Sono passati 20 anni, ma la memoria di quei giorni di Genova è ben impressa nella mente e nel cuore.
Iniziando dalla fine, si può dire che la tragedia del 20 luglio, cioè tutto ciò che ha accompagnato la morte di Carlo Giuliani in piazza Alimonda, ha raggiunto l'obiettivo che i signori del G8 avevano desiderato. Una settimana di incontri ad altissimo livello tra esponenti dell'allora grande movimento no-global - migliaia di scienziati, attivisti, simpatizzanti - aveva dimostrato "un altro mondo possibile", alternativo a quello voluto dai più potenti governanti della Terra, riuniti per incrementare le disragioni del Capitalismo liberista. La repressione violenta di quei giorni ha di fatto cancellato i laboratori, le idee, le prospettive, le proposte e da quel momento non è stato più possibile, almeno finora, recuperare la passione, l'entusiasmo e la forza di convinzione. Sì, esistono ancora gruppi e movimenti che da quell'esperienza traggono ispirazione per proporre una società antirazzista, nonviolenta, umana e accogliente. Ma sono minoritari, sia dal punto di vista politico che culturale, pur essendo stata riconosciuta da tutti i tribunali la ragione di coloro che protestavano e il torto dei vertici della polizia. Non sono mai state invece accertate le responsabilità dei capi politici del tempo, da Berlusconi a Fini - misteriosamente presente nella cabina di regia delle "forze dell'ordine" - e di Ruggiero, scomparso successivamente dalla scena politica. Due anni dopo, il 15 febbraio 2003, 15 milioni di sostenitori della pace erano scesi in piazza nelle capitali del nord del mondo, per contestare il governo USA in procinto di scatenare la seconda guerra del Golfo. Il tutto finì purtroppo con l'ennesima tempesta nel deserto e l'annientamento dell'Iraq. Ne conseguì un disincanto e una delusione i cui segnali sono ancora evidenti, anche qui con la sostanziale marginalizzazione del movimento per la pace.
E ora il mio ricordo personale, confermando quanto appena scritto. La mattanza genovese è stata voluta e pianificata, con lo scopo di azzittire la forza pacifica e intelligente del pianeta anticapitalista.
Il 19 luglio ero a Roma, con il prof. Alberto Gasparini, allora direttore dell'ISIG. Eravamo stati ricevuti da Giulio Andreotti, per organizzare un grande convegno a Gorizia sulle "città divise" (Gerusalemme, Nicosia, Mosca, Roma e Gorizia), chiedendo il suo aiuto per invitare esponenti qualificati di quei mondi, in ambito accademico, culturale e politico. Ricordo che sentendo ciò che stava accadendo a Genova, mi aveva sconsigliato di andarci la mattina dopo. La sua preoccupazione incrementò il desiderio di essere là, lasciando i "Palazzi" romani per immergermi nel "mio" mondo no-global.
Giunsi a Genova nella tarda mattinata del 20 luglio, lasciai l'auto poco prima dello stadio di Marassi e mi incamminai verso il centro. Lo scenario era quello di una guerra. Mentre davanti allo stadio si svolgevano scontri, lungo tutta la via bruciavano i cassonetti e non c'era neppure una vetrina intatta. Qualcuno timidamente faceva capolino, aprendo la porta di casa e sbirciando fuori. Ho chiesto a diversi abitanti della zona cosa fosse successo e tutti hanno offerto la stessa versione. Tutta la mattina la zona era stata presa d'assalto da gruppi di persone mascherate che avevano distrutto tutto ciò che capitava loro davanti. Erano i famosi black blok, famosi per il loro nome, ma assolutamente sconosciuti, senza volto e nome, al punto che la loro opera distruttiva, vera miccia che ha innalzato alle stelle la tensione provocando l'intervento delle schiere della polizia contro i manifestanti inermi, è tuttora avvolta nel mistero e non è mai diventata oggetto di inchiesta giudiziaria.
Con il cuore a pezzi, giunsi al tunnel della ferrovia, oltre il quale era previsto il passaggio della manifestazione principale, migliaia di donne, uomini, bambini all'inizio festosi e multicolori. Già nella galleria, si respirava cattiva aria. Con altri giornalisti si è passati oltre, nella via primcipale. Ci siamo diretti verso la testa del corteo, caratterizzata dalle tute bianche dei giovani attivisti. Alle nostre spalle cominciò l'attacco della polizia. Sirene a tutto volume, sinistro battere di manganelli sugli scudi di plexigass delle centinaia di robocop in assetto di guerra, sibilo di lacrimogeni e fumo ovunque. Il corteo inerme - nessuna benché minima presenza dei facinorosi che avevano messo a ferro e fuoco la città nelle ore precedenti - è costretto disordinatamente a retrocedere. Non riesco a raggiungere la piazza, ormai il caos regna sovrano e il frastuono degli elicotteri rende impossibile perfino il pensiero. Si sentono colpi, come di mortaretti, grida di persone terrorizzate e ferite. E' il momento culminante, lo sparo che uccide un giovane e con lui le speranze di decine di migliaia di convinti sostenitori dell'idea di un mondo migliore.
Quasi trascinato dalla folla in fuga, ritorno verso il tunnel, con un anziano giornalista incontrato sulla via. Ci insegue una piccola pattuglia, sparando lacrimogeni a tutto spiano. Il tunnel è ormai invaso da una nebbia pesante, si riesce a transitarlo trattenendo più possibile il respiro. Dall'altra parte sembra tornata la calma. Gli occhi lacrimano, non soltanto per i gas inoculati - per quello lacrimeranno al sole per alcuni anni successivamente - ma soprattutto per ciò che hanno visto, l'attacco sistematico, speriamo non definitivo, alla Democrazia.
Di tutto il resto, compresa l'incredibile mattanza della Caserma Diaz, una delle più grandi vergogne italiane dal dopoguerra, ho sentito la testimonianza di amici e compagni presenti, oltre che la documentazione offerta dai giornali e soprattutto dai verbali processuali che hanno condotto fino alla verità. I responsabili di quelle ingiustizie spaventose se la sono cavata con poco, alcuni addirittura sono stati promossi a nuove responsabilità, dopo aver truccato prove, armato i misteriosi devastatori mascherati, infierito su donne e bambini.
Ecco, questa è stata la "mia" breve e indimenticabile Genova 2001. Il senso di quelle giornate era chiarissimo a chiunque fosse stato presente. I tribunali hanno confermato autorevolmente, almeno in parte, eventi e responsabilità. Le valutazioni, venti anni dopo, non sono altrettanto semplici. Il mondo è radicalmente cambiato e non certo in meglio. Gli obiettivi e le speranze del nuovo Millennio sono naufragate, travolti dal crollo delle Twin tower due mesi dopo e dalla conseguente sanguinosa guerra infinita. Recuperando l'entusiasmo soffocato in quei giorni, la questione non può essere soltanto un nostalgico e inquieto sguardo al passato, ma la domanda assillante e urgente su quale possa essere il futuro... o meglio, "i futuri" di ogni essere umano e dell'ambiente vitale che tutti ci accoglie.
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