mercoledì 30 settembre 2020

Smantellare lo Stato Vaticano per trovare la libertà spirituale

Perché è necessario avviare lo smantellamento dello stato della Città del Vaticano? Perché è l'ultimo retaggio del potere temporale del Papa e della Chiesa cattolica. E' necessario avviare le pratiche per una transizione non troppo traumatica perché non si tratta affatto di un ente simbolico, bensì di un gigantesco crocevia di affari planetari, garantiti da intrallazzi economici e finanziari di ogni tipo, da una rete diplomatica di altissimo livello, dal possesso di uno dei più cospicui patrimoni culturali dell'umanità e dalla sincera accettazione - più o meno tollerata - di oltre un miliardo di persone.

"Saltando" lo Stato Vaticano, dovrebbero essere resi inefficaci tutti quegli accordi con gli altri Stati che vengono chiamati Concordati, di fatto dei vincoli reciproci tra Chiese nazionali e Poteri politici che non fanno bene né alle une né agli altri. Gli scandali vaticani ed ecclesiastici sono sempre esistiti, dal secondo dopoguerra in poi fanno part della storia contemporanea, al punto che secondo alcuni avrebbero portato fino alla soppressione fisica di un Pontefice, dopo soli 28 giorni di pontificato. C'è poco da strapparsi le vesti o, peggio, di rovesciare tutta la colpa solo sul reo confesso di turno. In un sistema di potere assolutista e così fortemente radicato in tutte le forme di potere esistenti sulla Terra, la corruzione e l'interesse privato sono una tentazione permanente e una piaga endemica che possono essere estirpate esclusivamente attraverso un'operazione radicale.

Anche senza parlare di gravi reati, anche nell'ordinario scorrere delle relazioni reciproche tra potere politico, temporale e spirituale, si possono individuare motivi di perplessità. Mentre si contestano autorevolmente - e giustamente! - i privilegi e le clientele presenti ovunque, se ne accettano alcuni dallo Stato senza muovere un dito, quando essi riguardano la Chiesa cattolica. Tra i tanti, si possono portare un paio di esempi italici, mai messi in discussione nemmeno da Francesco e dal peraltro molto illuminato Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Bassetti. 

Per insegnare religione cattolica nelle scuole italiane ed essere configurati come docenti nominati (e giustamente retribuiti) dal Ministero della Pubblica Istruzione, non bastano i titoli di studio, occorre un documento di idoneità sottoscritto dall'autorità religiosa, nella fattispecie il Vescovo diocesano o chi ne fa le veci. In un Paese e in una Scuola sedicenti laici, un servizio importante alla formazione dei giovani è condizionato dall'accordo espresso da un'autorità religiosa. Ciò, al di là delle parole e dei proclami, costringe di fatto l'insegnante a dipendere, nella sua didattica ma anche nelle scelte della vita individuale, dal buon cuore e dal buon senso di un Prelato che potrebbe impedirgli la nomina o anche farla cancellare. Ma ciò, anche nell'indiscussa professionalità degli insegnanti, rende meno libero l'insegnamento e lo avvicina a una sorta di catechesi a favore dei soli avvalentesi, quando invece un programma "laico" di religione cattolica potrebbe essere davvero indispensabile, anche a chi viene da lontano, per comprendere meglio le dinamiche storiche, culturali e sociali, italiane ed europee.

Altro esempio, l'8/1000. Si sa che all'atto della sottoscrizione della dichiarazione dei redditi, si può segnare in una casella l'ente al quale si ritiene di affidare l'8 per mille del proprio reddito. Circa metà italiani, forse anche più, non firma in nessuna casella, per cui sarebbe logico che la decina di enti ai quali si può devolvere si spartiscano la "metà" corrispondente ai sottoscrittori, lasciando allo stato l'altra metà. Invece non è così. La percentuale dei firmatari determina la spartizione dell'intero bottino. Essendo la Chiesa cattolica destinataria di circa l'85% delle firme, essa non si porta a casa l'85% del 50%, bensì dell'intera posta. Ovviamente poi lo Stato non avrà sufficienti mezzi per poter sopperire alla miriade di necessità della cittadine e dei cittadini, soprattutto di quelli più poveri, la cui cura sarà delegata, come nell''800, alla Chiesa Cattolica.

Insomma, libera Chiesa in libero Stato è ancora la formula dimenticata ma indispensabile, per curare gli interessi dello Stato - cioè quelli di ogni appartenente al popolo sovrano - ma anche per salvare quella libertà spirituale che dovrebbe essere l'unica vera forza rivoluzionaria e riformatrice dei discepoli di Gesù. 

lunedì 28 settembre 2020

Scandali nella Chiesa cattolica: Francesco, vero Riformatore o semplice riparatore delle falle del sistema?

Per il Vescovo di Roma Francesco è giunto il momento della verità. Vuole essere ricordato come un rivoluzionario riformatore o come un semplice riparatore di qualche inqualificabile eccesso? Nel primo caso passerà alla storia per aver seguito l'unica strada che darebbe ancora un senso all'esistenza stessa della Chiesa cattolica, nel secondo la sua memoria sarà semplicemente cancellata da chi verrà dopo di lui, sia che si collochi nella sua stessa linea, sia che preferisca riportare le cose all'ordine precedente.

I dibattiti e gli scandali quotidiani che si susseguono in Vaticano investono la sfera morale (l'ancora irrisolta questione della pedofilia, se non dilagante, senz'altro dilagata, il tema del matrimonio omosessuale, la definizione dello stesso concetto di eutanasia...), quella politica (la complessa navigazione tra simpatie nei confronti delle sinistre laiche, diffidenze verso le destre ipercattoliche, tentazioni populiste e proiezioni pauperistiche e ambientalistiche...) e naturalmente quella economica (i traffici con le banche, l'uso spregiudicato dei soldi destinati ai poveri, gli investimenti problematici...).

In tutto ciò Francesco appare completamente solo, non si capisce se per scelta, dal momento che quasi tutte le sue nomine di curia sembrano essere state poco felici o per costrizione, data la forte opposizione interna che riscontra ovunque, in particolare dalla decisiva componente conservatrice. La domanda che ci si pone è se il papa sia così fiducioso da ritenere davvero "solo in parte riformabile" la struttura visibile della Chiesa cattolica o se non percepisca il richiamo a essere vero "uomo della Provvidenza", provvedendo di conseguenza a dei cambiamenti radicali, primo fra tutti la fine dell'esperienza del potere temporale, sopprimendo quell'ultimo rimasuglio di una storia ormai finita che è lo Stato della Città del Vaticano, con tutti gli annessi e connessi.

Se così fosse, Francesco non avrebbe altra scelta che quella di creare intorno a sé una duplice Commissione. La prima, teologica, dovrebbe "costruire" una teoria di un nuovo cattolicesimo, svincolato da "primati" e da "infallibilità", aperto al dialogo federale con le altre confessioni cristiane e al confronto simpatetico con le religioni, fondato sul primato della coscienza sulla legge, svincolato dalla concezione sacrale di un sacerdozio da riportare alla sola dimensione del presbiterato funzionale, spalancato alla presa d'atto dei diritti individuali e sociali. Insomma, si dovrebbe pensare all'autentico ritorno all'era pre-costantiniana, senza luoghi di culto o strutture imperiali, all'epoca gloriosa degli apostoli e dei martiri, sull'esempio del fondatore Gesù di Nazareth.

La seconda Commissione, composta da persone esperte, molto competenti e pratiche, dovrebbe gestire la conseguente chiusura di tutte le attività commerciali e di tutte le relazioni di potere che la Chiesa Cattolica tuttora gestisce a livello planetario. La fine dello stato significa la fine delle Nunziature apostoliche, della diplomazia vaticana, dei privilegi sociali ed economici, dello IOR e degli intrallazzi valutari, anche del gigantesco sistema caritativo  e delle centinaia di migliaia di strutture diocesane e religiose. La Chiesa sarebbe riportata alla sua originaria essenzialità, scomparendo dall'orizzonte del Potere e ritrovandosi gigante dispensatore di speranza in un ambito quasi esclusivamente spirituale.

Certo, sono enormi cambiamenti che richiedono tempo, decisione ed energia, ma che soltanto un Papa potrebbe favorire e realizzare, come ultimo atto del suo Potere supremo e unico al mondo per la sua assolutezza alla quale pure dovrebbe rinunciare. Ma sono trasformazioni indispensabili che il Papa dovrebbe avere il coraggio di avviare, se appunto vuole essere ricordato come il vero Riformatore della Chiesa e non soltanto come il riparatore di qualche falla aperta nello scafo della barca di Pietro. 

domenica 27 settembre 2020

La manifestazione di ieri a Udine: tutto bene, fin troppo bene...

La manifestazione organizzata sabato pomeriggio da rete DASI del Friuli Venezia Giulia in piazza primo maggio a Udine è andata molto bene, anche grazie a un'organizzazione delicata e perfetta. Numerosi i presenti, ben distanziati e diffusi sul prato, in un contesto multicolore reso suggestivo dal colore delle coperte dorate agitate dai presenti durante l'iniziativa. Interessanti e spesso avvincenti gli interventi, da quelli radio-registrati di don Ciotti e Padre Zanotelli a quelli dei direttori dei giornali AltraEconomia e Nigrizia, dalle esperienze dirette alle conclusioni trascinanti di don Pierluigi Di Piazza. Tra i partecipanti, si sono visti anche l'imam di Udine Mohamed e pater Jacques Frant, vero e proprio "portavoce" del popolo palestinese nel territorio regionale. Sono sono visti anche alcuni rappresentanti del mondo politico locale, dal consigliere regionale Furio Honsell ai referenti di Open FVG e di Rifondazione Comunista del F-VG.

Bene insomma, tutto molto bene... Fin troppo bene, si potrebbe dire, in un contesto nel quale le coperte dorate ricordano le migliaia di persone naufraghe nel Mediterraneo e i tanti migranti presenti sottolineano i problemi irrisolti. Si è parlato delle decine di persone trattenute per settimane in un autobus nel cuore di Udine, dei respingimenti ormai ordinari dei richiedenti asilo in Slovenia, dell'incredibile mancata iscrizione all'anagrafe dei bambini nati in Italia, della necessità di cancellare i Decreti Sicurezza, dell'indispensabile, urgente chiusura dei cpr, a Gradisca e altrove. Tutto ciò ha aiutato a pensare, anche grazie alla presenza di tante persone impegnate in tanti e diversi modi sul fronte dell'accoglienza senza se e senza ma.

L'auspicio è che al di là di questo sereno momento di festa e di cultura, le richieste più specificamente politiche riescano a sfondare il muro di gomma opposto da un governo finora sostanzialmente inerte, nonostante la presenza in esso del Partito Democratico, molti esponenti del quale erano presenti - anche in forma ufficiale - alla manifestazione di Udine. Ora, al di là del politicamente corretto e nella comprensione delle necessarie trattative in ambito parlamentare e governativo, chi ha aderito all'iniziativa della rete DASI è chiamato a delle scelte difficili: si può insistere molto con i "propri" compagni di partito, ma se i tempi si prolungano all'infinito è necessario decidere da che parte stare. Se i decreti in-sicurezza vengono modificati in modo insoddisfacente, se continuano i respingimenti in Slovenia, se si vendono armi all'Egitto invece di chiedere la liberazione di Patrick Zaki e la verità per Giulio Regeni, se non vengono immediatamente chiusi i Centri per il Rimpatrio, se le politiche ambientali utilizzano il green new deal solo come uno slogano senza contenuto, come poter rimanere dentro un partito che potrebbe agire e non agisce?

E' importante che coloro che sono presenti nelle istituzioni, a livello amministrativo, politico e partitico, si ritrovino a riflettere per far sì che si possa quanto prima passare dalle indiscutibili parole alla prova della concretezza e dei fatti. Forse è questo uno dei messaggi di ieri. Non si può lasciare solo a chi ha il compito di richiamare i fondamenti etici - religiosamente o laicamente orientati - l'impegno di invocare il cambiamento della società. Occorre far sì che coloro che sono impegnati nella politica rappresentativa ascoltino con molta attenzione e trovino il modo di portare avanti con entusiasmo e convinzione un'azione corrispondente collettiva. Altrimenti, forse, sarebbe meglio non farsi troppo vedere intorno ai palchi dai quali trasuda la sofferenza del presente. 

giovedì 24 settembre 2020

Overdose di festival culturali: meno gusti e più pensieri!

Tra fine settembre e inizio ottobre, appena conclusa la grande rassegna Pordenonelegge, si svolgono più o meno negli stessi giorni, i seguenti eventi: Festival del Giornalismo a Ronchi dei Legionari, Festival itinerante del Giornalismo e della Conoscenza in diverse località dell'ex provincia di Gorizia e della Bassa Friulana, Festival del Giornalismo a Trieste, Premio Terzani di Vicino/Lontano a Udine, Kermesse culturale-gastronomica "Contea" a Gorizia e così via...

Certo, molte di queste iniziative sono state spostate nel calendario all'inizio dell'autunno a causa del coronavirus. Certo, c'è un grande bisogno di abbeverarsi a fonti importanti per comprendere meglio il momento difficile che tutti si sta vivendo. Certo, è un modo come un altro per sostenere anche i personaggi che animano l'informazione e la conoscenza a diversi livelli...

... Certo tutto questo, ma un po' di programmazione non sarebbe necessaria? O almeno, non sarebbe da richiedere da parte degli enti finanziatori, dal momento che questa overdose culturale non è a costo zero?

Il rischio di queste iniziative, sotto molti punti di vista lodevoli quando punteggiano la storia annuale dei quattro ex capoluoghi regionali, è di svalutare la Cultura a mero oggetto di consumo, riducendo la portata dei messaggi alla celebrità dei personaggi che li interpretano.

Da una parte sarebbe necessario anche immaginare qualcosa di nuovo, al di là del turbinio di parole che si accavallano sui vari palchi, qualcosa che consenta di non investire tutto il tempo e le energie nell'organizzazione dei grandi eventi. Sarebbe necessario superare la soddisfazione dell'istante dell'ascolto della personalità e valorizzare invece il quotidiano lavoro di interpretazione del presente, portato avanti con tanta fatica nell'indispensabile e silenzioso spazio dell'ordinarietà.

E sarebbe anche auspicabile un certo coordinamento tra gli eventi. Nell'epoca dell'informazione globale si sa che il problema non è il reperimento, ma il discernimento dell'informazione. Da questo punto di vista non è possibile inondare gli "spettatori" - perché solo così possono essere chiamati - con un diluvio di interventi, senza un nesso plausibile o evidente. Occorre piuttosto creare spazi di incontro e di confronto in grado di sostenere la riflessione e il pensiero di ciascuno, educando quello spirito critico che è dentro tutti, ma che per lo più è comodo lasciare nascosto nei meandri della coscienza individuale.

Insomma, meno cultura finalizzata al gustare (come ben sintetizzato dal festival Contea che sostituisce Gusti di Frontiera a Gorizia) e più Cultura finalizzata al pensare.

martedì 22 settembre 2020

Referendum e Regionali, chi vince e chi perde...

Come dopo ogni tornata elettorale, nelle dichiarazioni dei politici tutti hanno vinto e nessuno ha perso. In realtà in questa occasione, pochi hanno solo vinto o solo perso, la maggior parte ha contemporaneamente vinto e perso.

Solo vinto ha senz'altro Zaia, riconfermato presidente della Regione Veneto con una specie di plebiscito, cui ha contribuito in massima parte la "sua" lista che ha raggranellato intorno al milione di voti, mettendo di fatto in grande difficoltà il resto del centro destra e della destra "stracciati" dal protagonista. Per tutti gli schieramenti nazionali è un interrogativo pressante e un'analisi urgente: ma che "cosa" (per non usare altre parole non adatte al blog) ha fatto Zaia per meritare una simile fiducia? Solo vinto, anche se in misura meno eclatante, hanno anche Toti in Liguria, De Luca in Campania e soprattutto Emiliano in Puglia, forse l'unica sorpresa non prevista dai sondaggi dell'antivigilia. Uno degli elementi - non certo l'unico - che ha contribuito a queste vittorie solitarie è stato certamente determinato dalla gestione del contrasto al coronavirus, là dove di fatto chi più si è dimostrato "uomo forte" ha suscitato maggiore consenso, in attesa delle non ancora evidenti ricadute sull'occupazione e sulla prevedibile ormai imminente crisi lavorativa e produttiva autunnale. I topolini di Zaia divorati dai cinesi e i lanciafiamme evocati contro le feste campane da De Luca hanno lasciato un segno!

Solo perso ha senz'altro Salvini e la sua Lega, sconfitta di fatto ovunque, con l'atteso crollo al Sud che ha trascinato la coalizione di centro destra alla sconfitta anche in Puglia. Il piano inclinato su cui si è seduto dopo i famosi eventi del Papeete si fa sempre più ripido, gli slogan ossessivi non accompagnati da alcuna proposta politica sostenibile, hanno indebolito anche la sua stessa candidata in Toscana, mentre le visite preelettorali in Veneto sono apparse ovunque appena tollerate e non certo gradite. Come politico, Salvini è al termine della sua parabola e non gli rimane altro che prenderne atto e cercare di uscire in modo meno imbarazzante possibile di scena.  

Solo perso hanno coloro che hanno votato "no" al referendum, compreso chi scrive questo blog. Dire che "ben il 30%" ha compreso la portata di un taglio dei parlamentari che ridurrà drasticamente la rappresentanza e cancellerà le realtà culturali numericamente minoritarie, è una ben magra consolazione. Incredibile il risultato nelle piccole Regioni, le più penalizzate dalla legge costituzionale, sorprendente anche il fatto che il "no" abbia prevalso in rarissime occasioni anche nelle zone che subiranno le maggiori conseguenze. In Friuli Venezia Giulia solo il Comune di Repentabor, sul Carso, ha visto una peraltro risicata affermazione controcorrente.

Gli altri, tutto sommato, hanno i loro motivi per rallegrarsi e per preoccuparsi. 

I 5 Stelle intascano e si appropriano del risultato referendario. Pur riconoscendo che il 70% sarebbe stato un sogno senza l'appoggio - più o meno convinto - di quasi tutti i partiti dell'arco costituzionale, tutto sommato hanno le loro ragioni. Quella del rimpicciolimento del Parlamento è una loro battaglia delle origini. Davide Casaleggio nel passato aveva preconizzato perfino la completa cancellazione delle Camere, obiettivo da raggiungere un passo alla volta. E' nella logica di un Movimento scomparire dall'orizzonte una volta raggiunti gli obiettivi "ideali" oppure trasformarsi in qualcosa d'altro, trascinando i propri aderenti sulle montagne russe del trasformismo politico. Per questo Di Maio e company non hanno torto nel sottolineare la vittoria dei "sì" e nel non preoccuparsi troppo del peraltro evidente disastro elettorale in tutte le regioni in cui si sono presentati, da soli o in coalizione.

Visti i chiari di luna del periodo, il Pd di Zingaretti è andato al di là delle più rosee aspettative, tenendo come previsto la Toscana e ottenendo un successo inatteso con la "tenuta" del discusso presidente Emiliano in Puglia. Certo l'esultanza non può e non deve essere eccessiva, di fatto il pd perde le Marche, un'altra Regione (ormai si è al 15-5) storicamente a sinistra, dandola in mano a un nuovo governatore nostalgico della Marcia su Roma (ma si può???!!!). E dell'ottimo risultato in Campania deve ringraziare soprattutto la personalità vulcanica del governatore uscente, nella cui lista - è bene ricordarlo - ci sono parecchi "impresentabili" secondo la Commissione nazionale antimafia (di nuovo ???!!!).

Tutti gli altri, per farla breve, hanno motivi per sorridere e per piangere. Fratelli d'Italia dell'arrembante Meloni non è riuscita a sfondare, il travaso dalla Lega ha coinciso con numerose perdite di elettori nelle falle dell'acquedotto elettorale della Destra. Si può però consolare con la conquista delle Marche da parte di un esponente che più a destra di così non si può. La traballante Forza Italia, ormai appesa alla memoria del tempo che fu, può però rallegrarsi della riconferma di Toti, più o meno ribelle, ma pur sempre rappresentante di area e storico miliziano di Berlusconi. I partitelli sotto il 5% non hanno avuto storia, ma nello stato in cui si trovano possono almeno essere soddisfatti per aver fatto sentire la propria voce nel corso della campagna elettorale. Alcuni possono rivendicare qualche merito nei successi elettorali, come l'Italia Viva di Renzi nella cui area militava un tempo il nuovo presidente della Toscana. Altri possono ragionare in termini realistici sul proprio futuro. Gli ultimi frammenti di una Sinistra praticamente scomparsa dai consigli regionali possono rallegrarsi per il coraggio del tentativo e consolarsi con l'ennesima speranza di essere ideologicamente l'unico argine rimasto all'avanzata del capitalismo selvaggio. In fondo, come diceva la persona che rotolava dalle scale, "prima o poi arriverà anche il pianerottolo!". 

lunedì 21 settembre 2020

Una festa in giallo: Tadej Pogačar, da Klanec di Komenda

Domenica sera si è concluso il Tour de France. Ho avuto occasione di vedere alla televisione l'arrivo dell'ultima tappa e le premiazioni. Dove? A Komenda, il Comune di nascita del vincitore, Tadej Pogačar.

Il paesaggio della Gorenjska è affascinante. Le strade si snodano sinuose nella campagna, alle spalle la doppia cima di Šmarna Gora, sovrastante Ljubljana, dall'altra parte lo stupendo, roccioso massiccio delle Alpi di Kamnik, con il Grintavec e l'Ojstrica che sembrano invitare all'avventura i più ardimentosi alpinisti.

Ci sono tanti paesi, piccoli borghi seminati tra campi coltivati con cura. Tra essi c'è anche Komenda, anzi Klanec di Komenda, la minuscola frazione dove si trova la casa natale del nuovo campione. E' una zona tipicamente agricola, nelle vicinanze degli abitati ci sono tante stalle e ovunque si vendono verdure, frutta e prodotti caseari.

Man mano che ci si avvicina, cominciano a vedersi, poi a moltiplicarsi, le maglie gialle e nel centro del villaggio una rotonda dipinta del colore della maglia del tour, con numerose scritte inneggianti a Tadej dimostra che si è raggiunta la meta.

Sembra che non ci sia nessuno in giro, invece da qualche parte si sente il suono di una sirena che invita a curiosare. In effetti, nel piazzale di un centro sportivo troppo piccolo per contenere tanta gente, c'è una folla festante che sta seguendo con il fiato sospeso la volata finale. Ecco, l'urlo, bravo l'australiano Bennet che con la sua maglia verde taglia il traguardo felice. Ma la voce di tutti diventa potente quando compare lui, il compaesano Tadej, con la maglia gialla e con la mano appoggiata sulla spalla del delusissimo Roglič, il connazionale, il grande sconfitto della Grande Boucle.

Circolano gli aneddoti sul giovanissimo campione - 22 anni! Il grazie della famiglia al primo allenatore che ha comprato la prima bicicletta fuori dalla portata economica dei genitori, il ragazzino apparentemente "staccato" dal gruppo dei piccoli ciclisti, in realtà davanti a tutti dopo aver compiuto un giro in più degli altri, il compagno di scuola che ognuno vorrebbe avere nel banco accanto...

Silenzio ora, è il momento delle premiazioni. Pogačar si prende una buona dose di applausi quando riveste la maglia a pois del miglior scalatore, poi è la volta della maglia bianca dei giovani e infine la maglia gialla, sul gradino più alto del podio. Risuonano le note dell'inno nazionale, il "Brindisi" di Prešeren è cantato in modo un po' sguaiato dai presenti, evidentemente "provati"da un pomeriggio non privo di un elevato tasso alcoolico. Scoppiano i mortaretti e i fuochi artificiali illuminano la notte incipiente della regione.

E' tempo di andarsene, non senza aver notato la bellezza del paesaggio ormai immerso nel buio, mentre i bambini gioiosi sfrecciano con le loro biciclette e i monopattini gridando al mondo che "Pogy je zmagal", Pogačar ha trionfato!

Gli avvenimenti sportivi hanno un loro fascino, coinvolgono nell'interesse e nell'identificazione milioni di persone. E non è solo un evento marginale, ma anche un elemento culturale importante quello che un primo e secondo posto nella corsa ciclistica a tappe più importante del pianeta, apporta a una Nazione numericamente piccola come la Slovenia. Certo, quello che conta sono la pace, la libertà, la lealtà, in tutti i campi, anche in quello sportivo dove non manca l'influenza di squallidi interessi che coniugano l'avidità di guadagno e la strumentalizzazione politica. Tuttavia, per una volta e auspicando che non ci sia poi un'altra delusione e smentita, è bello vedere il volto raggiante di un ragazzo semplice che innalza verso il cielo la bandiera slovena. Ed è bello condividere, almeno per un paio d'ore, l'emozione di gente abituata al lavoro duro e alla fatica quotidiana, nel vedere un proprio giovane compagno di infanzia e adolescenza, salire sul gradino più alto, celebrare la sua grande vittoria all'ombra dell'Arc de Triomphe sui Champs Elysees.