lunedì 27 maggio 2024

Per la Pace, ma dalla parte di chi è di parte...

 

Dopo l'ennesima, ingiustificabile strage di Rafah, nella Striscia di Gaza, non c'è più alcuna alternativa alla chiarezza, non c'è più spazio per l'ambiguità. Se non si è direttamente coinvolti, si rischia di assuefarsi alle tragedie o di anestetizzare l'orrore con un pacifismo da salotto.

Non basta dire di essere per la Pace. E' indispensabile dare un nome preciso agli eventi che stanno accadendo, un giudizio pesante sulle responsabilità, una chiara proposta per uscire dal drammatico vicolo cieco nel quale ci si è infilati.

Cominciamo con il nome preciso agli eventi e la denuncia delle responsabilità. Dire che "non dovrebbero soffrire né gli israeliani né i palestinesi" è affermare una cosa talmente ovvia da essere banale, è come dire tutto e il contrario di tutto. In ciò che accade, è indispensabile prendere posizione, l'equidistanza serve solo a chiamarsi fuori dalla mischia. E se quello compiuto da Hamas il 7 ottobre è definito "terrorismo", si deve dire che ciò che sta perpetrando Israele nella Striscia di Gaza è "genocidio". E se si evidenzia il dolore degli ostaggi e dei loro parenti, non si può non nominare esplicitamente il bombardamento sistematico delle città palestinesi che ha portato all'uccisione di migliaia e migliaia di persone, quasi la metà bambini. E se si condanna - giustamente - il crudele gesto terroristico, come si può sorvolare su quasi ottanta anni di tremende vessazioni subite dal popolo palestinese da parte di Israele, che non giustificano ma spiegano. Se non si dice pane al pane e vino al vino, si rischia uno stucchevole infantilismo, da bandierine sventolate al vento senza tenere conto delle proporzioni della tragedia in corso.

Ciò vale anche per l'interminabile guerra in Ucraina. Coloro che si stracciano le vesti per l'ingiustificabile invasione dell'Ucraina e sostengono come la soluzione sia il continuo invio delle armi al guitto Zelensky, sono gli stessi che giustificano l'invasione di Israele nei confronti della Striscia di Gaza, ritenendo necessario disarmare radicalmente gli invasi. E' fin troppo facile capire come dietro a posizioni così contradittorie, non ci sia affatto una ragione ideologica, ma soltanto la tutela di interessi macroscopici, non ultimi quelli legati alla produzione e alla vendita - legale e illegale - delle armi. Le industrie belliche stanno andando a gonfie vele, compresa la Leonardo in Italia e i suoi "successi" sono salutati dagli inchini e dalle visite di alti esponenti del centro destra e anche del centro sinistra. Quella che si sta svolgendo in Ucraina è un'inutile strage cronicizzata e mentre i soldati cadono sotto i colpi reciproci e i civili muoiono bombardati perfino nei supermercati, qualcuno pensa di riproporre il mito del povero Milite Ignoto per appellarsi a una cultura di pace. Sì, l'intera generazione di europei (e non solo), falcidiata nell'orrenda carneficina che è stata la prima guerra mondiale, dovrebbe urlare al Mondo: basta con le guerre, basta con le armi e con gli eserciti, basta. E si dovrebbero additare come esempio, più che gli incolpevoli militi ignoti mandati al macello da politici incoscienti e generali crudeli, le migliaia di disertori che sono stati fucilati dai carabinieri perché si rifiutavano di uscire dalla trincea, di uccidere altri giovani simili a loro, "con lo stesso identico umore, ma con la divisa di un altro colore", come cantava il grande Faber.

Non si può farla passare liscia a Netanyahu che se ne frega dei pronunciamenti della Corte dell'Aia e perfino delle implorazioni del suo amico Biden, trascinando i suoi elettori davanti al tribunale della storia e seminando - lui sì - pericolosi semi di antisemitismo pronti ad attecchire nel terreno del neonazismo europeo. Non bastano le parole di circostanza di Meloni e Tajani, occorre riconoscere immediatamente lo Stato Palestinese, come hanno fatto la Spagna e la Slovenia. Gutierrez, dal seggio più importante dell'ONU e Bergoglio, dalla sede principale della cattolicità, hanno indicato la strada della diplomazia e della nonviolenza attiva come unica possibilità per uscire da questa situazione con una speranza di pace e non con la sempre più concreta possibilità di catastrofe globale.

Si è ancora in tempo per invertire la rotta. Ma accadrà soltanto se si avrà il coraggio di lasciare la facile strada lastricata di buone intenzioni di chi semina ovunque la parola "pace" senza dare a essa contenuti precisi e renderla fondamento di scelte pratiche efficaci. Finora chi si è smarcato da questo sdolcinamento finalizzato a far dimenticare gli autentici problemi oppure - soprattutto le nuove generazioni - è stato azzittito dai media oppure ha assaggiato i colpi dei manganelli. Se i gesti non disturbano, anzi sono lodati dai manovratori, significa che sono inefficaci. Forse è il momento di pagare di persona, pur di aiutare a crescere un'opinione pubblica che è sicuramente contro la guerra ovunque, ma non riesce a far sentire la propria voce, a trasformare in voti - e quindi in consenso - l'istanza accorata, documentata e competente di chi ai vani terribili massacri oppone la necessità del dialogo e non dell'omologazione tra le diverse parti, della diplomazia, della nonviolenza attiva e del disarmo universale.

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