sabato 13 febbraio 2021

Solidarietà a Eric Gobetti, autore del libro "E allora le foibe?"

Eric Gobetti è uno storico serio e documentato, al quale si deve esprimere plauso e piena solidarietà. Per aver svolto onestamente il suo lavoro, cioè scrivendo un testo dedicato agli eventi precedenti, concomitanti e immediatamente seguenti la seconda guerra mondiale, ha ricevuto, lui e la sua famiglia, addirittura minacce di morte, a testimonianza di un clima sempre più preoccupante per ciò che concerne la Cultura e l'autentica ricerca e divulgazione storica. Il modo migliore per esprimergli vicinanza è sicuramente quello di comprare il libro e soprattutto leggerlo.
Ha scritto un libro dedicato a "chi non sa" e a "chi crede di sapere", smontando pezzo per pezzo la retorica antistorica che sta alla base della Giornata del Ricordo. Intendiamoci, non minimizza in alcun modo la terribile violenza che ha caratterizzato, sostanzialmente dallo scoppio della prima al periodo conclusivo della seconda guerra mondiale, il territorio dell'Alto Adriatico (così lo chiama notando che quello che ordinariamente si definisce "confine orientale" è quello "occidentale" per chi vive dall'altra parte). Evidenzia semplicemente come le tragedie che si sono verificate devono essere collocate in un preciso contesto, là dove spesso le deportazioni, i processi sommari e le condanne sono state conseguenza - non per questo dall'autore giustificata - di altrettante e ben più prolungate deportazioni, incendi di interi villaggi, fucilazioni di massa, campi di concentramento dalle condizioni disumane, perpetuate dai fascisti e dai nazisti nel ventennio di occupazione e nel corso della guerra.
Con un linguaggio avvincente e una straordinaria capacità logica, Gobetti in breve - il volume, edito da Laterza, consta di poco più di cento pagine - rileva come sotto i termini "foibe" ed "esodo" si semplifichino fenomeni estremamente complessi, portando l'opinione pubblica a un venefico corto circuito. Perfino due Presidenti della Repubblica Italiana, Napolitano e Mattarella, sono caduti nel tranello della "pulizia etnica", quando, secondo l'autore, non esiste realmente alcun documento in grado di dimostrare che la violenza del 1943 e del 1945 possa essere riportata a una volontà di "genocidio" degli italiani in quanto tali.
Molto interessante è l'analisi iniziale del passaggio dagli Imperi multiculturali agli Stati nazionali, dove l'organizzazione politica si caratterizza per la volontà di imporre a tutti gli abitanti di un determinato territorio la specifica nazionalità, conculcando i diritti degli oppressi, costretti a cambiare i loro cognomi, a non parlare la propria lingua, alla persecuzione culturale. Ciò si verifica già dopo il Trattato di Rapallo, che tanta sofferenza ha portato alle popolazioni slovene del Litorale, ma si accentua con il ventennio, che porta all'estremo l'identificazione tra "italiano" e "fascista". Tale correlazione, fortemente voluta a imposta dai governanti nel periodo fra le due guerre e in modo oltremodo drammatico nell'occupazione della Provincia di Lubiana tra il 1941 e il 1943, non appare nel mondo partigiano, dove le armate di Tito arruolano numerosi italiani (si parla di qualche decina di migliaia) e distinguono con chiarezza le responsabilità del fascismo dall'appartenenza alla comunità italiana. 
Certo, il clima del periodo porta senz'altro a vendette politiche e anche personali, a errori disumani che hanno provocato grandi sofferenze e vittime innocenti. Ma tutto ciò, appunto, se da una parte suscita una giusta pietas nei confronti di chi ha perso la vita e dei familiari che hanno vissuto momenti così tragici, dall'altra non può fermare uno studio critico e sistematico della storia, in modo da poter cercare in modo oggettivo e condiviso un "giudizio" storico in grado di riportare gli avvenimenti in un quadro completo e articolato.
La relativizzazione dei "numeri" dei deportati e degli scomparsi (che sono da "contare" in modo diversificato, come dimostra la paradossale vicenda del monumento goriziano nel Parco della Rimembranza), non ha assolutamente lo scopo di minimizzare un dramma - anche una sola vittima innocente dovrebbe suscitare orrore e compassione - ma quello di riportare il tutto all'esame di documenti, come si conviene a ogni ricerca storica degna di questo nome.
Una critica? Sì, forse la bibliografia avrebbe potuto essere arricchita anche dalla menzione dei lavori di molte storiche e storici del nostro territorio. Accanto ai più volte citati Raoul Pupo, Roberto Spazzali, Nevenka Troha, ci sarebbero state bene anche Anna Di Gianantonio, Claudia Cernigoj e Alessandra Kersevan (tra l'altro non nominata neppure nella ricostruzione del famoso episodio del quale è stata protagonista, con la denuncia del clamoroso sbaglio di fotografia durante la trasmissione Porta a Porta), oltre a personaggi da sempre impegnati nella conoscenza degli eventi, come gli storici sloveni e italiani che hanno collaborato alla stesura del "Documento congiunto" del 2000 o come Tristano Matta, grande conoscitore delle vicende legate alla Risiera di San Sabba. Sarebbe stato opportuno anche richiamare il ruolo di una parte della stampa, anche divulgativa e non soltanto specialistica, come per esempio le centinaia di articoli dedicati al tema dalla rivista goriziana Isonzo/Soča o il ruolo di una parte del mondo di ispirazione cattolica, incentrato sul movimento italo/sloveno Concordia et Pax. Così, solo per dire qualche esperienza che sarebbe stata bene in elenco, di certo accanto a tante altre...
ERIC GOBETTI, E allora le foibe?, Laterza 2021 

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