Non è vero che l'ordinanza del Presidente del Friuli-Venezia Giulia sia stata firmata e pubblicata per evitare che la Regione fosse inserita tra le zone "arancione" previste dal dpcm nazionale. Lo aveva affermato lo stesso Fedriga, lo scorso giovedì nella conferenza stampa di presentazione, ricordando saggiamente che la questione seria non era evitare ulteriori restrizioni, ma combattere la diffusione del contagio.
L'annunciato ritiro dell'ordinanza, oltre che un'inutile ripicca, crea molti problemi in relazione all'interpretazione delle leggi. Nel caso di un auspicato ritorno alla zona gialla, non varranno più i saggi limiti proposti per il F-VG. Inoltre, in alcuni casi, come quelli relativi allo svolgimento dei mercati locali, le clausole regionali sono più restrittive di quelle nazionali e quindi l'annullamento dell'ordinanza andrebbe a beneficio e non penalizzerebbe alcune categorie di lavoratori, rendendo nel contempo spinoso il compito degli amministratori locali che devono già a fatica districarsi nel ginepraio attuale.
L'obiettivo del Governo, con tutti i limiti e gli errori possibili, è quello di fermare la diffusione della pandemia. Ora questa grande confusione, venutasi a creare soprattutto per la mancata chiarezza relativa ai differenti ruoli, rischia di vanificare lo sforzo. Tra l'altro, l'annuncio delle restrizioni con due giorni d'anticipo provoca grandi affollamenti nelle zone interessate. Chissà perché oggi tanti media parlano di una Napoli presa d'assalto dai cittadini. Bastava girare per la piccola Gorizia ieri sera per vedere ovunque lo stesso spettacolo, bar strapieni, vasche per il Corso con e senza mascherine, luoghi di ritrovo naturali affollati, dopo la fatidica chiusura degli esercizi alle ore 18.
In attesa del vaccino, la cui distribuzione e il possibile obbligo costituiranno un problema enorme nei prossimi mesi, occorre che si metta mano quanto prima al titolo V della Costituzione, per evitare che la già precaria situazione della democrazia italiana scivoli verso il livello di guardia. Chi deciderà sulla distribuzione e sulla graduatoria di diritto relativa ai primi vaccini? Quale autorità potrà stabilire un "obbligo" nel suo utilizzo? Chi coordinerà gli inevitabili scienziati che affolleranno gli studi televisivi per dire - come accaduto finora - tutto e il contrario di tutto? E ancora, saranno sufficienti i "ristori" e i sostegni alle realtà lavorative sempre più in ginocchio a causa delle chiusure coatte?
Saremo toccati sulla nostra pelle e siamo già fortemente toccati sulle nostre attività. L'ultima cosa di cui si ha bisogno è l'incertezza del diritto attuale, così come non si può che temere l'imposizione dell'"uomo forte", minaccia diretta alla libertà dell'individuo e della collettività. Ci sarà un'altra soluzione, in grado di contemperare la necessità di combattere il virus e di garantire giustizia e coesione alla comunità, nazionale e regionale?
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