domenica 31 ottobre 2021

Ha senso conferire la cittadinanza onoraria al Milite ignoto?

Il campanile di Aquileia, sopra le tombe degli "eroi"
E' vero che ogni essere umano "reverendum est" e che pertanto ogni defunto merita onore e rispetto.

Altra questione è l'interpretazione della storia, con i suoi simboli, a volte contingenti e fuggevoli, a volte più duraturi.

Per questo la storia del Milite Ignoto, che riposa all'altare della patria dopo essere stato scelto da Maria Bergamas di Gradisca, svenuta su una delle bare allineate nella Basilica di Aquileia esattamente cento anni fa, deve essere rivisitata con delicatezza, ma anche senza retorica.

Il milite ignoto, come gli altri dieci che riposano nel cimitero sotto il campanile della Basilica di Aquileia, è uno tra le decine di milioni di morti provocati dall'orrenda carneficina che è stata la prima guerra mondiale.

Al di là dell'umana pietas nei confronti del defunto e della sua povera madre, perché sottolineare con tanta enfasi, cento anni dopo, la traslazione del suo corpo da Gorizia/Aquileia a Roma? Che cosa si vuole ricordare? Perché addirittura conferirgli la cittadinanza onoraria postuma?

Molti si affrettano a sottolineare il clima del tutto diverso, la maggior armonia tra i popoli che avevano combattuto in quel tempo gli uni contro gli altri, il messaggio di pace che scaturisce dal ricordo di un giovane perito nel corso di un'immane conflitto.

Si vuole forse ricordare che vale la pena dare la vita per la propria patria? Come a dire che sempre "vale la pena" morire per qualsiasi tipo di ideale. Difficilmente si può trovare un qualcosa di così radicalmente importante in una guerra sconvolgente, che a detta di quasi tutti gli storici si sarebbe potuta evitare con un minimo di sforzo diplomatico in più, reso vano dagli interessi economici e politici dei potenti del tempo.

Sono i militari a tributare i principali onori al milite ignoto. Ma sarebbero proprio loro a dover cogliere l'occasione per affermare come i veri interpreti della pace siano stati in quel tempo i disertori, che si rifiutavano di obbedire agli ordini assurdi di generali macellai, non volendo togliere la vita a giovani come loro. Forse si potrebbe dare la cittadinanza onoraria e tributare le medesime celebrazioni al "disertore ignoto", ucciso dai fucili di carabinieri obbedienti che dovevano sparare a chi si rifiutava di saltare fuori dalla trincea al grido di "Avanti Savoia".

O forse, se proprio occorre ricordare in modo così solenne le vittime di quell'inutile strage, si potrebbe farlo in termini internazionali, dedicando una giornata di memoria a tutti i caduti, su tutti i fronti, con diverse divise e soprattutto senza alcuna divisa. Chissà perché, quando ci si riferisce alla prima guerra mondiale, si è portati a pensare che siano morti soltanto i soldati, quando invece, secondo stime abbastanza documentate, solo in Italia sono circa 600mila i morti militari e altrettanti 600mila quelli civili. Allargando lo sguardo ai belligeranti, si raggiungono cifre ancor più spaventose, ben oltre i dieci milioni di morti in tutta Europa e anche oltre.

Per questo molti ritengono che, con tutte le più buone intenzioni, la celebrazione di quest'anno, con l'enfatizzazione strumentale del sacrificio di un unico soldato, ucciso dai politici che hanno scelto di entrare nel conflitto e dai generali che hanno studiato e attuato la disumana strategia della trincea, non possa essere una memoria di pace, bensì un ricordo retorico di un avvenimento lontano. Potrebbe essere quasi un gesto del tutto avulso dalla realtà attuale, e allora che senso avrebbe? Oppure potrebbe essere una tardiva giustificazione dell'ingiustificabile catena di scelte colpevoli che ha portato quel povero ragazzo a morire senza un nome sui monti di Trento e allora sarebbe inaccettabile.

Il ricordo del milite ignoto, quello degli altri milioni di militi ignoti e noti, quello di ulteriori milioni di vittime civili note e ignote, più che alla ricostruzione storica di un evento importante per la storia e l'unità d'Italia, dovrebbe portare a un comune, internazionale riconoscimento, di quanto sia assurda ogni guerra di conquista, di quante distruzioni provochi e di quanto dolore venga seminato. Senza dimenticare che dalle membra maciullate, irrorate da tanto sangue versato, non sono nati fiori di giustizia e di libertà, ma si sono poste le condizioni per la crescita del fascismo e del nazismo, prodromi della seconda e ancor più terribile guerra mondiale.

No quindi alla cittadinanza onoraria al Milite Ignoto, sì a quella dedicata a tutti i defunti Costruttori di autentica pace, ignoti o noti che siano.

lunedì 25 ottobre 2021

Nova Gorica/Gorizia, anche capitale europea della giustizia e della pace, dal 2025?

Il Kulturni dom, in via Brass 20 a Gorizia
Stasera (lunedì 25 ottobre), alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia, si parlerà di difesa non armata dell'Europa e del mondo. Un appuntamento davvero da non perdere. Sarà una bella occasione per "lanciare" una proposta antica e nuova. Correva l'anno...

...correva l'anno 2001. E' difficile dimenticarlo, il 19 luglio ero a Roma, insieme al prof. Alberto Gasperini, allora direttore dell'ISIG. Abbiamo incontrato un rappresentante della Segreteria di Stato vaticana e poi siano stati ricevuti da Giulio Andreotti, nel suo studio di senatore a vita. Avevamo poi incontrato due referenti del mondo accademico israeliano e palestinese. L'idea era quella di organizzare un convegno internazionale a Gorizia sulle "città divise" e si pensava a Roma/Città del Vaticano, Gerusalemme/Gerusalemme est, Nicosia e naturalmente Nova Gorica/Gorizia. Era in corso a Genova il famoso tragico G8 e la mattina del 20 ero letteralmente volato con la mia pandina in Liguria, in tempo per assistere alla feroce repressione delle manifestazioni no global, a due passi dalla piazza Alimonda che per molti di noi da allora è stata ribattezzata Piazza Carlo Giuliani.

Quale era l'obiettivo? 

Quello di accelerare il processo di trasformazione del territorio goriziano in laboratorio di giustizia e di pace, in termini molto concreti e non soltanto come un piacevole slogan.

Del resto, non è un caso che a Gorizia sia stata realizzata una prestigiosa facoltà di scienze diplomatiche in seno all'Università di Trieste e di scienze internazionali presso l'Università di Udine. Anche le facoltà presenti a Nova Gorica sottolineano da sempre l'indirizzo internazionale, come pure gli istituti di ricerca territoriali, tra i quali l'Istituto di Sociologia Internazionale (ISIG), gli Incontri Culturali Mitteleuropei (ICM) e tanti altri enti storici, sociologici e culturali.

In tali ambiti, senza che le città sul confine dessero segnale di conoscenza e consapevolezza, transitarono negli anni '90 importanti personaggi della politica planetaria, tra i quali Michail Gorbačev ed Eduard Shevarnadze, solo per fare due nomi. Soprattutto, in quel periodo, la zona era considerata ideale per favorire i primi scambi diplomatici fra negoziatori di paesi belligeranti. Si tratta dei primi passi che sono necessari per preparare i documenti da trasmettere ai livelli successivi, fino alla fase finale con la firma e la stretta di mano ufficiali, queste ultime sì, in luoghi ben più noti e con ampia pubblicità mediatica.

La prospettiva indicata insieme ad Alberto Gasperini era quella di un rilancio convinto di tale "vocazione" delle due città di confine, là dove la definitiva abolizione della rete confinaria che ancora non era stata smantellata, avrebbe reso possibile non solo logisticamente, ma anche simbolicamente, la realizzazione di tale progetto.

In sintesi, la case dello studente/djaški dom di Nova Gorica e Gorizia, come pure i numerosi istituti religiosi e conventi disseminati dai centri città a Sveta Gora, da Miren a Kostanjevica, come pure gli spazi delle comunità protestante e anche di quella musulmana, le caserme quasi totalmente dismesse, sarebbero tuttora tanti luoghi ideali per ospitare delegazioni, anche numerose, di Paesi belligeranti. La particolare configurazione di "zona di (ex) confine" potrebbe permettere di organizzare, oltre ai momenti assembleari e agli indispensabili colloqui individuali, anche gite turistiche, facendo conoscere tragici siti di guerra, ma soprattutto testimonianze di una pluridecennale ricostruzione di relazioni e rapporti di pace. La visione delle bellezze paesaggistiche e la degustazione dei prodotti tipici enogastronomici potrebbero inoltre creare il contorno ideale per iniziare sguardi reciproci improntati, dalla diffidenza all'inizio della collaborazione.

In questo senso la/le città potrebbero essere il luogo ideale per realizzare anche il centro internazionale di addestramento dei Corpi Civili di Pace europei. Giovani di tutta Europa potrebbero trovare alloggio e permanenza a Nova Gorica e Gorizia, studiare presso le facoltà locali, vivere esperienze di conoscenza reciproca e costruzione insieme, percorrere avventurosamente durante l'estate i sentieri collegati alla splendida e interessantissima "Pot miru, via della pace", dal passo Predil a Trieste. Potrebbero, in poche parole, diventare un vero "esercito senza armi", da inviare, professionalmente e non come volontari, in zone di guerra per accompagnare i processi di pacificazione, sostenere le popolazioni colpite dalla guerra, intervenire, fin dove possibile, negli spazi della comunicazione per proporre il metodo nonviolento come alternativa credibile e sostenibile all'uso della forza armata.

Nova Gorica/Gorizia, capitale europea della Cultura nel 2025. Potrebbe essere contestualmente anche l'inizio della "capitale europea dei processi di pacificazione e della nonviolenza attiva"? 

domenica 24 ottobre 2021

I Corpi civili di pace a difesa della nuova Europa. Lunedì 25 ottobre alle 18, al Kulturni dom

Si parla molto in questo periodo delle celebrazione in occasione del centesimo anniversario della traslazione della salma del Milite ignoto da Gorizia ed Aquileia a Roma.

Il Punto Pace di Gorizia vuole proporre una riflessione alternativa, sottolineando non solo l'orrore della guerra che falcia la vita di milioni di esseri umani, civili e militari, ma anche una nuova visione della "difesa" di una terra, non necessariamente armata.

L'Europa potrebbe essere all'avanguardia in questo percorso, organizzando, attraverso gli istituti accademici e forme di addestramento dedicate, i "copri civili di pace". Dovrebbero essere delle formazioni di persone che vengono preparate e affrontano responsabilmente e professionalmente, le difficili situazioni delle popolazioni in guerra.

Tali corpi, se ben allestiti, possono anche creare un valido sostegno diplomatico ai negoziatori che si prefiggono lo scopo di risolvere i problemi tra i popoli e le nazioni non con i cannoni e le bombe, ma con la grande forza dell'intelligenza e della creatività umane.

Ne parleranno domani, lunedì 25 ottobre, alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia, il prete giornalista Paolo Iannaccone, Andrea Bellavite, i volontari dell'Operazione Colomba delle Comunità Giovanni XXIII. E sarà ospite per la prima volta a Gorizia Padre Bogdan Knavs, guardiano del Convento di Sveta Gora (Monte Santo), molto noto in Slovenia per le coraggiose posizioni pacifiste e umaniste. Sarà letto anche un intervento di Alessandro Capuzzo, del Comitato pace e convivenza Danilo Dolci di Trieste e Maria Carla Biavati, dei Corpi Civili di Pace. L'incontro sarà coordinato dalla giornalista Selina Trevisan e nel corso di esso saranno premiati i disegni sulla pace elaborati dai bambini nel corso dei Centri estivi da poco conclusi.

Tutti sono invitati a partecipare a questo incontro, davvero da non perdere!!!

venerdì 22 ottobre 2021

E ora, spazio ai filosofi e agli artisti...

Verso il grande evento (foto Nevio Costanzo)
L'incontro tra Borut Pahor e Sergio Mattarella a Nova Gorica e Gorizia è stato un evento di grande importanza. Come è stato detto, un confine che è stato in passato sinonimo di distanza e divisione, oggi è diventato punto di incontro e di amicizia tra i popoli.

I due presidenti hanno ricevuto gli onori nella piazza principale di Nova Gorica, hanno visitato i ponti di Salcano, hanno incontrato i cittadini, attraversato le vie di Gorizia, celebrato l'unità di intenti sulla piazza della Transalpina e nel teatro Verdi.

Si è trattato di un vero e proprio pellegrinaggio civile, non tanto sui luoghi della memoria quanto su quelli che proiettano verso il futuro, quello immediato con l'appuntamento importante del 2025, quello più lontano con la definitiva consapevolezza della bellezza di un territorio caratterizzato dall'unità nella diversità.

Non si tratta di un "punto di partenza", come con un po' di retorica è stato scritto da molti, meno che meno un "punto di arrivo". E' stata una tappa, di portata storica data la - peraltro non nuova - presenza contemporanea di due Presidenti della Repubblica, da sempre non soltanto collaboranti ma anche amici. E' stata anche l'occasione per dare il via ufficiale al già avviato percorso di avvicinamento alla data della Capitale europea della Cultura.

E' giunto il momento di coinvolgere tutta la popolazione, affinché l'occasione non sia limitata all'interesse di pochi addetti ai lavori, alla ricerca di qualche finanziamento o alla celebrazione di qualche evento riservato alle autorità del caso. Tutti, dagli enti e istituti accademici alle associazioni culturali, dalle categorie produttive agli ordini professionali, soprattutto dalle istituzioni a ciascun singolo cittadino, si è chiamati a un accelerazione e alla moltiplicazione delle occasioni di conoscenza e autentica fraternità.

Perché questo accada, prima della comunque necessaria elaborazione di progetti e ricerca di fondi per realizzarli, occorre che ci sia una convinta partecipazione della base. Il primo passo non può che essere un urgente cambiamento relativo all'apprendimento delle lingue. Come giustificare una Capitale della Cultura, scelta proprio per il suo essere particolare e armonica "casa" delle diversità, senza che ogni abitante sappia almeno comprendere la lingua dell'altro? E' indispensabile muoversi in questo senso, sia moltiplicando le occasioni di studio e ricerca per gli adulti, sia soprattutto inserendo l'italiano e lo sloveno - oltre all'inglese veicolare - come materie obbligatorie nelle rispettive scuole di Nova Gorica e di Gorizia.

In secondo, ma altrettanto importante luogo, occorre il massimo coinvolgimento possibile delle persone e delle realtà che "fanno" cultura. Ciò significa ovviamente che ogni residente può contribuire con la propria preparazione e le proprie competenze, ma anche che chi ha una particolare ispirazione, sia essa letteraria o più generalmente artistica, deve essere protagonista. Il futuro del territorio Goriziano dovrà essere improntato dalla ricerca della Bellezza, quella autentica che non nega la drammaticità della Storia o la malinconia dell'Esistenza, ma le sublima in una concezione profonda dell'essere e dello stare insieme.

Si facciano avanti dunque i poeti, i pittori, i filosofi, i teologi, i cercatori del significato del Tutto. Anche coloro che sono chiamati alle nobili azioni della Politica e dell'Economia siano un po' artisti, o almeno ascoltino chi ha il dono di vedere "più in là". Perché solo così Nova Gorica e Gorizia non saranno capitale europea della Cultura soltanto per un anno, ma continueranno a essere anche dopo punto di riferimento per chi vuole costruire una nuova Europa, laboratorio di giustizia e di pace al servizio di ogni "cittadino del mondo".  

giovedì 21 ottobre 2021

DOBRODOŠLA PREDSEDNIKA, BENVENUTI PRESIDENTI!!!


Nella foto di Nevio Costanzo, il centro della piazza Transalpina/trg Evropa, il luogo simbolico più significativo dell'incontro tra il presidente Pahor e il presidente Mattarella. In attesa di ascoltare gli inni nazionali e soprattutto le parole dei due massimi rappresentanti delle due Repubbliche, un caldo augurio di BENVENUTI FRA NOI/DOBRODOŠLI, a loro due e a tutti gli altri ospiti della città, unica nella sua diversità, di Nova Gorica/Gorizia.

martedì 19 ottobre 2021

La maggioranza astensionista, inquietante vincitrice di tutti i ballottaggi...

Ci fu un tempo in cui ci si meravigliava di quanti pochi elettori andassero alle urne negli Stati Uniti e ci si chiedeva il senso di una preferenza espressa da meno della metà della popolazione. Si leggeva con una punta di divertimento il racconto di Asimov che preconizzava l'algoritmo che avrebbe indicato il nome dell'unico votante che con la sua decisione avrebbe fatto pendere l'ago della bilancia dalla parte maggioritaria dell'opinione pubblica.

I ballottaggi di questi giorni, ma anche il primo turno di due settimane fa, sono una doccia fredda. Il tradizionalmente abbastanza puntuale elettorato italiano ha dato prova di un enorme assenteismo, in una tipologia di elezione - le amministrative comunali - che dovrebbe favorire il coinvolgimento e la vicinanza dei cittadini. 

In questo modo, qualche domanda sull'effettivo valore del sistema è inevitabile. Si prendano due esempi, per "par condicio" quello di Roma e quello di Trieste. Rispetto al numero complessivo di potenziali elettori, nella Capitale Gualtieri è stato scelto di fatto dal 24,5%, neppure uno su quattro. Ancora più eclatante il dato riguardante Dipiazza, con circa il 21%, eletto quindi con una preferenza espressa ogni cinque possibili elettori. 

Certo, è vero che chi non partecipa ha sempre torto, ma il dato è eclatante. Se si considera normale, fisiologica si usa dire, un'astensione intorno al 25-30%, un'elezione che annovera meno della metà degli aventi diritto offre una forte, anche se non chiara, indicazione politica.

Non si va a votare perché non lo si ritiene importante, ma soprattutto perché non ci si sente rappresentati da nessuno di coloro che si candidano, meno che meno da coloro che nel segreto delle stanze dei maggiorenti, decidono chi proporre e chi scartare. 

La grande crisi della democrazia rappresentativa è una delle tante espressioni della mai decollata democrazia partecipativa. Inoltre, l'impressione che le decisioni vengano prese ovunque, ma non nelle istituzioni eletto dal popolo, accresce la sfiducia dei cittadini, sempre più estromessi dalle scelte che li riguardano più da vicino. Inoltre, sono sempre meno presi in considerazione gli strumenti di partecipazione diretta, come i referendum - nazionali e locali - o le leggi e i regolamenti proposti a partire dall'iniziativa popolare. La forma "partito", necessaria in un sistema come quello definito dalla Costituzione italiana, non può che mostrare tutta la sua debolezza, senza un chiaro orientamento verso il coinvolgimento convinto e non supponente dell'intera cittadinanza. La mancanza di fiducia nei propri rappresentanti è alla base anche della rivendicazione "fai da te", che senza un'adeguata capacità di ascolto, può sfociare purtroppo nella violenza neofascista o nell'ingiustificata repressione.

Più che esultare quindi, i vincitori di questa tornata di ballottaggi sono chiamati a riflettere e a trovare urgenti percorsi di riavvicinamento a quella che genericamente viene definita "gente", sperando che ormai non sia già troppo tardi.   


lunedì 18 ottobre 2021

A Trieste, una brutta pagina per la democrazia

Quella che si sta scrivendo in questi minuti a Trieste è una bruttissima pagina della "democrazia".

No, non si possono accettare le offese ai giornalisti nell'esercizio del loro lavoro. Sono da denunciare e fermare i facinorosi fascisti che assaltano le sedi dei sindacati. Si può essere del tutto d'accordo con la scelta governativa di imporre il green pass ai lavoratori o la vaccinazione obbligatoria. Si possono esprimere dubbi sull'efficacia e l'opportunità del ventilato blocco del porto. Si può in poche parole non essere affatto dalla parte dei portuali e di coloro che sono scesi in piazza con loro.

Ma l'intervento della polizia, della guardia di finanza e della altre forze dell'ordine contro migliaia di cittadine e cittadini inermi a mani alzate, deve essere denunciato come degno di uno Stato totalitario e non più democratico. Oggi tocca ai manifestanti "no green pass", è già toccato e capiterà di nuovo a chi contesterà le politiche migratorie oppure a chi vorrà impedire la crescita del neofascismo in Italia.

No, non si può accettare tutto. Quella di Trieste non è una "guerriglia", ma un assalto unilaterale delle forze dell'ordine contro i manifestanti. Se in una democrazia i rappresentanti del popolo non trovano altre soluzioni che gli idranti e i lacrimogeni per sciogliere una manifestazione pacifica, la situazione è veramente molto grave.

Nel momento in cui a Trieste si esercita uno dei più importanti diritti, quello del voto e l'astensionismo supera ormai sensibilmente la soglia psicologica del 50%, non è la "forza della politica", ma la "pseudopolitica della forza" a prendere il sopravvento.

E' vero che raramente un dibattito è stato così aperto e controverso come quello sul green pass e sui vaccini, capace di scombinare tutti gli schieramenti tradizionali di destra o di sinistra, affiancando nemici storici nel sostenere l'una o l'altra tesi, spaccando fronti fino a questo momento coesi e portando la divisione tra gli amici e i parenti stretti.

Personalmente, da vaccinato e da persona perplessa di fronte alle proteste presso il porto di Trieste, ritengo del tutto sproporzionata la violenza delle forze dell'ordine, invoco un soprassalto di coraggio da parte di chi dovrebbe rappresentare il popolo e non solo gli interessi della propria parte, mi chiedo, preoccupato, a chi giovi l'innalzamento della tensione oltre i limiti della ragione.