domenica 26 ottobre 2025

Go25 e il dialogo interreligioso

 

Nei prossimi giorni si terrà a Gorizia il festival del dialogo interreligioso, con l'accattivante titolo Terre di pace.

Purtroppo non mi sarà possibile partecipare e mi dispiace davvero, perché è una bella e importante occasione per conoscere, riflettere e crescere nelle buone relazioni.

Se ne parlerà molto, in questo contesto interessa offrire un paio di interrogativi che troveranno sicuramente risposta nell'incontro goriziano.

Il primo riguarda i concetti di religione e di dialogo. La domanda fondamentale, alla quale sicuramente l'Oriente risponde in modo più adeguato rispetto all'Occidente, è relativa alla pretesa unicità di ciascuna religione. Le cosiddette vie "del libro" - ebraismo, cristianesimo, islam - ritengono di essere le uniche depositarie della Verità rivelata da Dio. Ciò vale tuttora, anche per lo stesso cattolicesimo, fino al Concilio Vaticano II convinto del fatto che "extra Ecclesiam nulla salus" e anche successivamente abbastanza restio al confronto paritetico con gli altri percorsi religiosi. La pretesa unicità della propria via religiosa è il maggior ostacolo a un autentico dialogo, il quale per definizione dovrebbe presupporre la parità di condizioni di tutti gli interlocutori.

Certo, c'è la possibilità di aggirare l'ostacolo, cercando "ciò che unisce piuttosto che ciò che divide". In questo caso la relazione tra le diversità può effettivamente risultare una ricchezza, ma non toccando il punto fondamentale, obiettivamente lascia tutti nella propria posizione senza modificare alcunché.

Si può porre anche il problema da un altro punto di vista. Le religioni altro non sono che diverse strade per manifestare - attraverso miti, riti e sistemi valoriali - il rapporto con il medesimo e unico Dio. Questo percorso, che libera il mistero trascendente da speculazioni che non possono altro che essere frutto dell'umana ragione, trasforma tuttavia ogni religione in un sistema politico e culturale di natura esclusivamente umana. A questo punto, diventa veramente difficile esercitare il principio del cercare ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. In relazione a concezioni dogmatiche fondamentalmente lontane dalla vita quotidiana si può anche arrivare a stabilire dei principi comuni, come proposto spesso dal per questo criticatissimo papa Francesco e scritto nell'interessante documento di Abu Dhabi. Se invece si mette a tema la realizzazione politico culturale di ogni religione, è necessario misurarsi su temi estremamente concreti, se non si vuole rimanere confinati in un'insopportabile genericità.

Sarebbe bello che il meeting di Gorizia affrontasse i fondamenti teologici e filosofici di un dialogo tra sistemi di rappresentazione della fede. Ma sarebbe importante anche che fossero messi in discussione gli elementi fondamentali della contemporaneità: il ruolo delle religioni - o meglio in questo caso delle confessioni cristiane - nella guerra tra Russia e Ucraina, la questione religiosa nel genocidio del popolo palestinese, i fondamentalismi cristiano islamico ed ebraico e inoltre, per venire a casa nostra, il dialogo interreligioso in ambiti di significativa convivenza, come per esempio la realtà di Monfalcone.

In questo modo, dalla discussione potrebbe nascere un vero e concreto Manifesto per il futuro, non un semplice elenco di buone intenzioni, delle quali, come si sa, sono piene le fosse.

sabato 25 ottobre 2025

Tra Resistenza e Nonviolenza

Sui muri di Riace
Gran parte delle condizioni che ci caratterizzano sono frutto della fantasia dell’essere umano. Basti pensare agli elementi che costituiscono la nostra cosiddetta identità. Cosa significa essere italiano, sloveno, friulano, ucraino, russo, come pure cristiano, musulmano, buddhista, se non sentirsi appartenente a un contesto culturale, i cui miti, riti e valori morali sono tutti “inventati” dall’uomo?

Che cos’è che ci accomuna naturalmente, in quanto parte non soltanto della famiglia umana, ma anche di quella ben più vasta dei viventi? La risposta è: il dolore.

In battaglia ci si scanna per difendere una bandiera, frammentario e momentaneo emblema di un’appartenenza del tutto fittizia. Ma la ferita provocata dalla baionetta, dal cannone o dalla bomba genera una sofferenza che accomuna vincitori e vinti, assalitori e assaltati, umani, animali e anche vegetali. Il dolore è reale, non inventato dalla fantasia e rende tutti congiunti, vittime e carnefici, colpiti dalle armi o dalle più o meno prevedibili catastrofi della Natura.

Questa constatazione potrebbe essere densa di conseguenze. La prima viene proposta dalle vie dell’Oriente. Se si è tutti collegati, interconnessi e uniti nell’immenso legame che si chiama vita, lo sguardo sull’altro non può che essere quello della com-passione, la compartecipazione attiva alla sofferenza universale. Da ciò deriva anche il fondamento filosofico del Satyagraha, la nonviolenza attiva proposta da Gandhi, l’obbligo etico di non generare altro dolore e di chinarsi amorevolmente su quello già esistente. Ciò potrebbe indebolire la forza dell'indignazione, potrebbe dare ancora maggior spazio alla prevaricazione del prepotente? La nonviolenza non potrebbe addirittura incrementare i progetti perversi dei violenti? Se lo chiedeva anche uno dei più grandi pacifisti del XX secolo, Dietrich Bonhoeffer, che decise di contraddire il suo stesso progetto di vita partecipando all'attentato a Hitler. Sono domande drammatiche. E’ profondamente umano lasciarsi picchiare guardando negli occhi l’offensore che esercitare la propria forza fisica per fargli del male. Ed è vero che l’indignazione per l’ingiustizia possono trasformarsi in azione concreta di risposta all’odio con l’amore e alla vendetta con il perdono. Ma quando è in gioco il destino degli altri, siano essi persona indifesa vilmente attaccata o intera popolazione minacciata di genocidio, è ancora lecito trincerarsi dietro alla nobile causa della nonviolenza? E' sufficiente invocare un boicottaggio quando l'offensore dispone della bomba atomica (se lo chiedeva del resto lo stesso Gandhi nel suo testo Antiche come le montagne)?

Forse una via di risposta può essere individuata nel concetto di memoria. La scelta dell'istante non può prescindere dal grado di ingiustizia e di sopraffazione. La risposta nonviolenta non sta forse nell'utilizzo o meno degli strumenti che possono impedire l'aggravarsi di una catastrofe, bensì nella motivazione che spinge alla Resistenza nei confronti dell'oppressore. L'esempio della Lotta per la Liberazione dal nazifascismo è l'esempio più eclatante, in quanto determinata dalla disponibilità a perdere la propria vita per il bene e la libertà di tutti. In un certo senso, si può affrontare l'avversario violento, razzista, guerrafondaio, mossi da un sentimento di amore nei confronti di ogni oppresso, paradossalmente anche di colui che si combatte, rinchiuso nella tomba di un'ideologia perversa. 

Il nostro territorio di confine ha sperimentato più volte quanto tutto questo sia vero. E’ impossibile condividere il ricordo di tanti eventi accaduti, troppo grande è la sofferenza individuale e collettiva generata dagli eventi che hanno caratterizzato il XX secolo. Nell'ottica della nonviolenza il giudizio storico sulla prevaricazione fascista e nazista rimane, ma è tuttavia possibile conoscere e rispettare il dolore. In questa profonda compartecipazione del dolore, diventa possibile accogliere con rigore razionale la ricerca di oggettività del dato storico e nel contempo l’emozione soggettiva di chi nei conflitti ha perso figli, genitori, fratelli e amici.  Il dato storico orienta senza tentennamenti all'esplicito rifiuto delle azioni di chi ha provocato tanto male (giusto per fare un esempio, la necessaria rimozione della cittadinanza onoraria a Mussolini o il rigetto della richiesta di accoglienza dei reduci della Decima mas in Municipio). Il rispetto per il dolore dell'altro depriva il dato storico e le sue conseguenz3 della componente dell'odio e del desiderio di vendetta. 

Tutto ciò non risolve i problemi e neppure i giudizi sull’evolversi della storia. Il fascismo resta un crimine e non un’opinione, comunque lo si chiami, il genocidio di Gaza grida giustizia al cospetto dell’intera umanità e chi lo consente o addirittura promuove è un criminale. Ma la compartecipazione all’universale dolore umano è soltanto un primo passo, autenticamente rivoluzionario. Davanti ai corpi straziati seminati ovunque da un’enorme violenza, si può invertire la rotta soltanto riconoscendo l’immensa, comune sofferenza. La com-passione da una parte non censura l'ingiustizia, dall'altra non genera la rappresaglia, ma la ricerca dell’accordo e del negoziato, affinché la vita possa prevalere sulla morte.

E’ la basagliana “utopia della realtà”? 

giovedì 23 ottobre 2025

La maggioranza silenziosa del consiglio comunale

Ho seguito attraverso i giornali il destino dell'importante mozione di Rosi Tucci in consiglio comunale a Gorizia. Riguarda il drammatico tema della situazione attuale e del riconoscimento dello Stato di Palestina.

C'è un aspetto che mi ha colpito, già riscontrato in occasione della mancata cancellazione della cittadinanza onoraria a Mussolini. L'articolata e approfondita mozione di Eleonora Sartori ha superato nell'occasione i confini della Regione e dello Stato. Ha raggiunto anche le trasmissioni televisive nazionali, sia per l'incomprensibile "gran rifiuto" che per la risibile giustificazione addotta dal sindaco che ha equiparato una linea con la penna sul nome del dittatore alla distruzione della antiche statue del Buddha da parte dei Talebani. 

Ciò che colpisce è il silenzio assoluto della cosiddetta "maggioranza consigliare". Se si può capire, ma non giustificare, in occasione della questione essenzialmente politica relativa al riconoscimento onorifico conferito cento anni fa al capo del fascismo, non si può né capire né giustificare nell'ultimo caso in questione. Non esiste luogo pubblico o privato, dove il tema della Palestina non sia stato esaminato e discusso, certo con tesi contrapposte, come si conviene a una questione così delicata e difficile. Da parte di tutti, sia pur con toni diversificati, c'è stato ovunque almeno un moto di pietas nei confronti della sofferenza immane della gente che vive nella Striscia di Gaza, come pure delle famiglie delle vittime degli attentati del 7 ottobre, della situazione delle decine di migliaia di ostaggi palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane e della sorte di quelli trattenuti fino a qualche giorno fa nei tunnel di Gaza.

L'unico luogo nel quale la maggior parte dei presenti ha preferito un assordante silenzio è la principale aula della politica cittadina, quella appunto dove si svolge il Consiglio Comunale. C'è chi si chiama fuori, ritenendo che in tale sede si debba trattare esclusivamente ciò che riguarda la città, come se le questioni nazionali, europee e internazionali non riguardino in alcun modo l'"isola felice" ai confini della realtà. E c'è ogni componente della maggioranza, assessori compresi, che non ritiene di dover pronunciare neppure una parola - a favore o contro - rispetto a una vicenda che non coinvolge tanto le posizioni ideologiche dell'uno o dell'altro, ma il livello stesso di consapevolezza di appartenere al genere umano. Dato per scontato che i vari consiglieri abbiano un'idea relativamente a ciò che sta accadendo, perché non esprimerla? Perché non rappresentare quella parte di cittadini che li ha votati, offrendo all'aula il proprio pensiero? Di che cosa hanno paura, se giungono fino a tacere di fronte a ciò di cui sicuramente parlano dal mattino alla sera in famiglia, con i colleghi di lavoro, ovunque? 

E' veramente penoso vedere delle persone adulte che si trincerano dietro al probabile "ordine dall'alto" e si autoimpongono un silenzio carico di tensione, così contradditorio rispetto alle inaugurazioni delle conclamate "opere di pace" che il Comune ha voluto con l'obelisco di piazza della Casa Rossa, le statue di piazza Sant'Antonio e il festival del dialogo interreligioso. Si auspica il dialogo fra le religioni e fra i popoli e nel contempo ci si rifiuta di dialogare tra concittadini addirittura in una sede prestigiosa e democratica come è il Consiglio Comunale. "Meglio parlare di ciò che unisce, senza affrontare ciò che divide". Con questa idea di confronto tra umani, saremmo ancora sugli alberi a cercare di sfuggire agli atletici salti della tigre dai denti a sciabola...

mercoledì 22 ottobre 2025

Isonzo Soča, ecco il numero 121

 

Esce il numero 121 di Isonzo Soča, la rivista fondata e diretta per decenni da Dario Stasi e ora ritornata nelle edicole per trattare temi locali e internazionali.

L'argomento principale di questo nuovo numero è la montagna. Ci sono articoli di grande interesse, con pagine di splendide fotografie. Si parla dei monti come ambito storico, geografico ed essenzialmente culturale, senza trascurare esperienze alpinistiche del passato e del presente. 

Naturalmente si parla anche d'altro, della situazione della Striscia di Gaza e della straordinaria realtà della Flotilla, di Gorizia e di Nova Gorica nell'anno della capitale europea della cultura, di itinerari e percorsi sociali e individuali, di questioni più specificamente goriziane, come la ventilata demolizione dell'Ospedale di Via Vittorio Veneto.

La caratteristica è sempre quella del plurilinguismo, ognuno scrive nella sua lingua e attraverso un QR è possibile leggere le traduzioni in italiano, sloveno, friulano, tedesco e inglese. Da segnalare i tre editoriali, nelle "vecchie" lingue goriziane. Ogni articolo sarà comunque corredato da una breve sintesi nella lingua diversa da quella dell'autore, per avere un'idea degli argomenti trattati. Il tutto sarà spiegato, meglio rispetto alle occasioni precedenti, nella pagina interna di copertina.

La rivista sarà presentata giovedì alle 18 al Trgovski dom (solo consegna), in occasione della conferenza di Kaja Širok e Alessandro Cattunar. Martedì 4 novembre, alle ore 18, presso la Knjgarna Kavarna Maks di Nova Gorica, parleranno anche gli autori degli articoli e con tutti i presenti si proporrà anche l'impostazione del numero successivo. 

Tutti sono invitati a partecipare e naturalmente... a leggere!

martedì 21 ottobre 2025

Parchi Goriziani senza confini

 

L'anno scorso il territorio goriziano è stato gratificato dall'apertura del parco del Rafut, uno straordinario spazio verde sul colle dove c'è anche il santuario della Kostanjevica. Percorrendo i viali, all'ombra di alberi secolari, si può contemplare tra l'altro anche la suggestiva Villa Laščak, presto ristrutturata e riconsegnata alla fruizione dei cittadini. Le iniziative promosse dalla parte di Nova Gorica hanno consentito di conoscere bene questo scorcio finora dimenticato. Tra esse i concerti tra gli alberi hanno regalato momenti di grande arte e intensa emozione. 

Anche nel settore più antico delle Gorizia non si è stati da meno. L'attesa inaugurazione ha consentito ad abitanti e turisti di riappropriarsi di alcuni luoghi dimenticati da decenni e di nuovi originalissimi sguardi sulla città. Quello della Valletta è un capolavoro della natura, con una sapiente piantumazione, delicati vialetti pedonali e soprattutto la visione del Corno/Koren, il vero fiume di Gorici (sempre il duale, per "le due Gorizia"), libero dalle solette d'asfalto che lo imprigionano dal confine di Erjavčeva/San Gabriele fino alla palestra prossima al Kulturni dom. E' una breve, ma significativa passeggiata che consente di contemplare scorci del tutto inattesi e scoprire nel torrente perfino pesci e animaletti dell'acqua, che hanno ritrovato un habitat decente all'interno del quale sopravvivere. Colori, profumi, sapori si mescolano tra loro, in un'atmosfera di serenità metropolitana.

E che dire del parco Coronini? Fino a non molto tempo fa, buona parte di esso era una selva inestricabile, impossibile da affrontare. Anche il viale e la loggia con le statue degli dei dell'Olimpo si potevano visitare raramente e soltanto intuire dietro a una vegetazione che non invogliava a superare la soglia con il bel cancello di ferro. Ricordo i tempi delle scuole superiori, quando dall'antistante palazzo Formentini (Liceo Dante Alighieri) si sbirciava tra le radure e spesso si vedeva l'ultimo Conte camminare pensoso tra gli arbusti. L'ingresso da via Brass è veramente delizioso, inimmaginabile dietro a uno squallido muretto fino a una manciata di mesi fa. Un sentiero consente di risalire la collina, tra pietre carsiche disseminate un po' ovunque. Si raggiungono i caseggiati, con le mostre temporanee che si susseguono l'una all'altra, si può dare uno sguardo alla lapide che ricorda la nascita del grande Julius Kugy e si può concludere il percorso sulla specie di tempietto neoclassico, collocato nel punto più elevato. 

Ci sarebbe molto da dire, ma senza togliere il piacere della scoperta a chi vuole dedicare una passeggiata domenicale a questi gioielli goriziani, resta l'invito a riappropriarsi del Rafut, della Valletta e del Parco Coronini. Sono spazi pubblici, rigorosamente senza confini, usufruibili gratuitamente, approfondiscono il piacere e l'orgoglio di essere Goriziani! Resta solo la raccomandazione alle cittadine e ai cittadini di rispettare questa proprietà che è un bene comune, cioè appartenente a tutti e a ciascuno. E agli amministratori di curare con diligenza questo salotto naturale cittadino, mantenendolo così bello e accogliente anche per chi verrà e potrà usufruirne dopo di noi.

lunedì 20 ottobre 2025

Detective Dante, appassionante noir, ma anche guida alla scoperta di un'inattesa Nova Gorica

 

Ancora una volta la casa editrice goriziana Qudu Libri ha fatto centro! Patrizia Dughero e Simone Cuva si sono nuovamente dimostrati grandi cercatori e scopritori di persone e opere in grado di favorire il grande obiettivo: sentirci tutti parte di un medesimo territorio, proprio perché parliamo diverse lingue e ci possiamo reciprocamente donare le ricchezze delle differenti culture.

Dopo aver pubblicato la traduzione in italiano del libro Medsočje del filosofo Mirt Komel con il titolo Il tiglio spezzato, ha curato anche l'edizione del giallo Detektiv Dante, assai efficacemente tradotto da Michele Obit.

La trama, come ormai è consuetudine quando si parla di Komel, è avvincente e intricata, mescolando tra loro motivi antropologici, sociali, culturali e in questo caso anche molto spirituali.

Come è ovvio, non si può scendere nei particolari. Il lettore, al quale si consiglia caldamente acquisto e lettura, saprà immergersi nell'intricata rete di eventi, sospetti, indizi, conditi con l'acre sapore del sangue delle vittime.

Quello che invece preme segnalare, ormai verso il tramonto della Capitale europea della Cultura, è che questo testo costituisce la più originale e per certi versi interessante guida alla conoscenza della città di Nova Gorica. Si intende, non si tratta di un'indicazione di percorsi più o meno turisticamente attraenti, ma di qualcosa d'altro, di più profondo e si potrebbe dire metafisico.

Nella scrittura di Mirt Komel i luoghi si trasfigurano e da semplici dati di fatto diventano ambiti rivelativi non soltanto di "cosa" è una città, ma soprattutto di "chi" sono i suoi abitanti. Tra le righe si possono anche scoprire i rilievi storici di di un centro urbano che non ha ancora compiuto 80 anni e che dimostra in ogni suo angolo l'interessante susseguirsi di stili architettonici e modelli urbanistici. Guardandola con gli occhi di un "novogoričano" doc, anche gli aspetti apparentemente meno appariscenti assumono un valore sorprendente. Un passo dopo l'altro, il tessuto narrativo coniuga sempre più strettamente le persone agli ambienti, cosicché le une illuminano il senso degli altri, ma anche - chiaramente - viceversa!

Soprattutto c'è da dire che anche al lettore che ritiene di conoscere già bene la "nuova" città, si apriranno spazi completamente nuovi e inattesi, sia con la descrizione di paesaggi ordinariamente ritenuti marginali, sia con la magistrale e appassionata descrizione degli interni. Cosa possono raccontare le periferie industriali, lo squallido retro dei grandi centri commerciali? Ma anche, come vivono le persone dentro gli alti palazzi della cosiddetta "Muraglia Cinese"? Come sono fatti gli appartamenti voluti da Ravnikar nei cosiddetti "Ruski bloki", chiamati così più perché all'inizio si presentavano vestiti di rossi intonaci che per simpatia nei confronti della Russia? Come si svolgono le giornate, quali sono gli sprazzi di luce e di gioia, quale il modo per affrontare il dolore, la solitudine, la divisione?

Ecco, a queste domande Mirt non risponde offrendo ricette o disegnando caricature, ma con l'acume intellettuale del cercatore della Verità, indicando strade possibili per contemplare e per capire, senza esprimere mai giudizi morali inappellabili sulla bontà o cattiveria dell'uno o dell'altro. C'è uno sguardo empatico ed etimologicamente "compassionevole" che permette di sollevare il velo e di ammirare Nova Gorica per quello che è, un crogiolo di ricca umanità, attraversata dal vento della storia e dalle contraddizioni della contemporaneità. Detektiv Dante è una guida ai meandri di un territorio, alla scoperta del dostojevskjano sottosuolo, senza l'intuizione del quale non può e non potrà mai esserci autentica simbiosi tra la parte vecchia e la parte nuova della nostra bella e duale "Gorici".

sabato 18 ottobre 2025

Un grazie sincero...

 

Oggi vi racconto un'esperienza personale, ma prima devo proporre tre importanti premesse.

1. La sanità pubblica è una straordinaria conquista di civiltà, di democrazia e di umanità. Non lasciamocela scippare, per nessun motivo, da chi vuole fare della malattia e della cura un business.

2. L'Ospedale di Gorizia è un'eccellenza, perché chi vi opera, spesso in condizioni e con strumenti insufficienti, eccelle in professionalità, empatia e delicata attenzione all'individuo. Non lasciamo che l'aziendalizzazione porti ad anteporre il profitto alla centralità della persona.

3. La cardiologia di Gorizia è un punto di riferimento imprescindibile per la cura di qualsiasi patologia legata al non perfetto funzionamento del cuore. Non lasciamo che venga cancellata da scelte politiche che penalizzerebbero tutto il territorio. La soluzione è meno complicata di quello che sembra: riprendere la strada della collaborazione fattiva tra gli ospedali di Gorizia e di Šempeter.

Detto questo, ecco i miei "grazie" di questi ultimi giorni.

Primo grazie. L'altro giorno, dopo aver risalito in bici a tutta forza la via don Bosco, ho avuto un giramento di terra e mi sono trovato quasi senza accorgermi per terra, a grattare l'asfalto del marciapiede. Tutte le auto di passaggio si sono fermate e i conducenti hanno abbassato il finestrino per chiedere il mio stato di salute, una signora ha bloccato l'auto con i segnali luminosi e ha chiamato il pronto soccorso per domandare consiglio, un giovane ha parcheggiato il furgone nella via a lato e si è precipitato ad aiutarmi. Non so come poter ringraziare queste persone, è un'iniezione di fiducia sull'alto grado di attenzione e di solidarietà dei miei concittadini goriziani. La conseguenza è stata qualche giornata in ospedale, per accertamenti. Come si suol dire, si spera sempre in niente di grave... 

Il secondo grazie, grande, va a tutti coloro che mi hanno assistito, nella cardiologia dell'ospedale di Gorizia. Ho trovato medici, infermieri e operatori socio sanitari straordinari, che mi hanno dimostrato tanta professionalità e anche cordiale empatia. Il paragone sembrerà strano, ma credo che le mie sensazioni siano simili a quelle di chi è andato in crociera con le grandi navi. Non ci sono mai stato, ma quando sento i racconti di chi ha avuto la possibilità di sperimentarlo, mi convinco che dovrebbe essere più o meno così. Dal momento in cui sali a bordo, non hai più nulla da decidere, tutto ruota intorno alla tua persona e non devi fare altro che lasciarti andare, fidandoti del capitano, degli intrattenitori e dei loro aiutanti. Ciò che conta è la competenza, ma essa è molto valorizzata dalla capacità di riconoscere nell'altro una "persona", prima che un "paziente". Veramente, grazie di cuore, perché un momento un po' delicato si è trasformato per me in un'occasione di crescita umana e sociale. Nel gigante che si fa chiamare azienda, ciò che permette di andare avanti è proprio la dedizione, a volte eroica, di chi alla base svolge il proprio lavoro come una vera e propria, grande missione. E questo è un valore che non deve essere dimenticato.

Alla dedizione delle persone, si auspicano corrispondano le scelte politiche a tutti i livelli. Si pensi che un solo aereo B-2 costa oltre 1 miliardo e duecentomilioni di dollari. In pratica, con un solo aereo si potrebbe far funzionare tutta l'ASUGI, l'azienda sanitaria giuliano-isontina, al servizio della salute di oltre 350mila esseri umani! E si pensi che l'Italia, satellite degli USA, dovrebbe raggiungere entro il 2035 investimenti in ambito militare fino al 5% del PIL, pochissimo meno di quanto attualmente si investe in sanità. Non è che forse si potrebbe fermare la corsa agli armamenti che porta solo con sé morte e incrementare la sanità pubblica che serve la vita di tutti, nessuno escluso?