lunedì 10 maggio 2021

La cattolicità in crisi. Si va (finalmente) verso un'altra Chiesa?

Volto Santo di Lucca, nella Basilica di Aquileia
La Chiesa cattolica è in evidente difficoltà. Non è certo una novità, ma in questo periodo le contraddizioni diventano sempre più evidenti, non tanto per gli scandali - dagli Atti degli Apostoli in  poi ci sono sempre stati e fanno parte della naturale debolezza umana - quanto per la crisi di alcuni suoi fondamenti.

Molti sono i fattori che hanno determinato questa grave e peraltro assai benefica crisi. La visione cattolica del cristianesimo ha radici lontane, nel falso storico della donazione di Costantino. L'unione tra Chiesa e Impero è infatti alla base di un sistema sociale, ma anche politico, militare ed economico che ha influenzato profondamente 1600 anni di storia occidentale. Dal punto di vista culturale, al di là delle prese di posizione di intellettuali illuminati, tale situazione è rimasta sostanzialmente invariata fino alla celebrazione del Concilio Vaticano II, del quale l'anno prossimo si celebrerà il 60mo anniversario dell'inizio. Ciò è accaduto, nonostante la fortissima sollecitazione della Riforma protestante e dell'in parte conseguente affermazione della svolta copernicana del pensiero e della scienza moderni.

Il cambiamento è dunque indispensabile e potrebbe portare all'auspicata fine della cristianitas medievale e a una profonda revisione del concetto stesso di "religione", collegato appunto alla "visio" cattolica.

In forma ancora embrionale e anche un po' confusa, lo stesso Vaticano II nei suoi documenti ha dimostrato da una parte la necessità di una profonda trasformazione, dall'altra l'esistenza di uno scontro neppure troppo velato tra posizioni cosiddette progressiste e tradizionaliste. E' vero che il Concilio non è andato oltre al tema dell'"adeguamento", sulla scia dei padri post-costantiniani che preconizzavano la necessità del "progresso nella tradizione". Tuttavia, alcune linee sono state tracciate e il seme gettato sembra cominciare a germogliare, sia pur oltre mezzo secolo di ritardo. Solo per citarne alcune, di grande importanza, l'approfondimento della distanza tra fede e ragione, la visione teocentrica di un cristianesimo che si riconosce timidamente una religione "inter pares", la percezione federativa delle diverse confessioni cristiane, la trasformazione non ancora avvenuta del sacerdozio "sacramentale" in presbiterato "funzionale", la libertà di coscienza nelle scelte individuali e sociali, la revisione del ruolo gerarchico e dell'autorità del vescovo di Roma.

L'attuale papa, Francesco, sembra essere il primo successore di Pietro ad aver compreso la portata rivoluzionaria dei germi contenuti nel Concilio. I suoi atteggiamenti sembrano orientare proprio verso la concretizzazione di tali intuizioni, anche se manca ancora una necessaria riflessione teologica in grado di dare spessore ai suoi gesti e un indispensabile adeguamento canonico, senza il quale gli atti da lui compiuti rischiano di restare la testimonianza solo di una persona particolarmente sensibile.

Se le parole e le azioni di Bergoglio si prolungassero in decisioni pratiche, probabilmente non esisterebbe più la Chiesa cattolica costantiniana, si realizzerebbe ipso facto l'unione tra le chiese ancora divise, non servirebbe più un potere temporale legato alla ancora potentissima Città del Vaticano, sarebbe scontato il rispetto per la libertà di coscienza e di opinione, la comunità ecclesiale apparirebbe ovunque come una casa aperta, senza alcun altra ragione d'essere che non fosse il prolungamento della testimonianza del suo Maestro e Fondatore.

E' questa la strada verso la quale ci si è incamminati? Da una parte sembrerebbe di sì, osservando "ciò che fa", da un'altra sembrerebbe di no, notando "ciò che decide", cioè molto poco, neppure su versanti abbastanza abbordabili quali il presbiterato femminile, il celibato dei preti, il riconoscimento sacramentale del matrimonio omossessuale, la trasparenza totale sugli atti (cfr i permanenti silenzi su Emanuela Orlandi), perfino l'ovvio riconoscimento della possibilità di accedere all'eucarestia da parte delle persone divorziate risposate.

Insomma, il momento è delicato. Riuscirà papa Bergoglio a superare le sue stesse ritrosie e a indicare la strada di un nuovo Concilio, nel quale portare tutto ciò a un livello normativo e definitivo? Oppure le forze reazionarie prevarranno, attendendo con pazienza al varco il suo successore e riducendo l'attuale pontificato a una parentesi caratterizzata soltanto da un carattere particolarmente originale e disinibito?

1 commento:

  1. Credo che Bergoglio abbia capito come una reale, radicale e duratura riforma passi innanzitutto dal cambiamento di chi governa un'istituzione che, bisogna sempre ricirdarlo, è fatta di uomini. Per questo, a mio modestissimo avviso, fa bene ad "aprire porte" o ad iniziare a "costruire ponti" ma sopratutto a "internazionalizzare" il collegio cardinalizio, portando al governo della Chiesa anche chi vive le periferie della fede. Sicuramente questo npn basterà ma, forse, impedirà ad oscuri prinicipi della Chiesa a riportare indietro i passi fatti ora in avanti. In altre parole, le vere riforme come quelle a cui accenni tu - se ci saranno - le vedremo in un post=Bergoglio. Spero.

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