Questo periodo incide profondamente sulla vita delle persone. Si è particolarmente tesi, nervosi, non si vedono prospettive, ci si arrabbia per niente. E il virus corre, più velocemente di qualsiasi previsione.
E il difficile deve ancora arrivare. Molti investono le loro speranze sul vaccino, gli stati cominciano ad accantonare cifre da capogiro per garantire un'ampia copertura. Ma i tempi non sono brevi e soprattutto la fiducia è poca. Non è elevata nei confronti degli scienziati, la cui bulimica e contraddittoria presenza mediatica ha offerto un'immagine di una "comunità scientifica" - la cui autorità ritenuta oggettiva, un tempo chiudeva qualsiasi discussione - totalmente divisa e frammentata. Ed è quasi nulla nei confronti della classe politica e dei livelli decisionali, sballottati da interessi contrapposti e paralizzati dall'esigenza di mantenere in equilibrio consenso e sicurezza. In queste condizioni, sperare che i cittadini si mettano in fila compatti e unanimi per ricevere il vaccino, credendo nel 90% o più di efficacia, promesso da una parte dei ricercatori e dalle assicurazioni fornite dai politici, è una pura illusione. Se invece si penserà a stabilire un obbligo, non sarà esagerato prevedere una gigantesca ribellione da parte di chi non vuole rendere disponibile il proprio corpo a ricevere composti chimici in ogni caso, poco o tanto, impattanti.
In queste condizioni, l'unica strada che potrebbe mettere tutti d'accordo, è quella della responsabilità individuale e della prevenzione.
La prima riguarda l'accettazione di ciò che è logico, per esempio la protezione di se stessi e degli altri grazie all'uso intelligente della mascherina chirurgica, il rispetto di una congrua distanza dagli altri - anche maggiore rispetto al metro canonico, la cura di evitare assembramenti in grado di moltiplicare il pericolo del contagio. E' logico che in assenza di una presa d'atto della necessità di attivare tali comportamenti virtuosi, diventa indispensabile anche l'intervento dello Stato. E' anche vero che più della caccia al povero passeggiatore o divoratore di burek sulla strada, ci si aspetterebbe una di gran lunga maggiore attenzione, da parte del Governo, ai luoghi critici, ovvero al sistema produttivo generale, agli operai costretti a turni impossibili stretti gli uni agli altri, ai trasporti in permanente situazione critica, ai reclusi nelle carceri o nei centri per il rimpatrio.
La prevenzione riguarda invece lo stile di vita e stranamente se ne parla molto poco. Invece di descrivere solo le caratteristiche tecniche dei medicinali, sarebbe importante anche indicare corrette modalità di vivere le proprie giornate. Sarebbe molto importante ricevere da persone competenti indicazioni ed essere aiutati a comprendere quale dieta seguire, che tipo di attività fisica svolgere, quanto e come riposare, quali vitamine assumere, ecc. Perché non lo si fa o lo si fa ancora poco? Forse perché un cambiamento dello stile di vita è molto meno dispendioso rispetto alla cura delle malattie conseguenti ad atteggiamenti poco compatibili con la salvaguardia della salute?
Un'ultima osservazione apre altre finestre di riflessione e di discussione. Il tempo del Covid-19 segnerà probabilmente una svolta generazionale traumatica. La guida dei processi planetari sarà di coloro che hanno maggior dimestichezza con la realtà virtuale e l'intelligenza artificiale, coloro che hanno davanti un grande, delicato e decisivo futuro. Occorre agevolare questo passaggio, augurandosi che la proclamazione della necessità di lasciare "spazio ai giovani" favorisca tra essi i tanti di loro - tantissimi! - portatori di una sensibilità nuova, convinti di porsi al servizio di un mondo più equo e giusto, oltre le pazzesche divisioni esistenti tra miliardi di poveri e manipoli di straricchi, aperti all'accoglienza e al riconoscimento dei diritti di ogni essere vivente, attenti ai cambiamenti che minacciano la sopravvivenza dell'ambiente, tutori del bene e dei beni comuni.
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