Per onorare Primož Trubar e la Festa della Riforma, cosa meglio di una bella gita sui monti, favorita da un tempo spettacolare e da una temperatura che non si sa se definire piacevole o preoccupante?
La meta è stata il massiccio dell'Olševa, sopra il paese di Solčava. Certo, prima di arrivare al punto di partenza, c'è stato il tempo per riflettere sui cambiamenti climatici e sulla terribile tragedia di questi giorni in Spagna. Non vi si poteva non pensare, attraversando Ljubno e Luče, poi Črno na Koroškem. Sono tutti paesi che portano ancora ben evidenti le ferite dell'alluvione di un anno fa, che ha trascinato con sé case, campi, strade e ponti. Ed è un puro caso il fatto che nessuno si sia fatto male.
Da Solčava si percorre una ripida stradina di montagna, passando accanto a romantiche kmetije, fattorie che ospitano non solo mucche, pecore e galline, ma anche turisti che desiderano sperimentare l'accoglienza della gente della montagna.
Si arriva così nei pressi di una chiesa, dedicata a Sveti Duh, lo Spirito Santo. Lo sfondo è mozzafiato, con il Kamniško Sedlo, dominante Logarska Dolina e alla sua destra la vetta della Brana, tondeggiante. Tutto è immerso nella tranquillità del mezzogiorno, con il Sole che ha già iniziato la sua parabola discendente, ma non per questo si è stancato di scaldare la terra, in questo scorcio finale di un estate prolungata ben oltre le annuali scadenze astronomiche. Tra una casa contadina e un gregge con gli agnellini che giocano e saltano in modo talmente simpatico da suscitare penosi sensi di colpa a chi non dimentica gli arrosticini dell'Abruzzo, si comincia a salire. Per arrivare in cima, ci sono oltre 800 metri di dislivello da superare, ma la meta intermedia è alla portata, anche se si è partiti in orario da spiaggia e non da escursione alpina.
Il bosco è bellissimo, il profumo dei funghi domina ovunque e si cammina sul muschio come su una meravigliosa moquette. All'improvviso, proprio dove minacciosi cartelli annunciano l'attraversamento clandestino del confine fra la Slovenia e l'Austria, il sentiero si fa stretto e comincia a farsi molto ripido. Si oltrepassa senza difficoltà un grande balzo roccioso e in breve tempo si arriva a Potočka Zijalka, dove, come racconta la seconda parola, si rimane a bocca aperta.
Nella roccia si apre un'immensa cavità, si addentra nella montagna per oltre cento metri. E' possibile entrare e camminare tra gli sfasciumi di rocce crollate chissà quando.
Opportuni cartelli informativi raccontano dei ritrovamenti del secolo scorso. Prima uno studente di medicina scoprì le ossa degli orsi che avevano per millenni abitato l'antro, prima di essere soppiantati dal solito essere umano. La datazione dell'arrivo dei nuovi inquilini si aggira intorno ai 35.000 anni fa. Erano i "Cro Magnon" che non sembra fossero particolarmente aggressivi, anche perché difficilmente a qualche concorrente sarebbe venuto in mente di attaccare un alloggio così difficilmente accessibile. E così, sembra che i buoni Crommy si dedicassero all'arte musicale, nella grotta è stato trovato un flauto ricavato da osso d'orso più giovane di "soli" 10mila anni rispetto a quello dei Neanderthal nascosti nelle Divje Babe di Šebrelje. Può darsi che siano stati tra gli antenati dei sarti della storia, qui è stato trovato anche un ago, il primo conosciuto al mondo, per cucire le pelli che scaldavano gli esseri umani. Bon sì, è ovvio, per quanto romantici e sognatori, dovevano pur vivere e quindi erano anche cacciatori, mangiavano gli orsi e le capre selvatiche, si coprivano con il loro cuoio.
Ad avere tempo, sarebbe bello salire ancora un po', fin sulla vetta più alta del massiccio. Ma il percorso, facilitato anche da corde di ferro ben salde nelle rocce, si può affrontare quando si parte al sorgere della nostra grande Stella e non in prossimità del suo tramonto.
Per il momento, è meglio scendere godendosi i sussurri degli alberi nel bosco. Molti sono minacciati dalla scure, sono stati colpiti a morte dalle tempeste del 2023. Altri l'hanno scampata e si leccano reciprocamente le ferite. Tutti si domandano la data dell'arrivo della prima neve. Sì, dal loro mormorio concitato, non disdegnano di succhiare la luce solare, ma dimostrano anche una certa apprensione. 15 gradi, a 1600 metri, alle quattro del pomeriggio, anche per i più vecchi sono una novità...