Vogliamo vedere il mondo dall'altra parte? Intendo, dalla parte della stragrande parte dell'umanità?
Bene, allora il consiglio è quello di vedere Cafarnao, un film incredibilmente avvincente della bravissima regista libanese Nadine Labaki, perché terribilmente vero e perché sconvolgente nella sua semplicità. Lo straordinario protagonista, Zain El Hajjn è un profugo siriano di dodici anni che offre volto e parola al protagonista, anch'egli chiamato Zain.
Ciò che questo film consente è, per quanto possibile a chi vive in un altro pianeta, "entrare dentro" al dramma di una povertà sconfinata dove la vendita dei figli, il furto, l'inganno, la distruzione sistematica dei sentimenti non è un caso raro, ma l'ordinarietà che consente la mera sopravvivenza. A differenza di altri tentativi più "occidentali", nei quali il lieto fine adegua le situazioni al politically correct della pietas del Nord del mondo, il messaggio della Labaki penetra nel cuore come un pugno spirituale. Non giustifica certo genitori carnefici, madri costrette ad abbandonare il proprio figlio, ragazzi che si adeguano alla lotta per la sopravvivenza accettando la sfida di una violenza senza fine. Ma pone interrogativi profondi su chi sia veramente il mascalzone, il padre o la madre che vendono la figlia, il giovanotto che campa fregando le persone con la promessa di metterle su un barcone che non vedranno mai, la polizia che rinchiude i potenziali profughi in prigioni troppo simili a stalle... oppure il mascalzone siamo noi, sono io, abitanti dell'altra parte del mondo, quella dei pochissimi ricchi, così spesso totalmente ciechi e incapaci di riconoscere a quali condizioni possiamo dormire sugli allori del nostro benessere.
Terribile è la scena dell'arrivo dei "buonisti", il frate e il gruppo d'animazione che viene nel carcere per sollevare il morale delle e dei detenuti. Quanto enorme distanza si rileva tra i volti pasciuti e sorridenti delle "brave persone" e il dolore di Zain e dall'altra meravigliosa attrice, l'etiope Jordanos Shiferaw, privata del proprio bimbo perché priva dei documenti necessari per restare in Libano!
Nel buio del mondo i frammenti di luce sono la sobria solidarietà tra i condannati agli inferi, la gioia di Rahil nel rivedere il figlio ritenuto per sempre disperso, la condivisione dei prigionieri all'ascolto della voce in radio del loro compagno fanciullo, la meravigliosa scena finale con il conquistato sorriso di Zaid, che per la prima volta nella vita sta per ricevere un documento d'identità. Sono bagliori fra le tenebre, che intensificano ulteriormente un sensazione che non è di impotenza, ma di presa di coscienza di una responsabilità.
Sì, qualcosa si può fare, un altro mondo è possibile, ma nulla sarà dato automaticamente, è necessario impegnarsi e lottare, con Zaid, con Rahil e con questa giovane, grande regista libanese, Nadine Lbaki della quale sentiremo ancora per molto parlare, sempre che il nostro benestare non soffochi anche la sua penetrante voce. Un film da vedere, assolutamente...
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