Uno dei temi più dibattuti in questa estate, è stato avviato dalle prese di posizione della sindaca di Monfalcone Cisint e del sindaco di Trieste Dipiazza contro le donne musulmane che hanno deciso di fare il bagno vestite.
Come al solito, si sono formati due opposti schieramenti. Da una parte, soprattutto ma non esclusivamente a destra, si è applaudito alle posizioni dei due primi cittadini, invocando motivi di igiene e di opportunità, richiamando perfino "il rispetto delle nostre tradizioni". Dall'altra, soprattutto ma non esclusivamente a sinistra, si è denunciata la violazione dei più elementari diritti della persona a vestirsi come vuole e a scendere in acqua con l'abito che ritiene più adatto.
C'è anche chi ha, giustamente, denunciato la duplice oppressione della donna, costretta in alcuni Paesi a doversi vestire come vuole il potere patriarcale e in altri, procedendo dalle stesse ragioni, a doversi svestire quando raggiunge una spiaggia.
In realtà il problema è più serio di quello che sulle prime si potrebbe pensare. E' in discussione infatti proprio il rapporto tra il corpo e l'abito che esprime le convinzioni e gli stili di vita di ogni essere umano. E' lecito legiferare o regolamentare il modo di vestirsi? Non lo si può negare. Se qualcuno gira per la città nudo o in costume da bagno succinto, viene preso in carico dai vigili e probabilmente multato, perché agisce contro una regola in generale condivisa. In Francia e in altri Paesi europei si è molto discusso sulla legittimità dell'uso del burka e le leggi hanno determinato la necessità che ogni persona possa essere identificata. Lo stesso è accaduto a Venezia, dove è stata vietata la libera circolazione di persone con maschere che non consentano il riconoscimento. Questo per dire che in effetti non c'è nulla di strano nel fatto che alcune leggi possano essere emanate, procedendo dalla percezione del comune sentire, o meglio del sentire della maggioranza.
Ci sono quindi due risvolti, uno filosofico e uno giuridico. Sul primo è in atto un'ampia riflessione, incentrata sull'importanza del corpo e sulle modalità attraverso le quali esso, soprattutto quello femminile, può essere manipolato da parte delle varie forme di Potere. Non basta affermare la libertà di ciascuno di agire come gli sembra più opportuno, occorre anche chiedersi fino a che punto un essere umano sia effettivamente "libero", nel momento in cui compie certe scelte. Per esempio, una donna che fa il bagno vestita "per motivi religiosi", lo fa per scelta o per costrizione? Lo fa di sicuro per scelta, perché così è stata formata ed educata. Fino a che punto si ha il diritto o il dovere di imporre una visione culturale diversa dalla propria a chi si inserisce nella vita sociale di città e paesi, regolamentando anche aspetti ordinari della vita civile? Accettare che un marito imponga alla moglie di fare il bagno vestita per non mostrare agli altri uomini il proprio corpo, è rispettare la cultura di quella famiglia o assecondare un'odiosa costrizione?
Sul piano giuridico la situazione è paradossalmente meno complessa, a meno che non si ritenga che sia una valida soluzione emettere senza alcuna ulteriore riflessione inutili e quasi ridicole ordinanze oppure - mi si consenta - che possa essere effettivamente utile un flash mob che porti qualche decina di persone a inzupparsi i calzoni a pochi metri dalla spiaggia.
Un sindaco dovrebbe svolgere il proprio compito che è quello, secondo l'etimologia della parola, di "garantire la giustizia insieme a tutti i cittadini". Quindi la proposta è: perché non creare un tavolo di discussione, in Comune, dove affrontare insieme il tutto. Potrebbero essere invitati i membri della commissione pari opportunità del Consiglio Comunale, le/i rappresentanti delle associazioni dei musulmani presenti sul territorio, le rappresentanti delle associazioni che tutelano i diritti della donna, eventuali sociologi e filosofi di provata competenza. In questo modo ciascuno, con serenità e profondità, potrebbe spiegare il senso della propria posizione e tutti insieme si giungerebbe a fornire al/alla sindaco, gli elementi sufficienti per prendere una decisione seria, ponderata e rispettosa del parere di tutti.
Non sarebbe una buona idea, prima di offrire in pasto all'opinione pubblica le immagini delle donne che sono entrate in mare vestite, senza immaginare il putiferio che avrebbero scatenato e prima di impoverire la discussione su un problema serio con gesti folkloristici, utili non in sé stessi ma soltanto se accompagnati dalla proposta di un approfondimento condiviso del tema?
Il problema, a mio modesto avviso, dovrebbe essere affrontato sulla base di dati puntuali, innanzitutto distinguendo tra burkini e abiti di tutti i giorni. Sull’utilizzo del primo, se piace, nulla da obiettare in quanto siamo liberi di scegliere il costume da bagno che vogliamo; sui secondi ho qualche perplessità per la sicurezza in generale, in quanto i bagnini dicono far da zavorra in caso di pericolo. Se fosse così meglio evitare e scegliere il burkini.
RispondiEliminaPurtroppo rimane il problema del rispetto dei diritti ma è questione ben più grave.
Simonetta Vecchi
Grazie Simonetta, credo sia importante affrontare il tema del costume con serenità e quello dei diritti con molta serietà, dialogando, cercando di comprendere le diverse posizioni e individuando soluzioni per quanto possibile condivise.
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