Normalmente, quando si pensa al concetto di democrazia, il pensiero corre alle elezioni. Se è vero che "la sovranità appartiene al popolo", è altrettanto vero che essa viene esercitata "nelle forme e nei limiti della Costituzione".
Attualmente "le forme e i limiti" prevedono il sistema della rappresentatività, secondo leggi elettorali via via approvate dal parlamento, ma anche alcune forme di democrazia diretta, quali i referendum abrogativi e le leggi di iniziativa popolare. Tutti i cittadini scelgono con il voto i propri rappresentanti.
Ma rappresentanti di cosa?
Fino agli inizi degli anni '90 del XX secolo, almeno vagamente, chi aveva una concezione della vita o una visione del mondo, aveva la possibilità di trovare dei partiti che, almeno in teoria, proponevano dei candidati nei quali ci si poteva riconoscere. Ordinariamente un comunista si riconosceva nel Partito Comunista, un socialista nel Partito Socialista, un nostalgico del fascismo nel Movimento sociale, un cattolico nella Democrazia Cristiana e così via. Il Parlamento era quindi un luogo in cui i rappresentanti delle ideologie e delle idee presenti sul territorio discutevano fra loro, cercando di trovare il massimo accordo possibile intorno alle leggi che dovevano approvare e trasmettere per la promulgazione al Presidente della Repubblica. Non che poi le cose andassero sempre così lisce, anche i governanti del tempo dovevano sottostare alle regole dell'economia mondiale che molto spesso violentavano la volontà popolare in nome della permanenza nelle "alleanze" che garantivano crescita economica e stabilità sociale. Tuttavia è vero che il dialogo e il confronto politico fossero ben più avvincenti e interessanti di quanto non siano attualmente. Chi - dai capelli grigi in su - non ricorda le seguitissime Tribune Politiche preelettorali guidate da Jader Jacobelli? E chi non ricorda le file ai seggi e le percentuali di partecipazione quasi sempre molto alte? Insomma, anche se da un certo punto in poi già cominciava a serpeggiare l'impressione dell'inutilità della crocetta, dato che poi le scelte che contano venivano prese indipendentemente dal popolo sovrano, rimaneva sempre vivo il desiderio di confrontarsi almeno sui grandi obiettivi della vita individuale, della collettività nel suo insieme, delle relazioni internazionali.
Negli ultimi trent'anni, oltre alla disillusione derivata dalla constatazione del progressivo restringersi dell'effettiva "sovranità che appartiene al popolo", si è aggiunta la quasi completa incomprensione del senso della rappresentanza. Il crollo delle ideologie, insieme alle loro inevitabili carenze, ha trascinato con sè anche le idealità. In che modo posso riconoscermi in un partito che si chiama "Forza Italia"? Quale mia idea si rispecchia nel concetto di "Fratelli d'Italia"? Se tutti si dicono tali, cosa caratterizza un partito che si autodefinisce "Democratico"? E cosa vuole concretamente, con quel nome da hotel di lusso, il Movimento Cinque Stelle? Al di là della vaga referenza un po' escludente, cosa vuol dire che un candidato è della "Lega"? In altre parole, come entusiasmarsi e impegnare le proprie forze sociali e la propria visione della persona, iscrivendosi o votando dei partiti dai contorni programmatici così vaghi? L'impressione è che chi è al potere abbia come unico scopo il suo mantenimento, e chi è all'opposizione abbia come unico obiettivo il ribaltamento delle forze in campo. Programmi, progetti, percorsi concreti per realizzarli? Neanche l'ombra. Certo, c'è ancora qualcuno che si richiama al comunismo, all'ambientalismo e ad altri simili valori. Ma ormai i buoi sono scappati e anche queste forza sembrano purtroppo del tutto marginalizzate. E le percentuali dei votanti precipitano ormai regolarmente sotto la fatidica soglia del 50%.
In questa condizioni, non è facile vedere una via d'uscita. Se "democraticamente", cioè grazie a un voto suggellato da una legge elettorale approvata da un Parlamento, va al potere un qualsiasi partito che formalmente obbedisca alle regole, ma in realtà proponga la concretizzazione di idee o visioni politiche o religiose che per alcuni potrebbero orientare verso quel razzismo e quel nazionalismo che hanno fatto parte di disastrose concezioni politiche dell'ormai lontano passato, cosa può fare chi non è d'accordo? Può cercare di accrescere il consenso fino al ribaltamento dei rapporti di forza, lavorando strenuamente su una comunicazione efficace che possa portare al successo. Oppure può chiamare a raccolta le masse, cercando di intervenire sulla società civile, con il rischio di fallire nell'impresa o di avvelenare pericolosamente i pozzi della civile convivenza. Oppure ancora può sperare che funzionino la Magistratura e gli altri organi di controllo dello Stato, ma la burocratizzazione degli interventi e la complessità dei Codici è tale da rendere difficile sperare di trarre qualche ragno dal buco.
Nonostante l'urgenza e la rapidità incredibile dei procedimenti, forse l'unica via per poter salvare il salvabile è quella di fermarsi un attimo a riflettere. Non si tratta di ripetere all'infinito e con voce - ahimé - sempre più debole la propria critica al potere costituito, non facendo altro che accrescere il consenso proprio a coloro ai quali ci si vorrebbe opporre. Si tratta invece di creare sempre più luoghi in cui incontrarsi a dibattere sui grandi temi della vita, della pace, del lavoro, delle dinamiche intrinseche al sistema del Capitale. Ma in questi luoghi ci si dovrebbe essere tutti, di una parte dell'altra, si dovrebbe ritrovare il gusto del confronto, del contradditorio se necessario, lo sforzo di convincere senza lasciarsi convincere. E' necessario ritrovare la libertà di un pensiero non allineato al politicamente corretto di uno schieramento o dell'altro, rompere il muro dell'abitudine e della rassegnazione, essere pronti all'impopolarità e all'incomprensione, anche dei cosiddetti "propri". Occorre che il popolo ritrovi la passione di essere autenticamente sovrano, ma ciò potrà accadere se potrà scegliere i propri rappresentanti in base al dialogo e al confronto serrato con essi sui sistemi, non su squallide strategie di mero esercizio del potere. Altrimenti si andrà avanti sul piano inclinato dell'insignificanza e quando ci si accorgerà dell'assenza di una nuova Filosofia Politica sarà forse drammaticamente, troppo tardi.
Non è un caso che il partito di maggioranza sia rappresentato da quel 62% circa che non è andato a votare. Più che dissenso, dal mio punto di vista e stando così la politica, è buon senso. Patrizia
RispondiElimina