Komenan, il sudanese, le chiese il perché di quel sorriso e lei rispose che quella sabbia candida impigliata fra i rami degli alberi era davvero affascinante.
"Ma non è sabbia, Yup'ik. Quella viene portata dalle tempeste bollenti che si scatenano nel Sahara e riempie le tende e le case, rende difficile perfino il respiro. Quella che stai contemplando è la neve, che si è posata pian piano sugli arbusti".
"Non scherzare, Komenan, vuoi che non sappia che cosa sia la neve? Ho passato tutta l'infanzia nelle case di ghiaccio, con il gelo che nei mesi oscuri ti stringeva la gola."
"In effetti c'è troppo freddo perché sia la sabbia del deserto", constatò l'africano e il suo pensiero corse al Sole umido del suo Paese, alle raffiche di mitra che lo avevano spinto a intraprendere il cammino verso il Nord.
"In effetti c'è troppo caldo perché sia la neve sugli alberi", rifletté sottovoce Yup'ik, pensando con nostalgia alla sua famiglia lontana, che aveva lasciato per cercare fortuna.
Era la prima volta che emergevano dal buio nel quale vivevano da quasi un anno. Lei aveva trovato un posto come assistente di un'anziana signora, resa insopportabile dalla solitudine e dalla malattia. Usciva solo per raggiungere il negozio di fronte alla casa e per il resto era stata reclusa, senza poter neppure aprire una finestra e guardare i germogli nel parco. Lui lavorava in una fabbrica e dormiva nell'enorme cantina dello stabilimento. Si alzava ogni mattina prima dell'alba e si coricava a notte inoltrata.
Quel giorno, un figlio era venuto per la prima volta a trovare la madre e a malo modo le aveva detto che poteva anche prendersi una giornata di vacanza, "comunque detratta dallo stipendio!". Quel giorno, era prevista una visita alla fabbrica da parte della polizia e il padrone aveva costretto Komenan ad andarsene in tutta fretta, anche a lui naturalmente la giornata era detratta dalla paga".
Si erano incontrati, dopo aver camminato a lungo e si erano seduti insieme, su una panchina che consentiva uno sguardo limpido e immenso. Si erano guardati e si erano capiti, senza bisogno di sprecare parole. Ma a quel punto, avevano rotto il silenzio ed era necessario trovare una risposta: "se non è neve, se non è sabbia, che cosa è questo candore che rende così luminose le colline?"
"Sono i ciliegi in fiore". Si voltarono e si accorsero del giovane che aveva spento il motore del trattore e li stava osservando. "E' lo spettacolo della primavera, si accendono all'improvviso tutti i colori dell'arcobaleno e la natura si prepara a offrire al mondo le foglioline, i fiori splendidi e i frutti che donano nuova energia a tutti i viventi".
Yup'ik e Komenan si guardarono, poi contemplarono l'estrema bellezza di quel paesaggio, si guardarono di nuovo e si abbracciarono, mescolando i loro umani profumi dell'alta valle del Nilo e dei ghiacciai della Groenlandia. Intuirono che ancora qualcosa stava per accadere, qualcosa che avrebbe cambiato per sempre i loro destini.
Il giovane scese dal trattore, stese un fazzoletto sulla panchina e vi collocò una pagnotta rugosa. Poi prese da chissà dove una bottiglia di vino nuovo, la stappò e ne bevve con evidente piacere. Dalla tasca estrasse un coltello e si ferì il polso, lasciando scorrere qualche goccia di sangue dentro il recipiente del vino. Sorrise gioiosamente ai due amanti sconosciuti e li invitò cordialmente a mangiare e a bere con lui. Nessuno osava porre domande, nessuno avrebbe mai voluto che quell'istante finisse, non erano mai stati così bene. Sentivano salire dal loro cuore un senso di universale ribellione per come erano stati fino a quel momento trattati, ma la rabbia si trasformava costantemente in desiderio di cambiare lo stato delle cose. Le loro sofferenze sembravano confondersi con il dolore del mondo e in quella manciata di minuti, mentre si tenevano per mano e sentivano la straordinaria forza che promanava da quel giovane strano, compresero di essere gli eletti.
Fu in quel momento che egli prese il pane, pronunciò qualche buona parola e lo diede loro. Ne mangiarono insieme, aveva un sapore di carne e di essenze divine. Disse: "Avete mangiato il mio corpo". Poi offrì loro la bottiglia del vino. Prima lei e poi lui bevvero con gusto e in abbondanza, tanto da quasi inebriarsi. Non avrebbero mai trovato le espressioni adatte, quel liquido era troppo superiore qualsiasi altro sapore assaggiato in precedenza. E lui disse: "Avete bevuto il mio sangue. Fate questo in memoria di me". E in quel momento risalì sul trattore, accese il motore e scomparve dietro a una duna.
Lontano, reduci dall'inverno appena trascorso, le montagne si inchinarono maestosamente. Umiliando le armi e le strategie della violenza, all'insaputa dell'universo circostante, iniziò in quel momento, nel cuore del Collio Goriziano, la Rivoluzione.
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