martedì 17 giugno 2025

Magari esistesse, il diritto internazionale!

 

Io non capisco. Non capisco chi parla di diritto internazionale. In realtà non esiste alcun documento che obblighi qualunque Stato a compiere o non compiere qualunque azione. In realtà l'unico diritto internazionale e la preistorica legge della giungla, chi è più forte vince e sottomette il più debole. Bisognerebbe ammetterlo senza ipocrisie e false ingenuità. Il diritto internazionale non esiste. E' quello che si sarebbe dovuto fare dopo le catastrofi della prima metà del XX secolo, creare un'organizzazione transnazionale, dotata di leggi non derogabili da nessuno, alla quale gli Stati avrebbero dovuto cedere parti importanti della loro rispettiva autorità. In un secolo nulla è stato fatto e quindi è inutile invocare un inesistente diritto internazionale di fronte alle cose che succedono.

E' la legge della giungla che permette ad alcune Nazioni di possedere le bombe atomiche, mentre le altre, se osano pensare di realizzarle, vengono bombardate senza pietà dalle prime. Alcune si sentono la missione di essere gendarmi del mondo, senza alcun mandato da parte di nessuno, altre invece sono costrette a subire le operazioni di polizia cosiddette "preventive". Eppure, sarebbe così semplice, se esistesse il diritto internazionale, stabilire il divieto a qualsiasi Stato del mondo - indipendentemente dalla sua ricchezza o dalla sua influenza sui meccanismi di potere planetari - di costruire e custodire ordigni nucleari. 

E' la legge della giungla che consente ad alcuni Stati, come Israele o gli Stati Uniti - giusto per portare due esempi - di intervenire in altri Stati militarmente, bombardando siti industriali, terrorizzando i cittadini, togliendo la vita con interventi mirati a personalità della politica, della scienza, della cultura di altri Paesi, senza alcuna possibilità di difesa o di replica, senza alcun accenno a motivazioni discusse davanti a tribunali regolari. Immaginiamoci cosa accadrebbe se l'Iran o qualsiasi altra Nazione si comportasse nello stesso modo. Non è difficile, basti pensare ai titoli dei giornali occidentali all'indomani dell'11 settembre 2001: "Attacco alla civiltà". Ecco, proprio così, i civili bombardieri contro gli incivili missili balistici. Che mondo si è creato, tutto incentrato sulla difesa dei "propri" dall'attacco degli "altri". E viceversa, naturalmente.

E' la legge della giungla a stabilire che l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia debba essere condannata e respinta con l'invio delle armi più sofisticate inviate da USA e Unione europea, mentre quella terribile di Israele nei confronti della Palestina debba essere accettata, se non addirittura esplicitamente sostenuta, come un'inevitabile necessità.  

Sì, perché anche questa è legge della giungla, pensare che da una parte ci sia la civiltà, dall'altra la barbarie. La concezione del mondo coltivata nell'occidente influenzato dalla filosofia greca suscita un totalmente ingiustificato senso di superiorità nei confronti di altre visioni della vita considerate meno elevate, immorali, liberticide, guerrafondaie. Ci si dimentica che la civiltà ebraico cristiana, mescolata alla filosofia greca, non ha impedito l'insaturazione delle dittature più feroci della storia, i campi di sterminio e ogni sorta di violenza contro l'uomo e contro la natura.

L'unica soluzione è proprio quella dell'insaturazione di un diritto internazionale. Non è una ricerca semplice, né a breve scadenza. Presuppone la riforma dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e la costruzione di un complesso percorso condiviso. E' una strada lunga e impervia, in tempi nei quali sembra di essere sull'orlo di un abisso. Ma quale altra soluzione, a meno che non si voglia continuare a dire parole vuote - "meglio fare la pace che la guerra", "meglio andare d'accordo piuttosto che no", ecc. - o a manifestare con un numero sempre meno convinto di persone gridando davanti al nulla il proprio desiderio di pace e giustizia in tutto il mondo?

lunedì 16 giugno 2025

Verso il tramonto?

Il Novecento ha trasmesso molti insegnamenti, nel bene e - ahimé - soprattutto nel male. Ma sembra che l'umanità non ne abbia fatto tesoro e che si ritrovi ad affrontare tragiche situazioni già sperimentate in passato.

La radice più profonda della guerra è la divisione del mondo tra "noi" e "voi", da una parte ci sono i buoni, dall'altra i cattivi, da una parte gli indiani dall'altra i cowboy, i terrestri e gli alieni.

Più concretamente, una volta archiviata la separazione tra comunismo e capitalismo, ora a livello planetario si scontrano il turbocapitalismo israeliano, statunitense ed europeo con la Palestina e ora anche con l'Iran. Ci si mette di mezzo anche la questione religiosa, con un'imbarazzante ignoranza riguardante il mondo arabo - peraltro non tutto musulmano - e soprattutto l'Islam in quanto tale.

La mancata integrazione determinata dalla carenza di conoscenza e di rispetto tra una visione del mondo e un'altra provoca inevitabilmente una radicalizzazione delle posizioni che non può portare nulla di buono. Lo si è visto a livello internazionale, con il mondo diviso non solo tra sud e nord, ma anche tra Paesi che si ritengono portatori della civiltà contro quelli accusati di essere nella barbarie. Naturalmente quelli sedicenti "civili" sono autorizzati a compiere genocidi, a realizzare esecuzioni sommarie di scienziati senza uno straccio di processo, a detenere micidiali armi di distruzioni di massa. Quelli invece ritenuti "incivili" devono subire di tutto e di più, senza poter contare sull'appoggio mediatico e finanziario del cosiddetto "Occidente", senza neppure osare di reagire alle provocazioni sanguinose e senza pensare di competere sul piano scientifico, filosofico e morale.

A livello meno ampio, anche le schermaglie locali dimostrano come il rigetto sistematico del dialogo e la fattiva persecuzione di una parte della popolazione da parte dell'altra provochino un'intensificazione delle ragioni identitarie, enormemente rafforzate dalla necessità di difendersi da un mondo ostile. Le crociate contro l'Islam in uno Stato che dovrebbe essere laico non sono solo immorali perché contrastano l'elementare principio della fraternità universale, ma sono anche molto pericolose, in quanto innalzano il livello dello scontro identitario. Le guerre di religione sono molto crudeli, anche se scatenate - in nomine Christi - da chi della religione cristiana non conosce neppure i fondamenti.

Per uscire da una situazione troppo simile (mutatis mutandis) a quelle precedenti la prima  e la seconda guerra  mondiale, occorre un cambio totale di mentalità. Al primo posto deve essere realmente - non a parole - la consapevolezza di essere "umani", donne e uomini partecipanti a un'unica famiglia diffusa su tutta la Terra. Se questa coscienza precedesse la percezione della diversità fra le persone e i popoli, tale differenza sarebbe benefica e sarebbe meraviglioso che le culture, le religioni, le concezioni del mondo si donassero le une alle altre le proprie caratteristiche. Invece questi aggettivi (italiano, tedesco, cinese, senegalese o brasiliano... cristiano, musulmano, ebreo o buddhista... ecc.) precedono di solito la comune realtà di esseri anzitutto "umani" e diventano motivo di divisione, incentivo di terribili guerre scatenate per il bene di pochi cinici reggitori della sorte di tutti.

Fermiamo questa deriva, diamo nuova forza al nobile esercizio del Pensiero, costruiamo un Pianeta che non abbia confini, fuggiamo dalla tentazione della salvaguardia dell'"identità", crediamo e sosteniamo la bellezza della pluralità. Prima che sia troppo tardi!

mercoledì 11 giugno 2025

Monfalcone e la nuova crociata

 

Bei tempi quelli nei quali i simboli della fede erano talmente complessi da richiedere anni di iniziazione per essere compresi e accolti! Bei tempi perché il cristianesimo si inseriva con discrezione nella vita di una società pluriculturale e plurireligiosa, custodendo con un alone di silenzio e segreto le proprie caratteristiche e i propri fondamenti. In questo modo chi aderiva, dopo aver percorso tre o quattro anni di formazione e aver ricevuto insieme i sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucarestia, conosceva molto bene i dogmi e le regole del vivere cristiano.

Poi è arrivato il cristianesimo imperiale, che ha soppiantato gli universi religiosi preesistenti, distruggendo i mitrei e i luoghi di culto, edificando al loro posto le grandi basiliche. La croce, mai rappresentata almeno fino al V secolo, è diventata paradossalmente un segno identitario, da imporre ai sudditi dell'Impero, con le buone maniere o più spesso con le cattive.

Quello che sta accadendo a Monfalcone ricorda le controversie medievali, con una personalità politica che veste i panni di San Bernardo da Chiaravalle e lancia la crociata contro gli infedeli che - secondo lei - vorrebbero infangare la "religione di Cristo". Addirittura arriva a vantarsi di aver scritto a papa Leone XIV, forse pensando al primo Leone che secondo la tradizione avrebbe fermato Attila sul Mincio, presso un paese che ancora oggi, in suo onore, porta il nome di Salionze.  

In una città che potrebbe proporsi a livello nazionale come grande esempio di convivenza e dialogo tra culture, forme religiose e visioni della vita differenti, si è invece creato il muro contro muro. E la responsabilità primaria è di una politica amministrativa che strumentalizza i reali problemi che le persone affrontano ogni giorno, per un mero tornaconto elettorale. Non si è riusciti ad affrontare serenamente la questione delle donne che entrano nel mare vestite, si è di fatto utilizzato un cavillo del piano regolatore per impedire a dei credenti di pregare. Invece di sostenere le cittadine e i cittadini musulmani, si è cercato di ostacolarli in tutti i modi. Invece di creare luoghi di dibattito e confronto nei quali cercare soluzioni condivise, si è preferito calcare l'effimera ribalta nazionale, facendo di ogni erba un fascio e mettendo in discussione la stessa esistenza di una religione che coinvolge più di due miliardi di pacifici fedeli nel mondo.

L'ultimo atto di questa storia è quello che avrebbe convinto la suddetta a scrivere un messaggio accorato al Pontefice, un po' come Caterina da Siena che si rivolgeva al "dolce Cristo in terra" per invitarlo a lasciare gli eretici avignonesi per tornare a Roma.

I parroci di Monfalcone - totale e piena solidarietà! - hanno sopperito alle clamorose mancanze delle amministrazioni comunali che si sono succedute negli ultimi anni e hanno messo a disposizione l'oratorio San Michele prima e ora alcuni locali adiacenti la chiesa della Marcelliana. Si è trattato di un gesto di ordinaria ospitalità, tali sale sono normalmente utilizzate da società sportive, gruppi culturali, compleanni o riunioni di condominio. Chi le usa, come è giusto, paga anche un affitto e le adatta alle proprie necessità. Cosa ci può essere di strano se in una riunione di preghiera, i musulmani coprono delle immagini che richiamano la professione di una fede diversa dalla loro? Cosa c'è di offensivo? Forse che le opere momentaneamente occultate sono state danneggiate o vilipese? 

Proprio no e per questo il presunto scandalo non è altro che l'ennesimo tentativo di squalificare una grande religione di pace che la stragrande maggioranza dei cristiani non conosce minimamente. Ma è anche la dimostrazione della completa ignoranza degli stessi fondamenti della fede cristiana, incentrati sull'amore nei confronti del prossimo, sulla nonviolenza attiva e sull'accoglienza fraterna. Come pure è la mancanza di rispetto nei confronti del grande valore che è la laicità dello Stato democratico: date a Cesare quello che è di Cesare, date a Dio quello che è di Dio. 

martedì 10 giugno 2025

I referendum e una sinistra da rifondare

Ho votato i cinque referendum. Mi dispiace che non si sia raggiunto il quorum e che quindi non sia stato possibile ottenere il risultato atteso.

Si capisce l'esultanza della destra, molto meno quella della cosiddetta sinistra. Come si fa solo a pensare che il raggiungimento di 14 milioni di votanti sia un successo?

In realtà è stato un vero disastro che dovrebbe suscitare molti ripensamenti, invece che arrampicamenti sugli specchi. Il 70% degli italiani non ha votato, il che significa che la destra ha approfittato della ghiotta occasione di attribuirsi una facile e prevedibile vittoria.  E' stato inoltre un contributo alla sempre più evidente disaffezione a qualsiasi forma di votazione, tanto più a quella referendaria che - prevedendo l'obbligo del raggiungimento del quorum - rende di fatto un'opzione legittima e strategica quella dell'astensione (peraltro sollecitata in passato da tutti coloro che non condividevano l'uno o l'altro quesito, destra, sinistra, gruppi sociali e culturali, conferenza episcopale, ecc.).

Anche le percentuali dei sì e dei no sono da brividi e reclamano un'immediata approfondita riflessione politica. I quattro quesiti sul lavoro, come previsto, hanno ottenuto quasi il 90% dei consensi, dimostrando effettivamente che la questione suscita molto interesse, molto probabilmente anche in chi non ha ritenuto di votare, supponendo che in realtà un'eventuale vittoria dei sì non avrebbe modificato granché, stante l'attuale dettato legislativo.

Invece il quesito sulla cittadinanza ha avuto un esito veramente molto preoccupante, al punto da far ringraziare la sorte che ha consentito ai referendum di non raggiungere il quorum. Immaginando che buona parte della destra abbia disertatole le urne, ci si può chiedere che destino avrebbe avuto il quesito sulla riduzione dei tempi per l'ottenimento della cittadinanza da dieci a cinque anni? Questo forse è il dato più inquietante di tutti. A fronte di un quasi plebiscito da parte dei pochi votanti, il 65% di sì nel referendum numero cinque dimostra che la maggioranza degli italiani è di fatto contraria a qualsiasi facilitazione dell'accesso alla cittadinanza da parte dei migranti. 

E questo è un dato su cui riflettere e su cui non impostare più solo campagne "contro" la destra o per destabilizzare un governo che, al di là delle ordinarie schermaglie, sembra ancora ben saldo. Occorre che ci siano proposte di ampio respiro, veramente e profondamente radicate nella tradizione della sinistra sociale, riguardanti le politiche del lavoro, dell'ambiente, dell'accoglienza, della casa. Siano proposte non calate dall'alto, avulse dai reali problemi che portano le persone a votare a destra o a non votare. Siano il rilancio di una visione complessiva del vivere sociale, in una prospettiva realmente anticapitalista, pacifista e internazionalista.

lunedì 2 giugno 2025

2 giugno, il primato della RES-PUBLICA sulla RES-PRIVATA

 

Un augurio a tutte e tutti! La Festa della "res publica" non esclude nessuno, se non chi ritiene che sia molto più importante la "res privata".

Celebrare il 2 giugno significa riprendere in mano almeno i primi dodici articoli della Costituzione: il lavoro come fondamento, quindi la partecipazione di ogni cittadino alla costruzione dello Stato, il potere che appartiene al popolo. Inoltre non si possono dimenticare la libertà di espressione, di culto e di pensiero, poi la protezione di coloro che bussano alle porte dell'Italia fuggendo dalla guerra e dalla fame, insieme al loro diritto all'accoglienza. Soprattutto, dati i tempi, è indispensabile ricordare il RIPUDIO della guerra come strumento di risoluzione dei problemi internazionali.

Ma la Festa della Repubblica è anche l'occasione per rivendicare il primato dell'interesse pubblico su quello privato, oppure - se si preferisce, ricordando intuizioni più che bimillenarie - la finalizzazione anche della proprietà privata alla destinazione universale delle risorse. 

Al di là delle parole e degli spunti retorici che spesso si sprecano in queste occasioni, è veramente urgente che la Politica (con la P maiuscola) si affranchi dalla deriva privatistica che caratterizza l'attuale momento dell'Italia, dell'Europa e del Mondo. Solo per portare due esempi macroscopici, è evidente quanto la riduzione della Sanità e della Scuola a mere occasioni per generare profitti privati, ricostruisca quella divisioni tra classi che solo qualche anno fa si sperava fosse soltanto un brutto ricordo. Chi se lo può permettere, può ricevere un'istruzione adeguata per poter utilizzare le leve del Potere, gli altri dovranno accontentarsi del ruolo di comprimari. C'è il rischio di tornare al dettato della profetica Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana! E chi se lo può permettere, riceverà (o già riceve, ahimé) cure immediate ed efficaci, mentre gli altri dovranno prendere atto della fine della sicurezza dei Medici di Medicina Generale, delle file sempre lunghe per le visite urgenti, della deprivazione dei reparti ospedalieri a tutto vantaggio dei privati.

Ordunque! Se non si vuole rimanere nei soli enunciati di principio, occorre un soprassalto di convinzione e di coraggio. La rappresentanza politica dello Stato e delle amministrazione locali sia in prima fila nel difendere la RES PUBLICA e nel regolamentare quella privata. E le cittadine e i cittadini, chiamati a esercitare la propria sovranità attraverso gli strumenti messi a disposizione dall'attuale momento del sistema democratico, quando votano si ricordino e si interroghino sugli appetiti di chi propone la privatizzazione selvaggi come presunta soluzione di problematiche che appartengono a tutti. 

mercoledì 28 maggio 2025

La Striscia di Gaza

 

La Striscia di Gaza è un territorio molto piccolo, 365 kmq, abitato da quasi 2.500.000 persone. Per rendersi conto delle dimensioni, l'ex provincia di Gorizia, una delle meno estese in Italia, conta 466 kmq ed è abitata da meno di 140.000 cittadini.

Già dalla cartina annessa, tratta dall'interessante e toccante volume di Nandino Capovilla e Betta Tusset, Sotto il cielo di Gaza, si può  intuire che la situazione attuale non è il frutto dei tragici eventi del 7 ottobre 2023, ma di un'irrisolta questione politica e sociale.

Non c'è  un libero accesso al mare, un altissimo muro circonda l'intero confine con Israele, la frontiera con l'Egitto è quasi insormontabile, il terreno è desertico, non si possono costruire industrie, non si può fuggire dall'enclave, un terzo della popolazione è costituita da profughi da altre zone altrettanto devastate.

Come è possibile sopravvivere in queste condizioni? Come trovano il pane quotidiano milioni di esseri umani ai quali è preclusa qualsiasi possibilità di lavoro, di impegno, di contatto con chi vive al di là della barriera di separazione? Come cercare di attirare l'attenzione del mondo, quando i media planetari sono ingaggiati per presentare un unico punto di vista sul reale?

Gli atti odiosi connessi a una guerra interminabile, praticamente a senso unico, hanno portato alla morte di decine di migliaia di persone. "C'è stato un bombardamento anche questa notte, una cinquantina le vittime palestinesi" - gracchia la radio suscitando qualche istante di tristezza nell'automobilista concentrato. Una cinquantina di esseri umani ha finito violentemente la sua vita, non c'è più, è sprofondata nel nulla. E così ogni giorno, ogni notte... Un terrore continuo, fine pena mai.

E poi la storia della dottoressa di Gaza che ha perso in un solo colpo 9 dei suoi 10 figli, l'ultimo nato solo qualche mese fa. E poi le immagini della bambina che quasi con calma rassegnata cerca di lasciare la sua scuola in fiamme. E le case azzerate dai bombardamenti, gli ospedali sventrati, i centri di raccolta colpiti, i mercati distrutti, gli aiuti umanitari impediti...

Qui non c'entrano niente la Shoah o i diritti degli ebrei, la catastrofe dei campi di sterminio è una macchia che oscura la storia dell'umanità e come tale resterà nella memoria per sempre. Qui c'entra la miopia di un governo fascista - anche se votato a maggioranza dagli israeliani - quello di Netanyahu e la soggezione dei potentati del mondo, incapaci di mediare una pace giusta e duratura.

E' terribile sentirsi impotenti, in questa situazione. Non servirà forse a molto, ma il grido di protesta popolare può forse essere  l'unico strumento utilizzabile per cercare di cambiare le cose. Sempre che si sia ancora in tempo, perché non è difficile prevedere che questa drammatica instabilità possa risvegliare forme di violenta reazione - o di resistenza, dipende dai punti di vista - in grado di coinvolgere obiettivi sensibili e civili in tutto il cosiddetto Occidente.

Che ci si fermi, finché si è in tempo!

martedì 27 maggio 2025

Buon compleanno, don Lorenzo Milani (27.05.1923 - 26.06.1967)

 

Avrebbe 102 anni, ma il suo messaggio è ancora tremendamente giovane e attuale.

Don Lorenzo Milani è nato il 27 maggio 1923, è cresciuto in un ambiente culturalmente avvincente, prima di decidere improvvisamente di diventare prete. Tale situazione privilegiata sarà sempre per lui una sfida, sollecitando il desiderio di riuscire a passare "per la cruna dell'ago", cosa che secondo l'insegnamento di Gesù sarebbe quasi impossibile a un ricco. Tuttavia l'ambiente familiare gli è rimasto molto impresso, soprattutto il rapporto con la madre, raccolto in un meraviglioso epistolario nel quale si può scoprire l'anima più profonda e intima del grande sacerdote fiorentino. 

Il suo ministero, improntato fin dall'inizio alla comunicazione del vangelo attraverso l'insegnamento della parola, fin dall'inizio si è caratterizzato per un'originalità e un'intelligenza ancora oggi sorprendenti.

A San Donato a Calenzano ha realizzato una scuola popolare che si è trasformata subito in un centro di Cultura. I giovani hanno lasciato i giochi degli oratori e della case del popolo per ascoltare testimonianze e confrontarsi con i maggiori temi sociali e politici dei primi anni '50. Da quell'esperienza, finita con il trasferimento voluto dall'arcivescovo Florit, influenzato dai maggiorenti della Democrazia Cristiana del mondo fiorentino, nascerà uno splendido libro, "Esperienze Pastorali", ancora oggi straordinariamente attuale. Si potrebbe aggiungere un purtroppo, visto che dalla pubblicazione sono passati 70 anni!

Trasferito a Barbiana, una canonica una chiesa e case sparse sul monte Giovi nel raggio di una quindicina di chilometri, ha superato subito lo sgomento di trovarsi in un apparente nulla. Ha obbedito a un'imposizione assurda, ma ha saputo trasformare il suo esilio in un'occasione straordinaria di rinnovamento e crescita di una delle zone più povere dell'Italia nella seconda metà del Novecento. 

Ha messo in piedi la scuola, 365 giorni all'anno per 24 ore al giorno. C'erano lezioni del priore, incontri con grandi personalità della Cultura, dibattiti su qualsiasi argomento importante, lettura quotidiana dei giornali. Non mancava l'insegnamento del catechismo, secondo un metodo molto efficace, legato alla presentazione storica dei personaggi e alla contestualizzazione delle parole. I bambini camminavano anche quattro ore al giorno per andare a scuola - non c'erano strade ma solo impervi sentieri - molti si fermavano a dormire nella povera canonica, aiutati e sorretti anche da Eda Pelagatti, la brava "perpetua" di Barbiana. La scuola era una semplice stanza, al centro c'era la famosa scritta "I care", "mi interessa, mi sta a cuore, "il contrario del motto fascista me ne frego" - usava ripetere don Lorenzo.

Dalla scuola sono nati due degli scritti più noti, Lettera a una professoressa e l'obbedienza non è più una virtù (ma la più subdola delle tentazioni). Nel primo si è messo in discussione il sistema scolastico italiano, sottolineando come l'incapacità di usare la parola sia lo strumento utilizzato dai potenti per schiavizzare i poveri. Nel secondo, che prende le mosse dal processo subito per vilipendio alle forze armate, si parla dell'eroismo dell'obiezione di coscienza al servizio militare e del coraggio dei disertori che in guerra preferivano morire piuttosto che uccidere dei giovani come loro. Molto interessante è il tema della nonviolenza e la condanna di ogni "guerra giusta", esclusa quella partigiana che ha portato la libertà e la cancellazione del veleno nazifascista.

E' incredibile quanto abbia influito la figura di don Milani nella società, nella chiesa e nella scuola. La sua testimonianza è stata breve, la malattia lo ha colpito nel pieno della sua gioventù e lo ha condotto alla morte a soli 43 anni, il 26 giugno 1967. Ma la sua memoria è più viva che mai. La sua canonica spersa sui monti è diventata meta di pellegrinaggi, recentemente ci sono passati il presidente Mattarella e papa Francesco. Chissà cosa avrebbe pensato don Lorenzo, se qualcuno gli avesse detto che nel luogo in cui era stato inviato per punizione, sarebbe passato perfino il vescovo di Roma, la guida della Chiesa cattolica universale!

Tutto questo e molto altro ricorderemo domani, presso Fondazione Friuli a Udine, alle ore 18, per iniziativa di quella bella associazione che è quella dei Toscani in Friuli. Veramente una bella occasione per ricordare e conoscere meglio il Priore di Barbiana, colui che ha scelto di essere sempre "dalla parte dell'Ultimo".