giovedì 2 novembre 2023

Non è ver che sia la morte, il peggior di tutti i mali...

 

La Natura accompagna in modo particolare in quest'anno la commemorazione dei defunti. E' il 2 novembre, il periodo è quello. Le foglie cadono dagli alberi, il buio incombe sui programmi quotidiani, il vento caldo non può che suscitare presagi infausti, il freddo intenso è alle porte, attende il passaggio della perturbazione per farsi sentire.

Le genti vissute nell'emisfero nord hanno dato sempre un particolare significato a questi giorni. Per gli antichi, era tempo di ricordo di coloro che avevano già superato l'autunno della vita ed erano passati dall'altra parte. i cristiani hanno santificato i defunti, congiungendo indissolubilmente il concetto dell'al di là con quello dell'appartenenza alla comunità dei salvati. I postmoderni hanno storpiato, per così dire "all'americana", così "Tutti i santi" sono diventati Halloween. Si è sempre festeggiato, con i riti, con le azioni in famiglia, con i ricordi mesti e gioiosi, perfino con gli alimenti, dalle ossa di morto sintetizzate nelle dolci favette ai cibi tipici della stagione. 

In fondo, dietro a tutto questo, c'è l'ombra oscura della morte. Ognuno tenta in qualche modo di esorcizzarla. Ci si può ridere sopra, mimarla con spavalderia, neutralizzarla con la forza delle liturgie, addolcirla con i sapori dei cibi e con i profumi dei fiori. C'è anche chi, Damian Hirst nell'opera "For the Love of God" (2007), ha utilizzato un teschio e lo ha ricoperto di 8000 diamanti che generano infiniti arcobaleni di luce, ben sapendo di non riuscire, neppure in questo modo, a stemperare nell'arte l'orrore della fine. Ma al fondo resta la domanda delle domande. Chi ero io prima di essere concepito? Che cosa sarà di me dopo la mia morte? 

Sono interrogativi ingenui, eppure tutti ce li poniamo. Sono ingenui, perché la nostra coscienza è dominata dalla ragione e la ragione non può travalicare i propri limiti, ovvero le categorie dello spazio e del tempo. Ci possono essere di aiuto la fede e la speranza, ci può consolare il mistero dell'Amore, ma niente può spiegare che cosa ci sia al di là di quel passaggio misterioso, di quel muro altissimo, di quel con-fine "che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude". Si può constatare, scientificamente, che effettivamente "nulla si crea nulla si distrugge e tutto si trasforma" ed è perfino possibile, con una certa angoscia, scoprire in cosa si trasformi. Ma che cosa ne sia della coscienza di esserci, che cosa comporti questo ultimo salto nel buio del nulla, questo nessuno lo ha mai potuto dire o comunque nessuno che abbia compiuto questo balzo sembra sia tornato indietro per raccontarlo.

Lo stesso inaudito annuncio cristiano della Risurrezione non è una risposta razionale al perché o al cosa della morte. E' evidente in ogni racconto evangelico la distanza infinita tra la presenza precedente e quella seguente l'evento della prima Pasqua. Non si dice che cosa sia accaduto, si interpella la fede, ovvero un dimensione di conoscenza totalmente differente rispetto a quella della ragione. Non solo, del tutto diversa anche da quella della religione, intesa proprio come sistema razionale di miti, riti e regole morali determinate sempre ed essenzialmente dalla ragione.

Si può allora sperare? Si può credere in un destino buono che attende ogni vivente in quello che la tradizione cristiana ha definito "l'ultimo giorno"? Certo che si può, a condizione che non lo si sperimenti come un soluzione consolatoria all'impossibile quesito, ma come richiamo alla dimensione altra, talmente altra rispetto a quella razionale da rendere improbabile, se non addirittura potenzialmente distruttiva, un'effettiva relazione. E' la condizione di una gioia ed è la percezione di una Bellezza, che Agostino definiva "tanto antica e tanto nuova" e che sfugge a ogni possibile comprensione, una sorta di concetto kantiano del "sublime" o di concezione irriducibile del "sacro"

In altre parole, per "salvare" la fede nella "Vita eterna" occorre "rinunciare" all'atto della ragione, riservando quest'ultimo alle vicende della storia, generale e quotidiana, dove appunto il successo e la rovina dell'essere non dipendono da un'imperscrutabile Provvidenza, ma soltanto dalla libera scelta di ogni essere umano oppure dalla struttura fisica e chimica di un Universo totalmente indifferente nei confronti di ogni suo minuscolo e radicalmente solitario frammento.

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