venerdì 27 giugno 2025

Si vis pacem..., rovescia i potenti dai troni

 

C'è una grande differenza tra le lotte per i diritti dei lavoratori degli anni '60 e '70, tra le manifestazioni contro la guerra del Vietnam e le attuali azioni di protesta contro il genocidio di Gaza, i conflitti planetari, le leggi che reprimono libertà fondamentali e la sistematica umiliazione dei migranti.

Cinquant'anni fa era il pianeta dei giovani a trascinare nelle piazze milioni di persone, gli studenti avevano iniziato e gli operai li avevano seguiti. La Cultura con la C maiuscola se ne era fatta carico e creava arte, musica, letteratura, per accompagnare i moti e le speranze di autentica rivoluzione. Mettete dei fiori nei vostri cannoni! C'era stato il '68, un fenomeno unico nel Novecento, con tutte le speranze possibili in un mondo nuovo, in un mondo migliore, che si sarebbe potuto cambiare da un momento all'altro, alla prossima svolta della strada della Storia.

Oggi il movimento per la pace, messo ko dal G8 di Genova 2001, dalle conseguenze degli attentati alle Twin Towers e dall'inincidenza della immensa manifestazione contro la guerra in Iraq del 15 febbraio 2003, è del tutto marginale. Lo guidano più o meno gli stessi che quella volta avevano 20 anni e ora ne hanno 70, non creano in alcun modo opinione e sono seguiti da sparuti gruppi di no-boomers, molto volonterosi, che sembrano attendere il giorno propizio, con la stessa disperata passione del protagonista del celebre libro di Buzzati che attendeva l'arrivo dei Tartari al di là del suo misterioso deserto.

Eppure, moralmente parlando, ci sono tutte le ragioni: la violazione sistematica dei più elementari diritti è evidente, in Italia e in tante altre parti del mondo, la crescita al 5% degli investimenti in armi è scelta molto preoccupante e potenzialmente catastrofica, quanto una presidente del consiglio che spara cavolate del tipo "si vis pace para bellum", le leggi europee sul diritto d'asilo e sull'accoglienza die migranti sono ogni giorno più disumane. Anche in sede locale ciò che accade a Trieste, riguardo alla prima accoglienza dei reduci della rotta balcanica e la crociata indetta a Monfalcone contro i residenti musulmani, sono segni di un degrado politico senza limiti. Nonostante tutto questo, le "ragioni" della pace, del disarmo, dell'accoglienza, dei diritti civili collettivi e individuali hanno sempre meno voce e più si contesta - per quanto possibile vivacemente, stante il silenziamento da parte dei principali media -più crescono nei sondaggi proprio coloro che propugnano, in cambio della cosiddetta "sicurezza", la privazione della libertà.

Che fare allora? Vale la pena continuare a gridare su un palcoscenico, davanti a gran parte di spettatori che non solo non sembrano gradire o condividere, ma anche non si tirano indietro nel fischiare sonoramente ogni passaggio? Tra quel pubblico non ci sono soltanto i fascisti più o meno dichiarati o i guerrafondai inveterati, ma quell'altissima percentuale di persone che vogliono vivere serenamente la loro esistenza e si fidano dell'uno o dell'altro, a seconda che prometta o meno la tranquillità dello status quo. Ci sono quelli che temono che le armi del vicino possano causare danni irreparabili al proprio Stato, quelli che pensano che sì, i migranti hanno il diritto di vivere perché sono nostri fratelli, ma vivaddio, occupano tutte le case con le loro famiglie numerose, riempiono di odori d'oriente i condomini e portano via posti di lavoro. Ci sono quelli che hanno paura dei borseggiatori, se non altro perché poi tocca rifarsi tutti i documenti e che quindi invocano maggiori controlli di polizia, coloro che vogliono pene lunghe e sicure per chi ha commesso crimini gravi, quelli che temono che le case possano essere occupate da chi non le ha e poi dovremo andremo a dormire? Come faremo a buttarli fuori? Ecc. ecc. Chi la pensa così sono lavoratori, operai, contadini, studenti, ma anche opinionisti, scrittori, giornalisti che li sostengono, enfatizzando i singoli casi e universalizzando ciò che suscita paura.

L'umanesimo è soffocato da mille timori, efficacemente indotti da un sistema di Potere sempre più agguerrito e tecnologicamente avanzato. Se la mentalità fascista e razzista vince perché offre maggiore certezza di poter rimanere nella sicurezza, forse la si deve combattere cercando di comprendere, prima di giudicare e deridere, il meccanismo della paura. E se la madre di tutte le paure è quella della morte, ogni minaccia di privazione di ciò che si possiede, appare come una piccola morte. Per uscire dal tunnel, occorre forse offrire una nuova, credibile e sostenibile idea di sicurezza, essenzialmente antitetica a quella fasciorazzista. Occorre una nuova filosofia e una conseguente nuova politica che superi l'attuale fase del sistema capitalista, deprivando la forza del dio denaro e immaginando relazioni sociali alternative a quelle dei corto circuiti classici tra padrone e servo, tra ricco possidente e povero indigente. E' necessario superare la funesta identificazione tra Nazione e Stato, ritornando a proporre un internazionalismo di livello mondiale. La strada passa per garantire una sicurezza maggiore rispetto a quella dominante: l'insicurezza della guerra si combatte con il disarmo generale e lo smantellamento di tutti gli arsenali nucleari, l'insicurezza provocata dalla ghettizzazione dei migranti si supera costruendo spazi di gioiosa familiarità e condivisione, l'insicurezza determinata dai cambiamenti epocali che coinvolgono l'ambiente si vince attraverso l'analisi dei fenomeni e lo studio attento di ciò che può servire l'intera umanità e non solo una minima parte di essa, l'insicurezza delle proteste di massa si oltrepassa nella libertà piena di espressione e si pensiero, garantita in ogni istante della vita individuale e sociale. L'insicurezza dei confini si cancella abolendo le linee di frontiera, non moltiplicando i controlli per penalizzare ancora una volta i più deboli.

Già, è necessaria una nuova filosofia, un tavolo su cui negoziare e incontrarsi, su cui elaborare una nuova magna charta del vivere mondiale, la legge della fraternità e della sororità come fondamento di un nuovo modo di essere. Fermiamoci un attimo, ma solo un attimo e poi ripartiamo. Ha senso la parola e la manifestazione profetica. Ma almeno qualche volta, occorre anche avere la sensazione - o la pretesa - di vincere, cioè di riuscire a cambiare il mondo.

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