mercoledì 12 maggio 2021

La fine del sacerdozio cattolico

Tone Kralj, Gesù e i bambini
Il problema teologico che il cattolicesimo deve affrontare è quello del sacerdozio. Lo stesso Concilio Vaticano II non ha osato addentrarsi in una questione che in effetti riguarda l'essenza stessa della Chiesa, ovvero il tema della "mediazione".

Chi è il mediatore fra Dio e l'essere umano, o meglio ancora fra Dio e il Cosmo? Il "sacer-dote", cioè "colui che dona il sacro", è una figura diversa dagli altri dal punto di vista ontologico ed essenziale? Un buon teologo risponderebbe di no, che c'è il sacerdozio comune dei fedeli, che tutti si è re, profeti e sacerdoti. Intanto però non viene messo in discussione, nella Chiesa cattolica, il sacramento dell'Ordine che, secondo la sacramentaria, conferisce un "carattere" indelebile, chiaramente distinto dal dono dello Spirito trasmesso nel battesimo e nella cresima. I testi dogmatici parlano ancora di "differenza ontologica", quasi che l'ordinato - rigorosamente maschio e celibe - sia innalzato al di sopra degli altri per espletare la funzione di essere "in persona Christi" in particolare, ma non solo, nella celebrazione dei sacramenti. Per quanto riguarda i vescovi, inoltre, in quanto successori degli apostoli, essi ricevono il "munus", cioè una specie di "potere", di santificare, di governare e di giudicare. Sopra di loro c'è il Vescovo di Roma, il Papa insomma, che quando parla ex cathedra, a differenza di tuti gli altri mortali, ha perfino il carisma dell'infallibilità. Qualcuno - forse perfino Francesco, quello che sta a Roma - può anche sorridere di fronte a queste parole, ma esse sono in realtà "verità dogmatica", alla quale un pio credente è tenuto a prestare "il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà".

Eppure questo messaggio - ed è qui il punto che forse è giunto il momento di prendere in considerazione, dopo oltre 1700 anni - è palesemente contrario a quanto affermato nelle fonti neotestamentarie, da nessuna delle quali è possibile intuire una volontà del Maestro riguardo alla costituzione di una "Chiesa" gerarchica, rigidamente costituita. Anzi, se appare ovvia la ritrosia di Gesù di fronte al sacerdozio ebraico, molto simile a quello post-costantiniano, l'unico documento che parla estesamente del sacerdozio è la (bellissima) Lettera agli Ebrei, dove è evidente che l'unico "sacerdote eterno secondo l'ordine di Melchisedech" è Gesù Cristo, che ha liberato dal male tutti, attraverso il "sacrificio" unico e irripetibile della propria vita. Come sia stato possibile ricostruire il sacerdozio levitico, da parte di persone che hanno letto e studiato la Lettera agli Ebrei, si può capire solo a partire dalla svolta costantiniana (o meglio teodosiana), quando la struttura di potere dell'Impero viene trasferita alla Chiesa ormai divenuta potente. I vescovi - prima semplici "sovrintendenti" che garantivano l'unità nella diversità delle comunità - diventano "sommi sacerdoti". I presbiteri - prima saggi "anziani" che aiutavano le persone ad attuare il libero discernimento del bene e del male - diventano i "datori del sacro". Il papa viene chiamato addirittura "santità", "padre dei padri". Fra tutte queste beatitudini, eccellenze, eminenze, padroni (domini, da cui deriva il "don"), qualcuno legge ancora il Vangelo che afferma: "chi vuole essere il primo fra voi sia l'ultimo di tutti e lo schiavo di tutti".

Fino a quando il sacerdozio non sarà abolito, riconoscendo con la Scrittura l'unico sacerdozio di Cristo e la partecipazione universale di tutti e di ciascuno dei credenti, non ci potrà essere autentica riforma nella Chiesa, non ci potrà essere un dialogo teologico costruttivo tra i cristiani, dal momento che uno si ritiene "infallibile". Non ci potrà essere neppure una vera umana e generalizzata fraternità, perché è impossibile parlare in modo simpatetico, quando un interlocutore ritiene di possedere "la pienezza della verità" (lo dice il Vaticano II, non il Concilio di Trento!) e - bontà sua - di decidere se mettere sul rogo oppure dialogare con i propri interlocutori, a seconda del contesto più o meno pacifico nel quale ci si trovi a vivere.

"E' arrivato il momento, ed è questo - dice Gesù alla Samaritana - in cui i veri adoratori non adoreranno più sui monti sacri o nel tempio di Gerusalemme, ma soltanto in spirito e verità". Ora che sono state costruite milioni di chiese e che vengono celebrati miliardi di riti al posto dell'"unico" di cui parla la Lettera agli Ebrei, sarà un po' difficile rinunciare alle immense posizioni di privilegio delle quali gode la Chiesa cattolica - in Occidente, ovviamente, in molti luoghi i credenti rischiano la morte per fame o a causa di persecuzioni. Eppure qualcosa deve cambiare, altrimenti l'evidente crisi di questo momento potrà essere davvero quella finale, almeno per ciò che concerne la struttura attuale dell'"una, santa, cattolica e apostolica". 

Nessun commento:

Posta un commento