lunedì 2 novembre 2020

Capitalismo e "produzione". In margine al tweet di Toti...

Ancora una volta gli schieramenti si fronteggiano, pro Toti o contro Toti, per le parole contenute nel suo tweet dedicato alle persone anziane "improduttive", da tutelare in tempo di covid.

Premessa necessaria per evitare equivoci. Anch'io sono schierato e ritengo l'intervento di Toti, come pure le maldestre "scuse" successive, inaccettabili sia sul piano del linguaggio che su quello dei contenuti.

Il brivido suscitato dalla lettura si prolunga tuttavia, dilatandosi dallo scandalo per un'affermazione da censurare alla triste e drammatica constatazione dei fatti.

Come vive oggi la maggior parte delle persone anziane? Una minoranza si può permettere case di riposo, inevitabilmente molto care a causa dei costi delle strutture e del personale, quando non per volgari speculazioni portate avanti da realtà prive di qualsiasi scrupolo. Un'ulteriore piccola parte riesce - con i propri risparmi o con il patrimonio dei familiari - a permettersi una dignitosa ospitalità, mentre i più si devono accontentare di istituzioni, per lo più private ma anche pubbliche, con scarso personale, continuo turn over, mancanza d'esperienza. Buona parte degli over 85 è invece già di fatto reclusa in casa, quando possibile assistita da badanti più o meno regolarizzate oppure da parenti stretti ai quali viene preclusa di fatto qualunque altra attività professionale. Il senso di solitudine e di abbandono è molto frequente e crea grandi problemi a livello psicologico e sociale.

Si passi ora a riflettere sulle cure mediche e in particolare alle terapie intensive, all'ordine del giorno in questo difficile tempo di pandemia. La demolizione sistematica della sanità pubblica ha portato a un'incredibile riduzione dei posti letto e del personale qualificato. Ciò è sconvolgente, ma di fatto la situazione pone il personale sanitario nella drammatica necessità di scegliere chi curare e chi no, con dei criteri di equità che necessariamente portano a privilegiare chi è più giovane a scapito di chi ha la sfortuna di essere molto al di sopra degli "anta". La Svizzera lo ha addirittura formalizzato, ma in realtà ciò accade anche da noi e più che stracciarsi le vesti sarebbe utile lottare per il cambiamento del sistema economico e per il rinnovo di una classe politica del tutto asservita alle esigenze vampire del capitalismo liberista.

Sì, perché questo è il vero problema, il sistema sociale nel quale siamo immersi. Favorendo la divisione in classi e una distribuzione sempre più iniqua delle ricchezze, il capitalismo semina germi che si trasformano in guerre tra poveri. I lavoratori guardano con angoscia a un futuro senza welfare e sono indotti a pensare che la causa - o una delle cause - sia da attribuire alle garanzie mutualistiche e pensionistiche conquistate dalle lotte del XX secolo, mentre invece lo spaventoso debito pubblico dell'Italia e di molti Paesi occidentali dipende da uno sciagurato utilizzo delle speculazioni finanziarie. 

Gli anziani vivono già in una situazione di privazione della libertà di movimento, le residenze protette di fatto hanno chiuso l'accesso a parenti e amici, si sono trasformate in più o meno confortevoli prigioni, dalle quali non possono uscire e nelle quali nessuno - tranne il personale - può entrare. Il loro lockdown, anche se in estate leggermente allentato, dura da quasi nove mesi, mentre il bilancio di malattia e di morte negli istituti che non l'hanno immediatamente attuato è stato ed è tragico. E' tremendo dover decidere sulla pelle dei più poveri, tra la libertà di movimento e il rischio di un contagio generalizzato.

Che fare allora? Una sola risposta, facile a scriversi difficile da realizzare, impegnarsi! E' urgente impegnarsi, in tutti gli ambiti possibili, perché la società cambi. L'emarginazione di coloro che il liberismo considera "improduttivi" non l'ha scoperta lo squallido tweet di Toti, è una realtà che precede da lungo tempo il covid. In questo senso il coronavirus potrebbe aprire gli occhi a un mondo che li ha chiusi e aiutarci a cogliere l'occasione per sperare proprio di non tornare a essere come prima. Potremmo approfittare del momento della crisi per immaginare un sistema alternativo dove il motto "prima le persone" non si riduca a un piacevole slogan di facciata ma generi percorsi e normative che consentano a ciascuno di sentirsi sempre e comunque "produttivo", generatore cioè di saggezza, vivacità e umanità.  

Nessun commento:

Posta un commento