La guerra, ogni guerra, porta distruzione e morte. Molti dicono che è sempre esistita e sempre sarà. Ma come può un essere dotato di ragione pensare in modo cinico che sia irreversibile la generazione sistematica di sofferenza, altrui e propria? Come si può ritenere "ragionevole" produrre strumenti sofisticati di sterminio, massacrare e farsi uccidere sull'altare di pochissimi detentori del Potere nel mondo, interessati esclusivamente a incrementare la loro potenza? La guerra è il frutto di un'economia perversa, sia essa la necessità antica di rubare nuovi pascoli a una tribù precedentemente insediata o di gestire le moderne risorse vitali del Pianeta conquistandone i punti nevralgici.
Solo un reale diritto internzionale potrebbe temperare la sensazione di impotenza che si prova davanti alle crisi mondiali. Purtroppo né la Società delle Nazioni, né l'Organizzazione delle Nazioni Unite sono riuscite a convincere gli Stati a cedere parte della loro sovranità a tavoli di accordo sovrastatali. In questo modo, di fatto, la legge vigente è proprio quella della giungla. Vince il più forte, il più debole deve adeguarsi o soccombere. Inoltre non si è ancora del tutto oltrepassata la venefica strumentalizzazione dei concetti di Dio (religione), Patria (nazionalismo) e Famiglia (tribalismo, mafia). Sono prospettive facilmente manipolabili da chi - fregandosene in realtà altamente del loro significato - le utilizza per raggiungere i propri obiettivi, scatenando terrificanti massacri di poveri.
Quello che sta succedendo in questo periodo non è purtroppo nuovo, ma due elementi possono essere evidenziati come tragicamente originali. Il primo è lo sviluppo tecnologico degli armamenti, il che rende oggettivamente diversa una lotta tribale rispetto alla possibile autodistruzione dell'intera umanità. Il secondo è la rivoluzione informatica, con il conseguente utilizzo spregiudicato dell'informazione. Ciò che finora si portava avanti mascherando squallidi egoismi con più o meno (più meno che più) richiami valoriali, oggi si dice e si fa alla luce del Sole.
Non mi va un personaggio che vive in un Paese distante mille chilometri dal mio? Bene, gli spedisco sulla testa un missile e lo elimino per sempre dalla faccia della terra, insieme a qualche decina di altre persone ignare, vittime di "danni collaterali". Voglio destituire un capo da un Paese autonomo? Bene, lo accuso di ogni sorta di malefatte e decido di scatenare contro di lui una guerra, senza alcuna verifica o "processo" coordinato da un qualsiasi giudice. E chi mi autorizza a intervenire da una parte o dall'altra, ad appropriarmi delle risorse presenti in un Continente o nell'altro, a uccidere premendo un bottone senza doverne rendere conto a nessuno?
Mi autorizza, come diceva il leone nella famosa favola di Esopo, il fatto che io sia più forte di te e che è già tanto che io mi degni di lasciarti eventualmente in vita. Ecco spiegati i tanti pesi e le tante misure delle guerre attualmente scatenate nel mondo! E cosa ci si può fare? Nell'epoca della globalizzazione e del villaggio globale, solo un passo può salvare l'umanità e anche l'intera realtà vivente sulla Terra. Occorrono persone di pace, poste in grado di raggiungere democraticamente i centri di potere, pronte ad avviare un urgentissimo e decisivo processo di costruzione di una Costituzione e di un sistema di Leggi corrispondenti a una visione sanamente internazionalista. Siamo tutti cittadine e cittadini del Mondo, che ci sia allora un modo per garantire, in termini oggettivi, la realizzazione della giustizia e dei diritti individuali e collettivi in ogni angolo del nostro tormentato ma meraviglioso Pianeta.
Utopia, molti diranno scuotendo la testa. Può anche essere, ma che alternativa ci può essere alla corsa agli armamenti, alla moltiplicazione di conflitti più o meno dilatati, al controllo generalizzato dell'informazione, all'idealizzazione della violenza come possibilità di salvaguardia degli interessi di un manipolo di autentici egotici, seminatori di morte?
“Essere utopisti significa impegnarsi al continuo atto di denunciare e annunciare" - P.Freire
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