E' molto ricca di spunti la bella intervista di Francesco Fain all'Arcivescovo di Gorizia Carlo Maria Redaelli, pubblicata sul Piccolo di sabato 2 settembre.
Raccogliendone solo alcuni, si sottolinea l'importanza di cogliere l'occasione del 2025 per trasformare Gorizia (intendendo ovviamente Nova Gorica e Gorizia insieme) in una "Città della Pace". Il vescovo sottolinea l'opportunità storica di dimostrare come un luogo in cui tanto sangue è stato versato può diventare un punto di riferimento a livello europeo di cosa significhi valorizzare le diversità nell'unità. Interpretando altri suoi interventi precedenti, la scelta di portare su questo territorio senza più confini l'annuale "marcia della pace" promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana per il 31 dicembre 2023 va proprio in questa direzione. Così come è da ricordare il convegno internazionale di Pax Christi, che si svolgerà contestualmente il 30 e 31 dicembre e sarà dedicato all'intelligenza artificiale in rapporto alla costituzione dei Corpi Civili di Pace europei. Istituti di approfondimento scientifico, università e centri culturali interpelleranno il mondo politico locale, per promuovere la costituzione in Gorizia/Nova Gorica un centro di preparazione dei giovani europei che desiderano partecipare all'avventura dell'interposizione nonviolenta nei (troppi) conflitti planetari. Interessante e del tutto condivisibile è anche la proposta di non rinchiudere tali prospettive nel recinto degli addetti ai lavori, ma di renderle volano di sviluppo e promozione turistica, con tutto l'indotto che da ciò può derivare anche per la complessiva crescita delle "Gorica".
Le riflessioni sulle migrazioni evidenziano la competenza di mons. Redaelli, non a caso presidente nazionale della Caritas. Sostanzialmente, divide in tre passaggi la necessità dell'intervento pubblico a favore delle persone che raggiungono l'Italia attraverso i vari canali, in particolare la nuova rotta balcanica "da Belgrado attraverso l'Italia e poi verso la Svizzera e la Germania". La prima fase è quella della primissima accoglienza, con la necessità di un piano d'emergenza, in particolare per l'autunno e l'inverno. In altre parole, il vescovo sostiene le richieste di numerosi cittadini goriziani che invocano almeno un tetto sulla testa per centinaia di richiedenti asilo che sono costretti a dormire all'addiaccio nei dintorni della Casa Rossa e della Stazione Centrale. Alla domanda di Fain sui rapporti con il sindaco Ziberna, Redaelli risponde laconicamente di aver chiesto più volte di intervenite, ma "non si è riusciti a farlo". La seconda fase è quella dell'attesa del riconoscimento dello status dei rifugiati che non può essere vissuta nei grandi hotspot, ma deve essere capillarmente diffusa nei diversi Comuni, in termini proporzionali. La Chiesa fa quello che può - si aggiunge in questo contesto, insieme ad altre realtà laiche quotidianamente impegnate, quasi sempre in forma di volontariato - nell'alleviare i disagi dei nuovi venuti, in particolare nei centri del Nazareno e del San Luigi. La terza fase è quella dell'inserimento degli stranieri nei processi di reciproca integrazione con i territori, possibile solo con una coerente politica del lavoro, della casa e dei ricongiungimenti familiari, da attuare a livello nazionale e internazionale.
Insomma, la "capitale europea della Cultura" potrebbe e dovrebbe essere anche "capitale europea della Pace", come pure dell'Accoglienza. Senza dimenticare chi - in Slovenia e in Italia - da qualche anno lavora per indirizzare il grande evento del 2025 e sollecitando con forza chi ancora non si è pienamente immesso nella giusta carreggiata, questa intervista all'Arcivescovo Redaelli è un bicchiere di acqua fresca nella calura estiva. Non è l'unico a sollecitare un percorso entusiasmante verso Nova Gorica con Gorizia "città insieme", ma certamente la sua voce autorevole è una forza in più per tutti coloro che ci credono e vogliono "restare umani".
Nessun commento:
Posta un commento