arco costituzionale, tutto sommato hanno le loro ragioni. Quella del rimpicciolimento del Parlamento è una loro battaglia delle origini. Davide Casaleggio nel passato aveva preconizzato perfino la completa cancellazione delle Camere, obiettivo da raggiungere un passo alla volta. E' nella logica di un Movimento scomparire dall'orizzonte una volta raggiunti gli obiettivi "ideali" oppure trasformarsi in qualcosa d'altro, trascinando i propri aderenti sulle montagne russe del trasformismo politico. Per questo Di Maio e company non hanno torto nel sottolineare la vittoria dei "sì" e nel non preoccuparsi troppo del peraltro evidente disastro elettorale in tutte le regioni in cui si sono presentati, da soli o in coalizione.
Visti i chiari di luna del periodo, il Pd di Zingaretti è andato al di là delle più rosee aspettative, tenendo come previsto la Toscana e ottenendo un successo inatteso con la "tenuta" del discusso presidente Emiliano in Puglia. Certo l'esultanza non può e non deve essere eccessiva, di fatto il pd perde le Marche, un'altra Regione (ormai si è al 15-5) storicamente a sinistra, dandola in mano a un nuovo governatore nostalgico della Marcia su Roma (ma si può???!!!). E dell'ottimo risultato in Campania deve ringraziare soprattutto la personalità vulcanica del governatore uscente, nella cui lista - è bene ricordarlo - ci sono parecchi "impresentabili" secondo la Commissione nazionale antimafia (di nuovo ???!!!).
Tutti gli altri, per farla breve, hanno motivi per sorridere e per piangere. Fratelli d'Italia dell'arrembante Meloni non è riuscita a sfondare, il travaso dalla Lega ha coinciso con numerose perdite di elettori nelle falle dell'acquedotto elettorale della Destra. Si può però consolare con la conquista delle Marche da parte di un esponente che più a destra di così non si può. La traballante Forza Italia, ormai appesa alla memoria del tempo che fu, può però rallegrarsi della riconferma di Toti, più o meno ribelle, ma pur sempre rappresentante di area e storico miliziano di Berlusconi. I partitelli sotto il 5% non hanno avuto storia, ma nello stato in cui si trovano possono almeno essere soddisfatti per aver fatto sentire la propria voce nel corso della campagna elettorale. Alcuni possono rivendicare qualche merito nei successi elettorali, come l'Italia Viva di Renzi nella cui area militava un tempo il nuovo presidente della Toscana. Altri possono ragionare in termini realistici sul proprio futuro. Gli ultimi frammenti di una Sinistra praticamente scomparsa dai consigli regionali possono rallegrarsi per il coraggio del tentativo e consolarsi con l'ennesima speranza di essere ideologicamente l'unico argine rimasto all'avanzata del capitalismo selvaggio. In fondo, come diceva la persona che rotolava dalle scale, "prima o poi arriverà anche il pianerottolo!".
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