La santa Trinità, Črnagora |
In effetti, anche al viaggiatore più frettoloso, non può sfuggire la mescolanza religiosa, cupole e torri con croci a braccia uguali accanto a campanili sormontati da quelle latine e naturalmente, a un passo, moschee con alti minareti proiettati verso il cielo. Il canto del muezzin rincorre il suono delle campane e migliaia di candele di sego si consumano nelle apposite grate. Quando gli interessi economici dei potenti di turno favoriscono dialogo e reciproca se non stima almeno accettazione, questa diversità è piacevole e offre capolavori d'arte straordinari. Altrimenti i volti pacifici dei frequentatori dei luoghi sacri si riempiono di freddezza e odio, le parole dell'armonia cosmica si incanalano verso l'abisso dell'integralismo, della presunzione di essere gli unici depositari della Verità, della cancellazione dell'esistenza dell'altro. Intendiamoci, così accade ovunque, il leone di san Marco presenta il libro del vangelo aperto o chiuso a seconda del momento in cui viene costruito e collocato sui portali di torri e castelli. Tuttavia nei Balcani la storia sembra aver giocato a unire e a dividere, trasformando un'intera grande Regione dell'Europa in un permanente affascinante e drammatico confine tra persone, lingue, religioni e culture. Non è da dimenticare il ruolo dell'ateismo di Stato che nel XX secolo ha portato un ulteriore contributo, cercando in alcuni Paesi di estirpare le presenze religiose, uscendone sconfitto e ottenendo a lungo andare soltanto l'inasprirsi delle loro forme più chiuse e meno inclini al dialogo.
In ogni caso le chiese e i monasteri ortodossi sono veramente degli scrigni di bellezza. Il cristianesimo orientale sceglie una delle due vie presenti fin dall'inizio della storia della Chiesa. Se da una parte si privilegia il 'logos" dall'altra si sottolinea la forza dell'"eikon", cioè dell'immagine. Rigorosamente obbedienti alle norme emanate nel corso dei primi sette concili ecumenici, i pittori, soprattutto monaci, dipingono le tavole di legno e affrescano i muri delle chiese rappresentando le vite di Gesù, di Maria e dei santi. La luce sembra provenire dall'interno dei volti e dei corpi, quasi traboccasse da essi un raggio del sole divino. Ogni singolo particolare è denso di simboli, ogni tipologia di icona è di per sé stessa un piccolo (o anche grande) trattato di teologia. Le iconostasi, con la loro abbondanza di immagini dividono la parte riservata ai celebranti delle liturgie da quella dei fedeli che percepiscono questa distanza come un invito a rispettare il Mistero e ascoltano meravigliosi canti antichi in lingue ormai sconosciute, lasciandosi penetrare dallo sguardo profondo che scaturisce dagli occhi grandi incavati nei mille volti dipinti. Tanta gente entra con venerazione, anche nei luoghi più famosi il silenzio è impregnato della dolce cantilena delle anafore. Tutti si segnano unendo le dita in modo da comunicare la propria fede nella natura umana e divina di Gesù Cristo e nel dogma del Dio uno e trino. Si baciano le icone dei personaggi più amati, si onorano le tombe dei campioni che hanno dato la vita per la fede cristiana, i martiri e i fondatori di monastero e santuari, come pure, eh sì anche loro, i difensori dell'ortodossia che, come l'Arcangelo Michele, hanno indossato l'armatura e impugnato la spada.
Insomma, è un mondo avvincente che sembra dimostrare la tesi secondo la quale la pace nel mondo è una questione di priorità. Se vengono prima la Vita e la Persona, ogni identità individuale o collettiva genera meraviglie. Se invece prevale il senso di appartenenza a una cultura, a una fede religiosa o anche ideologica, l'esito è la volontà di sopraffazione e di distruzione, nel nome di interessi che altro non fanno che mascherare l'assolutismo dell'egoismo, della presunzione e della disumanità.
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