sabato 30 marzo 2024

Buona Pasqua, un augurio di autentica pace

 

Aquileia, Giona rigettato dal pesce (inizio IV secolo)

Una delle possibili etimologie della parola “pasqua” deriva dall’ebraico “pesach” che significa “passaggio”.

Gli ebrei vivono una situazione drammatica in terra d’Egitto, ridotti alla schiavitù dal faraone di turno. La loro condizione sembra disperata e irrisolvibile. Il libro biblico dell’Esodo racconta una storia inattesa, un intervento del trascendente consente loro di “passare” attraverso le acque del mar Rosso e il deserto, per raggiungere la terra promessa.

Cosa c’è dietro a questo racconto che porta tutte le caratteristiche di un mito fondatore della coscienza identitaria del popolo ebraico? C’è una storia di sofferenza, di ribellione, di resistenza, di liberazione, di oppressione. Come ogni vicenda umana, come ogni esperienza di popolo. La “pasqua” è la rilettura teologica degli avvenimenti quotidiani, una specie di fuga dall’ordinarietà della classica successione schiavitù, liberazione, nuova oppressione che sembra caratterizzare ogni autentica rivoluzione. E’ il riconoscimento dell’assoluta e non derogabile responsabilità individuale e collettiva relativa all’andamento del mondo. Ma è anche una possibile apertura fiduciale nei confronti di un possibile “senso della storia” che in ogni caso può essere attinto esclusivamente nella dimensione della fede.

Tanto più questo è vero, se ci si riferisce alla prima pasqua cristiana. Il “passaggio” in questo caso è ancora più sconvolgente, riferendosi alla madre di tutte le paure, quella della morte. I vangeli narrano la vicenda con un linguaggio molto profondo, dove il “prima” del Gesù storico è chiaramente distinto dal “dopo” del Cristo della fede, per usare un’espressione celebre del teologo Rudolf Bultmann. La vita pubblica, la sofferenza e la morte di Gesù fanno parte dell’orizzonte della ragione. Sono quanto di più reale ci possa essere, il fascino di una condivisione dell’umano che coinvolge anche il momento supremo della fine. E’ un assassinio in piena regola, perpetrato dai capi religiosi e militari del momento. Lo si può studiare, analizzare, perfino provare con le documentazioni letterarie e archeologiche che arricchiscono di giorno in giorno la conoscenza. La risurrezione è “un altro mondo possibile”, un evento che non riguarda l’al di là, ma il modo di essere in “questa” vicenda. E’ un’altra storia che si nasconde (o si rivela) in questa storia. L’una è irriducibile all’altra, la morte nasconde la vita, ma non ne può disporre.

Ecco allora l’annuncio pasquale che per sua stessa indole è universale, non certamente limitato alla sola dimensione della fede credente, meno ancora a una specifica forma religiosa. La risurrezione afferma la possibilità dell’inattesa vittoria della Vita sulla morte, in una prospettiva che è contemporaneamente immanente e trascendente. E’ immanente, perché non toglie neppure un minimo segno alla scelta umana di costruire pace piuttosto che guerra, perdono invece che vendetta, amore e non odio, tutti termini da considerare anche nella loro essenziale ambiguità e non immediata traducibilità. E’ trascendente, perché apre una nuova possibilità in una nuova dimensione che coinvolge l’essere in un’altra storia. In altre parole, si può vivere da risorti in questa vita, così come si può vivere da morti pur essendo vivi.

Forse è un altro modo per dire ciò che proponeva Carlo Michelstaedter, parlando di persuasione e rettorica. Si tratta dal passare dalla dimenticanza all’essere pienamente se stessi, con tutta la drammaticità che questa scelta comporta. “Passare”, appunto, dalla morte alla vita.

Che sia una Buona Pasqua allora, per il mondo intero!

2 commenti:

  1. Un augurio di Buona Pasqua anche a Monfalcone che sta attraversando questo passaggio. Auguri Andrea

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