La salita al Sabotin è sempre una bella esperienza, anche se ripetuta qualche decina di volte ogni anno. E' una cima vera, nonostante i suoi soli 609 metri, poco più di 500 di dislivello dal ponte di Solkan.
Ci si può arrivare dalla južna pot, superando balze e ghiaioni, con vista mozzafiato, attraversando la famosa scritta che si vede da tutta la pianura, raggiungendo i ruderi di San Valentino.
Ma perché il Sabotino si chiama Sabotino? E' tanto tempo che cerco una risposta a questa domanda, ma non la trovo. Qualcuno dice che sia una contrazione di San Valantin, il nome dato dai friulani alla montagna, ma la cosa non mi convince o, almeno, non ci sono sufficienti documenti per dimostrarlo. E se fosse una reminiscenza delle tradizioni aquileiesi legate a Santa Sabida (o Sante Sabide), collegando il nome, per qualche misterioso motivo, alle suggestioni ebraiche e alle derivazioni alessandrine, secondo molti studiosi evidenti nella teologia aquileiese? Mah, è soltanto un'ipotesi fondata sul nulla, ma chissà... Monte del Sabato, perché no?
C'è poi la solita aerea cresta, sempre munifica di scorci sulla sottostante Soča, qui frenata nel suo impeto adulto dalla diga costruita nei primi anni '80 del secolo scorso. Oh, il secolo scorso, che impressione usare queste parole... Quasi metà della mia vita l'ho passata nel secolo scorso, quando non c'erano i telefonini, non c'era l'intelligenza artificiale, neppure internet, et cetera et cetera, bla bla bla... Quando ci si mette, il fiume si offre in colori indescrivibili e anche irriproducibili, blue, verde, marrone, a volte perfino rosso, spesso smeraldo. Un vero gioiello. Uno sguardo di qua ed ecco Sveta Gora, il Monte Santo dalle molte lingue e dalle tante culture. Dall'arco gotico, ciò che rimane dell'eremo antico di San Valentino, si fa inquadrare nella più immancabile delle foto ricordo. Uno sguardo di là ed ecco la piana goriziana, incastonata tra il Trstelj e la valle della Vipava, tra le alture di San Floriano ed il Calvario. Una meraviglia.Cammina cammina e giunsero a una torretta. No, non è una favola, è uno dei tanti resti della prima guerra mondiale che qui, come altrove, è stata un inutile strage. Lontano, quasi vicino al fiume, la tozza tomba cumulativa di Oslavija ricorda l'assurdità di ogni guerra, tanto più accentuata dalla bellezza del panorama e dalla gioia di marciare al ritmo veloce dei passi e del fiato. Se le bombe hanno falciato indifferentemente i soldati da una parte e dall'altra, i ropi, le malattie e la fame hanno completato il lavoro. Un vero disastro. Ma ecco la vetta.
Solitudine, silenzio, sensazione di possedere ogni cosa senza essere posseduti da nulla. E' l'emozione di ogni volta, l'incontro con un sasso o un cespuglio diventati ormai familiari. E' il sussurro leggero dell'aria e lo sforzo di una primavera che sembra voler scaturire dal nulla, da un istante all'altro. E' il sentimento dell'attesa, la percezione del sacro, tremendum et fascinans. E' il ricordo di tanti altri giorni, felici e tristi, trascorsi quassù. E' sempre e comunque, un istante di bellezza.Sento il fragore del vento leggero che attraversa silenzioso le mie ossa inumidite. Mi abbaglia lo splendore della città illuminata dal sole. Mi lascio sorprendere da un pensiero d'Amore, nel mirabile risveglio di una nuova primavera. Lo sguardo corre lontano, oltre le colline frastagliate dell'Essere. S'intravvede il Mare, sepolcro e fonte della Vita. Amen
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