La questione di fratel Enzo Bianchi e Bose è finita al centro dell'attenzione mediatica.
Forse ciò non è accaduto soltanto perché il fondatore è una personalità nota in tutta Italia, anche e forse soprattutto fuori dal mondo cattolico. E neppure soltanto perché la Comunità è stata un punto di riferimento importante per tante persone che in essa hanno trovato un messaggio teologico e cristologico fortemente e saldamente radicato nelle Scritture, nonché uno fra i più importanti centri ecumenici e di dialogo interreligioso a livello europeo.
E allora? Allora cosa può aver sconvolto in modo così radicale quello che quasi tutti i visitatori descrivevano come una specie di piccolo paradiso in terra? Che cosa ha devastato il miracolo della fraternità al punto da costringere una persona anziana a fare valigie e a staccarsi dai luoghi che lo hanno visto protagonista di una stagione spirituale feconda e coinvolgente? Che cosa ha portato il fondatore a resistere alle imposizioni comunitarie e pontificie, dichiarando di preferire un silenzio per la verità molto rumoroso? E perché questa vicenda appare così interessante da raggiungere le prime pagine dei giornali più laici, generando tifoserie di sostenitori e denigratori?
Forse perché va al di là del problema in sé, che al fondo nessuno ha ancora capito bene. Non si parla delle grandi idee che hanno sorretto finora Bose, a giudicare da quanto si è scritto in questi giorni non sembra essere stato messo in discussione il carisma originario, forse solo adattato ai nuovi responsabili e alle nuove presenze. Ciò che sembra stare alla base di tutto e che forse per questo suscita tanto interesse, è ciò che riguarda ogni gruppo organizzato di esseri umani, sia esso una comunità religiosa, un partito, una coalizione, un'associazione, perfino una famiglia.
E' il mistero che non siamo abituati a riconoscere, la nostra intrinseca fragilità psicologica, il nostro inesauribile desiderio di essere amati, la censura dei nostri istinti che ci portano naturalmente verso il conflitto, l'incapacità di gestire le relazioni potenzialmente tossiche. Siamo pacifisti fino al giorno in cui qualcuno non muove guerra contro di noi, siamo per la libertà di parola per tutti fino a quando qualcuno non parla per negarla, siamo "fratelli e amici tutti" tranne con coloro che non ci riconoscono come tali. E, anche se non lo vogliamo ammettere, abbiamo bisogno di conferme, consolazioni, gratificazioni, anche se pubblicamente dichiariamo le nostre sicurezze, la nostra perfetta letizia, l'umiltà del sentirsi "servi inutili".
Quante comunità dagli immensi ideali sono miseramente naufragate tra le accuse reciproche di eresia, soltanto perché in realtà non sono stati messi a tema i rapporti umani? Quanti progetti sono falliti, nonostante la convinzione di tutti coloro che li avevano sottoscritti, perché non si sono curate le dimensioni emotiva, sentimentale e affettiva dei partecipanti?
Certo, sono più domande che risposte. Ma è vero che, come scriveva il grande Rilke, "tutto cospira a tacere di noi, un po' come si tace un'onta, un po' come si tace una speranza ineffabile".
Nessun commento:
Posta un commento