lunedì 9 settembre 2024

Gli eroi di Bazovica: il discorso integrale di Anna Di Gianantonio

 

Ieri, 8 settembre 2024, si è tenuta l'annuale commemorazione degli "eroi di Bazovica". Un coro potente e un'orchestra efficace hanno creato un clima di profonda emozione. La lettura delle toccanti lettere dal carcere di Regina Coeli di Fran Marušič, rese pubbliche per la prima volta grazie alla disponibilità delle nipoti, hanno aiutato a pensare al dramma di questi giovani che sono stati assassinati dai fascisti perché volevano difendere i diritti del proprio popolo. I saluti a nome dell'organizzazione di Milan Pahor e a nome della comunità cattolica del vescovo Trevisi hanno sottolineato l'importanza della valorizzazione delle lingue e delle culture, in una città come quella di Trieste e nel territorio circostante. Molto interessante è stato l'intervento introduttivo della ministra della Cultura della Repubblica di Slovenia Asta Vrečko, che ha ricordato le enormi ingiustizie e violenze che si perpetuano anche oggi, in particolare con il genocidio di Gaza e che si è anche riferita alla grande occasione di Nova Gorica con Gorizia capitale europea della Cultura 2025. Le orazioni ufficiali sono state portate da un'esperta di lingua, storia e letteratura slovena e dalla storica Anna Di Gianantonio, il cui intervento viene qui pubblicato integralmente. E' una lettura lunga, ma veramente vale la pena di non perdere neppure una parola:


Sono davvero onorata di aver ricevuto l’invito a parlare nella ricorrenza della tragica
fucilazione dei quattro eroi di Basovica, Ferdo Bidovec, Franjo Marušič, Zvonimir Miloš,
Vekoslav Valenčič ,uccisi al termine del primo processo di Trieste il 6 settembre 1930.
Giovani che appartenevano all’organizzazione Borba che attraverso momenti di incontro,
escursioni e discussioni, con la diffusione della stampa e anche con le armi volevano
difendere l’identità slovena e il loro stesso diritto ad esistere nella società giuliana di quegli
anni in cui si parlava di “bonifica etnica”. Da giovanissimi avevano visto e sentito parlare
dell’incendio del Narodni dom e del silenzio di Giolitti che non aveva risposto al
memoriale che i dirigenti sloveni più anziani gli avevano mandato. Avevano capito che i
metodi tradizionali di lotta non bastavano più, dopo che dal 1927 erano stati costretti ad
entrare in clandestinità a causa della legge fascista che aveva sciolto le associazioni.
Voglio per prima cosa ringraziare il Presidente del Comitato Promotore degli eroi di
Basovica, Milan Pahor e tutto il direttivo e Štefan Čok storico della Sezione di Storia ed
Etnografia della Biblioteca Nazionale Slovena degli studi.
Ho letto e seguito negli anni l’impegno, le difficoltà, la costanza che il Comitato ha
profuso per dare alla quattro giovani vittime il riconoscimento di eroi combattenti.
Continuava così l’impegno a mantenere viva la memoria che, dopo appena due mesi
dall’esecuzione dei quattro eroi, aveva portato all’erezione a Kranj di un monumento in
legno in loro ricordo, la piramide spezzata, e l’anno dopo all’inaugurazione di quello in
muratura, che, come ricorda con orgoglio Drago Žerial, protagonista del ritrovamento dei
corpi delle quattro vittime al Cimitero di S. Anna nel 1945, fu il primo monumento
antifascista al mondo.
Voglio ricordare tutti gli studi degli intellettuali e storici sloveni, la raccolta e l’analisi delle
testimonianze dei protagonisti di quegli anni, poi tradotte, perché è stata una ricerca
fondamentale per gli storici italiani che hanno avuto accesso ad una documentazione
indispensabile per l’analisi dell’antifascismo sloveno tra le due guerre. Il lavoro culturale è
stato qualcosa in più che la pubblicazione di libri: è stato un gesto di pace e di fratellanza,
perché la condivisione della storia porta alla comprensione e al rispetto reciproci.
Importanti sono state le trasmissioni radiofoniche di Lida Turk che hanno divulgato la
memoria dell’antifascismo sloveno ad un pubblico ancora più vasto. Questo enorme lavoro
ha avuto una valenza politica, nata dalla consapevolezza che la memoria e la storia sono
terreni conflittuali, attraversati da diverse interpretazioni che rispondono spesso a interessi
politici.
Noi ricordiamo i crimini compiuti dai nazionalisti italiani in sintonia con gli industriali e la
finanza, le forze dell’ordine e i fascisti già all’indomani della gestione militare della città
del generale Carlo Petitti di Roreto. Conosciamo le violenze razziste di quegli anni,
violenze che hanno un lungo arco cronologico e un ampio spettro territoriale. Per esempio
a Gorizia, dopo l’uccisione nel 1937 di Lojze Bratuž e le tragiche vicissitudini di sua
moglie, la poetessa Liubka Šorli, nel 1947, a guerra finita, la violenza culminò con la
distruzione delle attività economiche e commerciali degli sloveni e con il saccheggio delle
loro case e continuarono nel ‘49 con l’aggressione agli sloveni che volevano celebrare il
poeta Prešeren nella centrale sala Petrarca. Un filo nero ha legato il confine di Rapallo a
quello stabilito a Gorizia nel 1947. Il nazionalismo si lamentava nel’20 della “vittoria
mutilata” e nel ‘47 dell’ingiustizia del nuovo confine stabilito dal Trattato di pace, senza
riconoscere le colpe del fascismo e le tragedie della guerra. La mia generazione non può
dimenticare il clima della guerra fredda che ha scoraggiato molti italiani dall’imparare la
lingua e la cultura del vicino di casa, mai proposta nella scuola, provocando un grande
impoverimento culturale. Nè dimentichiamo quello che successe nel 1969, a due mesi dalla
strage di piazza Fontana, con gli attentati neo fascisti alla scuola slovena di via Caravaggio
di Trieste dove vennero ritrovati volantini anti slavi e al cippo confinario della Transalpina
a Gorizia.
Nella prefazione al volume di Milan Pahor “L’organizzazione antifascista Borba 1927-
1930” Adriano Sofri ha scritto una frase che mi ha colpita. Sofri parla della “memoria che
può essere preziosa per dirci “quel che non siamo più, quel che non vogliamo più”. Questa
frase è di grande importanza per gli antifascisti.
Ma bisogna essere altrettanto consapevoli che una memoria e una storia ostile a quella
antifascista è ben presente ancora nella società italiana e che ad ogni passo in avanti verso
il rispetto e la riconciliazione tra le due comunità, c’è qualcuno che vi si oppone. Quando
nel 2020 i due presidenti Pahor e Mattarella si sono recati ad omaggiare il monumento
della foiba di Basovica e quello dei 4 eroi fucilati e poi hanno firmato a cento anni di
distanza, la restituzione del Narodni dom, il gesto è stato importante. Ma non va
dimenticato che nel 2021 la richiesta di fare riconoscere questo monumento di interesse
nazionale è stata duramente contestata dall’ Unione degli Istriani e dalla Lega nazionale,
che hanno giudicato inaccettabile il riconoscimento, perché le vittime erano anti italiane e
terroriste. Dunque, con un rovesciamento tipico della retorica nazionalista, era definito
terrorista non chi aveva distrutto le associazioni slovene, picchiato e ucciso i militanti,
espropriato banche e terreni, costretto all’emigrazione centomila sloveni e croati e
scatenato una guerra di aggressione, ma chi a questo si era ribellato. Di esempi in cui ad
ogni conquista ottenuta c’era un ritorno indietro se ne potrebbero fare molti. Nel 2025
Nova Gorica e Gorizia sono capitale della cultura, un grande gesto di riconciliazione e di
pace. Spero quindi che il sindaco della città non accolga ancora i reduci della Decima mas
in Comune e approvi il ritiro della cittadinanza onoraria a Mussolini, più volte richiesto. Il
processo per il rispetto della storia e della memoria nei nostro territorio non è dunque né
semplice né lineare, ma ci rafforza vedere quanti siamo che lavoriamo per gli stessi
obiettivi: pace, rispetto, verità.

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