domenica 21 febbraio 2021

Enzo Bianchi di Bose, un caso emblematico

Sono stato a Bose un paio di volte, ormai qualche anno fa. 

Mi avevano colpito da una parte il clima di intensa spiritualità, il forte accento ecumenico e interreligioso, la capacità di leggere e interpretare le Scritture secondo criteri improntati all'esegesi scientifica e all'ermeneutica spirituale. Sinceramente, dall'altra parte, mi aveva un po' infastidito la "presenza" del priore un po' ovunque, nelle narrazioni dei frequentatori della comunità, nella libreria con la bibliografia se non a senso unico certamente di gran lunga prevalente, nelle bacheche dove gli incontri di Bianchi con i vip politici e culturali dell'epoca venivano puntualmente fotografati e commentati, come trofei di caccia.

Mi dispiace per ciò che sta accadendo tra le mura di quello che sempre di più sembra avvicinarsi a un normale "monastero" e forse sarebbe bene non dare giudizi affrettati, senza conoscere a sufficienza la realtà. Certo, dai frequenti messaggi che invia sui social, padre Enzo si manifesta come un uomo ferito, convinto che le sue ragioni prima o poi prevarranno sulla verità calpestata. Lo si può ben comprendere, dal punto di vista umano. L'età è abbastanza avanzata per affrontare cambiamenti così radicali di abitazione e di modalità esistenziale.

E' un po' più difficile capirlo dal punto di vista religioso. Uno degli elementi fondamentali dell'appartenenza alla chiesa cattolica è l'obbedienza all'autorità. Certo, non si tratta dell'inquadramento dei pecoroni che altro non possono fare che seguire il pastore e neppure del "signorsì" dovuto al capo militare. L'obbedienza prevista nella chiesa è quella "filiale", che presuppone cioè il dialogo, il confronto serrato e al termine, piaccia o meno, la decisione che può premiare l'uno o l'altro dei protagonisti. 

Nel caso di Bose, da una parte c'è un monaco cattolico, tenuto quindi per scelta e diritto all'obbedienza a chi guida la comunità e all'autorità ecclesiastica. Dall'altra c'è l'attuale dirigenza e il delegato pontificio che - almeno formalmente, stante il silenzio di papa Francesco che comunque è colui che lo ha inviato - rappresenta l'autorità ecclesiastica. C'è stato il tempo del confronto, della discussione che si intravvede abbastanza vivace, forse del litigio. Ed è poi arrivato il tempo della decisione, come accaduto in altri tempi a grandi profeti, quali don Milani, don Mazzolari, Gerardo Lutte, Padre Franzoni e tanti altri. Alcuni hanno deciso di obbedire, anche se a modo loro e affrontando incredibili sacrifici, diventando segni ineludibili per la chiesa ma anche per la società del loro tempo (don Milani, per esempio o don Alberto De Nadai, per rimanere nel goriziano), altri hanno scelto strade diverse, svincolandosi dalla regola dell'obbedienza, come padre Franzoni che ha continuato la sua "via" di annuncio di un cristianesimo socialista, portando sulla propria pelle tutta la conseguente fase di ricerca di un lavoro per sopravvivere, di ricostruzione di una vita affettiva, di solitudine ideologica e ideale.

Ecco dunque, se ci si può permettere senza entrare in alcun modo nella coscienza delle persone, in sintesi il problema sollevato dal caso Bose. Si può essere nella Chiesa accettandone le regole e obbedendo, senza per questo venire meno alla propria convinzione e trasformando il proprio "sì" più o meno costretto in forza vitale da investire per il bene degli altri. Oppure ci si può staccare dall'appartenenza formale, assumendosi la responsabilità dello scegliere in modo diverso, rinunciando alle "sicurezze" offerte dal più o meno comodo "tetto ecclesiale" e accettando il martirio di una solitudine guidata soltanto dalla fedeltà alla propria coscienza.

E' un po' più difficile che si possano affermare contemporaneamente i due estremi e che si possa trovare una via mediana tra un'obbedienza critica e costruttiva e una disobbedienza sofferta e altrettanto generativa. Il rischio è di incrementare in chi comanda la tragedia dell'imposizione di un'obbedienza pedissequa , di stampo militare come quella dei gerarchi nazisti che si giustificavano a Norimberga dicendo di "aver obbedito agli ordini". All'opposto, è quello di ingenerare in chi sostiene il "disobbediente fedele" un giudizio generalizzante negativo ("il nuovo medioevo nella Chiesa") su tutto ciò che riguarda la struttura di riferimento, senza riflettere che ogni dinamica strutturale ha delle regole che richiedono rispetto, pena la sua totale dissoluzione.

In altre parole, per seguire e testimoniare il vangelo, occorre essere "dentro" una Chiesa? Se si risponde di sì, occorre accettarla, anche se senz'altro con diritto di critica, così come essa è. Altrimenti si risponde di no e ci si confronta con serenità e piena libertà, portandone le conseguenze e continuando in ogni caso a costruire relazioni di amicizia e di comunità seguendo l'unico comandamento che sintetizza tutti gli altri: "Ama Dio con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze; ama il tuo prossimo come te stesso".

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