venerdì 5 gennaio 2024

Vlaki za koncentracijska taborišča. "I treni per i Lager" di Luciano Patat da oggi anche in lingua slovena

Oltre a essere interessante e importante, il libro di Luciano Patat suscita pensieri di profonda umanità.

Il suo lavoro certosino ha consentito di ricostruire molti aspetti della deportazione nei campi di concentramento e di sterminio, fascisti e nazisti, di coloro che sono passati per il carcere di via Barzellini a Gorizia. La maggior parte di essi sono sloveni, tanti sono ebrei, quasi l’intera comunità locale, ma ci sono anche italiani antifascisti e appartenenti ad altre nazionalità.

Per iniziativa soprattutto di Igor Komel, direttore del Kulturni dom di Gorizia, con l'Istituto Friulano per la storia del Movimento di Liberazione, è stata pubblicata e sarà presto presentata ufficialmente la traduzione del libro in lingua slovena. Il lavoro si è dimostrato molto complesso e difficile, soprattutto per ciò che concerne l’ampio elenco di oltre 3000 nomi che costituisce l’appendice al testo. Il “problema” è che tutti gli internati sono stati registrati con il nome, il cognome e il paese di provenienza rigorosamente scritti in lingua italiana. Non si può onorare chi ha vissuto queste tragedie senza restituire almeno l’identità conferita con la nascita e il toponimo corretto del luogo dove si è cresciuti. Cercando di risalire alle origini, i traduttori - in particolare Igor Tuta e Pia Lešnik, con la collaborazione di Marko Marinčič - hanno compiuto un grande ma doveroso sforzo.  Se già è stato difficile ricostruire l’esatto nome delle località, ancora più delicato si è rivelato lo sforzo di ritrovare i cognomi, ossessivamente e violentemente trasformati dalla volontà di forzata italianizzazione del territorio perseguita nel corso del ventennio fascista.

Lavorando intensamente su ogni persona citata nelle liste, ricostruendo il percorso di detenzione dall’arresto ai lager, si è come sopraffatti da un moto di grande commozione e anche di rabbia. Ogni nome e cognome appartiene a una persona concreta, strappata con la forza alla vita quotidiana, trascinata verso una durissima prigionia e molto spesso verso la morte. Come non pensare alla notte o al giorno del rastrellamento, alle grida dei soldati, al pianto dei bambini, alle suppliche delle mogli? Come non provare vergogna per questa sistematica opera di distruzione della dignità di ogni essere umano? Come non sentirsi compartecipi con i deportati delle ansie, dei giustificati timori, dell’incertezza sul proprio destino? Quante migliaia di vicende individuali e collettive si intrecciano fra loro, quanti piccoli e grandi eroi dimenticati dalla storia hanno ritrovato almeno una menzione del loro transito in questa vita, grazie alla ricerca di Patat!

Un aspetto che colpisce molto è anche la capillarità dell’azione della polizia fascista e nazista. Da piccoli villaggi delle valli della Vipava, dell’Idrijca, dell’Idrja e della Soča sono stati portati via decine di abitanti, lasciando in essi un vuoto immenso, in un tempo già difficilissimo a causa della guerra. Perfino da borghi sperduti tra i monti, agglomerati di al massimo quattro o cinque case, la gente veniva trascinata sui camion militari per essere condotta al carcere di Gorizia, dove, dopo sommario processo, ciascuno veniva instradato verso il compiersi del suo destino.

La macchina del male assoluto ha funzionato fin troppo bene e se nel tempo è stata sconfitta, grazie all’impegno dei partigiani e degli eserciti di liberazione, lo si deve anche al sacrificio di queste migliaia di donne e uomini che hanno pagato con la deportazione e a volte con la vita, la loro silenziosa opposizione alla violenza del regime. Grazie al libro di Luciano Patat si ravviva la loro memoria, grazie all’impegno dei traduttori essi hanno recuperato anche il loro vero nome e la corretta dizione dei luoghi della loro vita. Hanno ritrovato, ahimé troppo tardi, ciò che una violenza ottusa e prepotente aveva loro sottratto, una vergogna fascista, ma anche italiana, che richiederebbe come minimo un’urgente assunzione di responsabilità, insieme a una necessaria, sia pur tardiva, richiesta di perdono. 

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