mercoledì 26 agosto 2020

Tra Gradisca e Postojna, luoghi diversi, lo stesso dolore


Un braccio, fuori dalle sbarre del corrispondente dei Centri per il rimpatrio italiani. Qui ci si trova a Postojna, in Slovenia, ma la scena, le inferriate, l'angoscia sono le stesse di Gradisca e di tanti altri luoghi nei quali nell'insieme migliaia di persone sono trattenute, pur senza aver compiuto alcun reato.

Nel cuore dell'Europa questo è il modo di accogliere chi giunge da lontano, dopo aver attraversato montagne e boschi, superato confini apparentemente inaccessibili, subito torture, persecuzioni e pestaggi. Il Potere si difende e il sistema mediatico amplifica irrazionali paure e genera mostri di razzismo e disumanità.

A Gradisca due reclusi sono morti, in circostanze tutt'altro che chiare. La gestione del covid è stata quanto meno superficiale e di cosa accada dietro le alte mura e i reticolati non è dato sapere. A Postojna centinaia di esseri umani sono stipati in vecchi capannoni industriali, in condizioni igieniche inenarrabili. La bottiglia di plastica in basso a destra nella foto è piena di urina, non hanno altri modi per poter svolgere le proprie funzioni vitali, a causa dell'affollamento e della chiusura delle stanze.

A Gradisca si sentono da lontano le urla, in risposta all'invocazione di libertà che si leva da parte delle assemblee antirazziste e dalle reti per la solidarietà internazionale. Qui è possibile parlare, con  l'aiuto di un megafono e ascoltare - sia pur da dietro le finestre - le storie di chi è trattenuto. Molti di loro sventolano i documenti, dichiarando di aver ottenuto il permesso di restare. E allora, perché sono trattenuti ancora.

C'è anche la stessa polizia, in tenuta antisommossa per spaventare la cinquantina di giovani manifestanti. Sguardi vitrei dietro ai caschetti in plexigass, cani pronti a essere lanciti contro qualche eventuale avventuroso intemperante, i robocop simili a quelli tragici di Genova 2001 con la mano sui lacrimogeni, preparati per scatenare la tempesta.

Ieri sera non è accaduto niente, solo tante parole di vicinanza e tanto desiderio di piegare quelle sbarre. Si è tornati a casa tristi, a Lubiana come a Gorizia e a Trieste. Osservando la bellezza del tramonto sulla Vipavška dolina, come non pensare a quel braccio prigioniero, a quel colto che si intravvede nella penombra, a quegli occhi accesi nel loro esprimere un immenso desiderio di giustizia e di libertà.

Governanti italiani, qui dentro finiscono coloro che voi respingete indietro, appena arrivati dopo sofferenze inaudite. Governanti sloveni, non li riportate in Croazia, dove saranno picchiati e rigettati in Bosnia, dove la situazione sta diventando incredibilmente drammatica!

Governanti sloveni e italiani, chiudete immediatamente questi nuovi campi di concentramento, indegni di paesi civili e di un'Europa che dovrebbe essere un faro di accoglienza, autentica pace e giustizia nella libertà.

Nessun commento:

Posta un commento