domenica 2 agosto 2020

Chiesa e impegno politico, tra Ratzinger e Bergoglio

Ai tempi del papa Ratzinger, la maggior parte dei vescovi e dei preti era impegnata a difendere la sua concezione medievale della "natura" unica, rivelata dalla logica insita nella Creazione e dalla parola divina della Rivelazione. Ciò comportava un costante travalicamento, nei frequenti interventi pubblici, dall'etica religiosa alla filosofia morale e da questa alla politica. E se in generale ci si riferiva a tematiche sulle quali era necessario trovare un orientamento nel magistero, in alcuni casi si arrivava a parlare di "principi irrinunciabili in politica", costringendo i poveri politici sedicenti "cattolici" ad avventurose giravolte per consentire una mediazione tra valori assoluti "imposti" dai responsabili delle diocesi e compromessi relativi caratteristici del linguaggio democratico. "Quello che non è nella natura è contro natura" - è il ragionamento che veniva svolto - "e se è contro natura la legge civile non lo può consentire".
Ai tempi di papa Bergoglio, il quadro superficiale è completamente sconvolto. Sono scomparsi i "principi inderogabili", non si parla quasi più di natura o contro natura e a un'ossessione anti-relativistica è stata sostituita una specie di intensiva passione sociale. I temi classici relativi all'aborto, al divorzio, al matrimonio omosessuale, al celibato ecclesiastico, alla contraccezione e al fine vita, pur non essendo mutata di una virgola la posizione ufficiale del magistero, sono stati sostituiti da quelli connessi alla giustizia sociale, all'accoglienza dei profughi e alla scelta preferenziale dei poveri. Anche in questo caso, non si dice niente di particolarmente nuovo, è certamente inusuale l'insistenza con la quale tali problematiche vengono riproposte. Naturalmente vescovi e preti si sono nel complesso adeguati e la stessa stampa "di regime", in passato entusiasta sostenitrice di posizioni anti-moderne, oggi si fa portavoce di istanze relativistiche guardate con maggiore simpatia dalle sinistre storiche che dalle destre.
In realtà, la questione rimane al fondo la stessa. Un'autorità religiosa ha il diritto di "utilizzare" il proprio riconosciuto prestigio morale per sconfinare nell'indicazione di azioni politiche? A nessuno ovviamente può essere proibito di dire ciò che pensa, ma non appare corretto assumersi compiti non propri. Non era opportuno esprimere a gamba tesa critiche a leggi frutto di compromessi tra importanti visioni del mondo e della vita, riguardanti diritti civili ormai quasi unanimemente assodati. Ma non è opportuno porsi come punto di riferimento, in forza della propria autorità religiosa,  in rapporto a soluzioni che devono essere costruite insieme dalle forze politiche. Non è un complimento per un pontefice sentirsi inquadrare in concetti prettamente di parte, come sono quelli della "sinistra" o della "destra". I principi etici predicati dalle chiese devono essere tradotti in libera scelta e concreta decisione pratica da coloro che sono stati eletti dal popolo, il quale, in forma partecipativa, può e deve controllare i suoi rappresentanti, non solo attraverso l'esercizio del voto. 
Insomma, è necessario che i vescovi e i preti siano liberi di enunciare grandi ideali e visioni del mondo. Hanno molti pulpiti per farlo, certamente più che sufficienti a realizzare tali obiettivi. 
L'esercizio pratico della Politica (con la P maiuscola) ha bisogno urgente invece di persone capaci di trasformare gli ampi orizzonti in norme concrete da seguire per poter risolvere i problemi del momento. Per esempio, i presuli possono richiamare la fraternità universale, ma la sua concretizzazione richiede spazi, tempi e creatività che travalica di certo le buone intenzioni. In altre parole, c'è oggi molto più bisogno di Politici che di Preti.

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