Per il Vescovo di Roma Francesco è giunto il momento della verità. Vuole essere ricordato come un rivoluzionario riformatore o come un semplice riparatore di qualche inqualificabile eccesso? Nel primo caso passerà alla storia per aver seguito l'unica strada che darebbe ancora un senso all'esistenza stessa della Chiesa cattolica, nel secondo la sua memoria sarà semplicemente cancellata da chi verrà dopo di lui, sia che si collochi nella sua stessa linea, sia che preferisca riportare le cose all'ordine precedente.
I dibattiti e gli scandali quotidiani che si susseguono in Vaticano investono la sfera morale (l'ancora irrisolta questione della pedofilia, se non dilagante, senz'altro dilagata, il tema del matrimonio omosessuale, la definizione dello stesso concetto di eutanasia...), quella politica (la complessa navigazione tra simpatie nei confronti delle sinistre laiche, diffidenze verso le destre ipercattoliche, tentazioni populiste e proiezioni pauperistiche e ambientalistiche...) e naturalmente quella economica (i traffici con le banche, l'uso spregiudicato dei soldi destinati ai poveri, gli investimenti problematici...).
In tutto ciò Francesco appare completamente solo, non si capisce se per scelta, dal momento che quasi tutte le sue nomine di curia sembrano essere state poco felici o per costrizione, data la forte opposizione interna che riscontra ovunque, in particolare dalla decisiva componente conservatrice. La domanda che ci si pone è se il papa sia così fiducioso da ritenere davvero "solo in parte riformabile" la struttura visibile della Chiesa cattolica o se non percepisca il richiamo a essere vero "uomo della Provvidenza", provvedendo di conseguenza a dei cambiamenti radicali, primo fra tutti la fine dell'esperienza del potere temporale, sopprimendo quell'ultimo rimasuglio di una storia ormai finita che è lo Stato della Città del Vaticano, con tutti gli annessi e connessi.
Se così fosse, Francesco non avrebbe altra scelta che quella di creare intorno a sé una duplice Commissione. La prima, teologica, dovrebbe "costruire" una teoria di un nuovo cattolicesimo, svincolato da "primati" e da "infallibilità", aperto al dialogo federale con le altre confessioni cristiane e al confronto simpatetico con le religioni, fondato sul primato della coscienza sulla legge, svincolato dalla concezione sacrale di un sacerdozio da riportare alla sola dimensione del presbiterato funzionale, spalancato alla presa d'atto dei diritti individuali e sociali. Insomma, si dovrebbe pensare all'autentico ritorno all'era pre-costantiniana, senza luoghi di culto o strutture imperiali, all'epoca gloriosa degli apostoli e dei martiri, sull'esempio del fondatore Gesù di Nazareth.
La seconda Commissione, composta da persone esperte, molto competenti e pratiche, dovrebbe gestire la conseguente chiusura di tutte le attività commerciali e di tutte le relazioni di potere che la Chiesa Cattolica tuttora gestisce a livello planetario. La fine dello stato significa la fine delle Nunziature apostoliche, della diplomazia vaticana, dei privilegi sociali ed economici, dello IOR e degli intrallazzi valutari, anche del gigantesco sistema caritativo e delle centinaia di migliaia di strutture diocesane e religiose. La Chiesa sarebbe riportata alla sua originaria essenzialità, scomparendo dall'orizzonte del Potere e ritrovandosi gigante dispensatore di speranza in un ambito quasi esclusivamente spirituale.
Certo, sono enormi cambiamenti che richiedono tempo, decisione ed energia, ma che soltanto un Papa potrebbe favorire e realizzare, come ultimo atto del suo Potere supremo e unico al mondo per la sua assolutezza alla quale pure dovrebbe rinunciare. Ma sono trasformazioni indispensabili che il Papa dovrebbe avere il coraggio di avviare, se appunto vuole essere ricordato come il vero Riformatore della Chiesa e non soltanto come il riparatore di qualche falla aperta nello scafo della barca di Pietro.
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