In realtà, cosa sappiamo veramente? Possiamo credere che la realtà sia quella descritta nelle sempre uguali immagini televisive o nei commenti dei giornalisti che scrivono su tastiere situate a una distanza di duemila chilometri dagli eventi? Ovviamente ci sono (poche) eccezioni, da cercare con cura e soprattutto ci sono i testimoni, che hanno un volto, una voce, spesso un corpo martoriato dalla violenza individuale e un'anima umiliata da tante vessazioni.
Ciò che sappiamo ed è certo il punto di partenza di ogni altra analisi è la sofferenza individuale. Non si tratta della "gente", dei "fondamentalisti" o dei "governativi". Si tratta della persona concreta, che vive qua e ora, che interpella il mio modo di essere e di pensare.
A differenza di altri periodi, la persona nella sua concretezza non è distante, ma vive con me, condivide il mio ordinario e quotidiano esserci in questo mondo.
In particolare è terribile il dolore degli amici afghani che con grandi difficoltà sono riusciti a entrare in Italia e a chiedere rifugio, proprio perché minacciati di persecuzione dai Talebani. Abbiamo ascoltato le loro storie spesso in questi ultimi anni, a volte ci siamo perfino permessi di metterle in dubbio - crediamo nella Verità della televisione e non nello sguardo a una schiena o a un occhio devastati dalle frustate della polizia sul confine tra Bosnia e Croazia!
Molti di loro hanno lasciato moglie, figli piccoli, genitori anziani, custoditi da un fratello o una sorella ritenuti più fortunati perché tutelati dal loro lavoro con i contingenti stranieri sul territorio afghano. E ora i custodi sono fuggiti con il primo aereo utile, lasciando lì, senza protezione, donne e bambini in balia di possibili vendette e ritorsioni.
Questa è la concretezza del momento, alla quale l'Italia e l'Europa devono immediatamente dare risposta, sciogliendo i milioni di vincoli burocratici che rendono problematica e spesso impossibile l'accoglienza, favorendo dei flussi migratori a misura di bambini, avviando finalmente rapide decisioni politiche a favore del lavoro, della casa, dei ricongiungimenti familiari.
Nell'incertezza e nel disagio del momento, davvero ognuno può fare la sua parte. Se "accoglienza" e "integrazione reciproca" non sono solo belle parole, occorre davvero abbattere mura e reticolati, vecchi e nuovi, aprire le porte, iniziando rispondendo al dolore di chi segue le vicende da lontano ed è terrorizzato al solo pensiero di cosa possa accadere alle persone più care.
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