martedì 15 dicembre 2020

Pandemia e profezia. verso dove andare...

Sì, ma cosa? Da dove cominciare? Cosa significa uscire dalla pandemia migliori di prima? Quale post-capitalismo possibile?

Alcuni slogan dei tempi d'oro potrebbero essere ripresi e riproposti, possibilmente con un linguaggio più apprezzato da un mondo giovanile che ha molto da dire e da insegnare.

Il primo è "lavorare meno, lavorare tutti". I dati economici evidenziano come la distribuzione della ricchezza nel Mondo sia sempre più assurda e iniqua privilegiando sempre meno straricchi e penalizzando sempre più strapoveri. Una politica del reddito di base a livello europeo, come pure un investimento convinto sulla riqualificazione ecologica delle industrie inquinanti, potrebbero essere un'occasione imperdibile per rendere le parole "prima le persone" un obiettivo e un autentico programma politico.

Il secondo è "libera circolazione delle persone". Si tratta di oltrepassare l'angusta visione della libera circolazione delle sole merci, che ha trasformato l'Europa in un ambiente chiuso, poco accogliente, addirittura violento - in molti casi - nel respingere verso il dramma coloro che cercano di varcare i confini per raggiungere la terra che essi vedono come quella capace di dare loro speranza. Il cambiamento culturale è la cifra ermeneutica dell'intera storia degli umani, il fatto che l'Occidente ricco possieda armi e mezzi a sufficienza per paralizzare qualsiasi migrazione, non significa altro che possedere la libertà di scegliere tra una propria lenta egoistica fine e un rapido suicidio. Solo l'incontro e la coesistenza potrebbero costruire una nuova condivisa civiltà, nella bellezza e nella ricchezza della diversità. 

Non dimentichiamo poi i "Venerdì per il futuro" proposti dalla grande Greta Thunberg. I milioni di ragazzi che si sono mobilitati negli scorsi due anni hanno lasciato un messaggio  che le politiche repressive anti-covid non sono riuscite del tutto a soffocare: il mondo è in agonia e se non si cambia passo, non arriveremo lontano. La pandemia è una conseguenza e non una causa della sofferenza del Pianeta.

Ovviamente non si può tralasciare la profezia biblica delle "lance da trasformare in falci" e delle "macchine da guerra da trasformare in aratri". In altre parole, è indispensabile un'azione convinta per la realizzazione di una pace planetaria fondata sulla giustizia. Non basta condannare a parole i "trafficanti di armi" o dichiarare la guerra "una follia", senza denunciare gli squallidi interessi economici perseguiti dai governi sedicenti democratici, compresi quelli amministrati da una specie di "centro sinistra".

Le restrizioni di questo periodo evidenziano ancor di più l'assurdità dei confini. Se oltrepassi la linea di demarcazione, diventi un pericoloso portatore di virus, se sei cinque metri più indietro, sei inoffensivo. Se ami chi sta nella tua casa, non c'è problema, se l'"altra" o l'"altro" sono oltre la linea l'epidemia infuria. A di là del virus, come "pensare" e "pensarsi" tutte e tutti insieme? Come immaginare un'umanità per ora "europea", ma con l'obiettivo globale della "planetarietà"?  

Insomma, è ora di mettere la parola fine all'epoca del Capitalismo, ridando forza ed efficacia alla sua filosofica opposizione, ovvero l'autentico Personalismo. E' la fine del dio Denaro, l'inizio di una nuova epoca, nella quale, come diceva il vecchio Karl, ciascuno potrà dare secondo le sue capacità e ricevere secondo le sue necessità, con la possibilità per tutti di accedere, ognuno a suo modo, alle meravigliose conquiste scientifiche e informatiche dell'umanità contemporanea.. La vittoria sulla pandemia potrebbe essere l'inizio di un post-capitalismo, in un orizzonte sanamente neomarxista, capace di rivitalizzare le culture e le civiltà di Oriente e Occidente, del Nord e del Sud, in una nuova gigantesca sintesi ideale, spirituale e ideologica, in grado di porre le fondamenta di un evo post-post moderno e addirittura post-contemporaneo. 

domenica 13 dicembre 2020

Oltre la pandemia, oltre il Capitalismo...

La pandemia infuria, con numeri da capogiro. Ci si concentra sulle misure natalizie, sulla più o meno accentuata obbedienza degli italiani, sulle speranze (le preoccupazioni sono sistematicamente censurate) nei vaccini che spuntano come funghi in diverse parti del mondo. Ovviamente non mancano le tensioni legate alla prevedibile grande crisi economica e occupazionale, i cui effetti si produrranno nel prossimo anno.
Ciò di cui si parla ancora poco è "come ne verremo fuori". Se da una parte le "serrande abbassate" (per non usare il termine lockdown) hanno portato sulla soglia della povertà milioni di persone in Italia, oltre che all'incremento della fame per miliardi nel mondo, dall'altra hanno dimostrato che il coronavirus ha evidenziato, non certo creato, la malattia dell'"Occidente".
Il malato è il sistema del Capitale. Non è la prima volta, è riuscito a oltrepassare altre crisi, a volte in modo sconvolgente, basti pensare alle due guerre mondiali del XX secolo, a volte in modo meno visibile e subdolo, sacrificando agli interessi di pochissimi intere popolazioni ridotte allo stremo, soprattutto in Africa e in molte parti dell'Asia. La disoccupazione che produce schiavitù, la miseria estrema che destabilizza l'ordine a favore delle mafie internazionali, il rifiuto dell'accoglienza che favorisce i mercanti di persone, i cambiamenti climatici che mettono in ginocchio gli ecosistemi, la persecuzione ideologica e religiosa, il mancato rispetto dei diritti dell'essere umano come pure di ogni essere vivente, l'informazione mediatica al servizio dell'autentica crescita dell'umanità... Tutto ciò viene immolato sull'altare immondo del dio denaro e il Pianeta ne soffre al punto da mostrare i primi segni dell'agonia.
Occorre un vero nuovo corso, che cioè il felice slogan "Green new deal" si trasformi in scelte operative concrete, in convinte politiche anticapitaliste. La lotta contro il covid potrebbe essere l'occasione per riunire tutti in un primo obiettivo di sconfiggere il virus, ma anche in uno sguardo di più ampie vedute, quello di ripensare l'attuale contingenza e orientarsi verso una grande mobilitazione generale. Era il sogno dell'"altro mondo possibile", soffocato nel sangue a Genova nel 2001. Allora sembrava possibile raggiungere gli "obiettivi del Millennio", la vittoria sulla fame, sull'analfabetismo, sulla disoccupazione, sulla malaria e sulle malattie endemiche, sulla violenza e sulla guerra. Perché è fallito quel progetto? Perché non ripartire da quella gloriosa e drammatica settimana di confronto e immenso lavoro? Perché non credere ancora nella costruzione di un nuovo sistema, solidale, democratico, liberante, equo e giusto? Perché non raccontare una nuova storia, dove l'umana immaginazione possa trasformare l'impero del soldo nella civiltà della convivenza e della sororità e fraternità universali?
Sono domande urgenti, perché dalla pandemia del XX secolo usciremo vittoriosi o sconfitti non se torneremo quelli che eravamo un anno fa, ma se ci incammineremo su una strada completamente nuova.

venerdì 11 dicembre 2020

Ferdinando Laurenti, un piccolo grande Uomo

 

E' stato sepolto ieri nel cimitero della sua amata Bagnarola Fernando Laurenti, semplicemente "un uomo". Vorrei ricordare la sua vita extra-ordinaria, cioè letteralmente fuori dall'ordinario. E' stato un amico più fedele di quanto io non sia stato per lui, ma sono certo che - in modo misterioso ma reale - continuiamo a camminare insieme. Da poche persone nella mia vita ho imparato tanto e nella famiglia che gli ha dato l'unica "Casa" della sua esistenza ho visto il rarissimo miracolo dell'autentica Fraternità. Abbiamo scritto insieme le parole che seguono, alcuni anni fa.  Dovevano essere l'inizio di un libro, nel quale raccontare una storia di tanto buio e di immensa luce, di tristezza e di gioia, di solitudine e amicizia. Sono rimaste invece solo l'introduzione a una trasmissione radiofonica su RadioRai dove Fernando - così l'ho sempre chiamato - si è raccontato suscitando le lacrime e il sorriso anche della brava regista e dei tecnici di studio.

“In questo momento per la prima volta apro la porta di un appartamento con una chiave mia”. E’ il 17 novembre 2003, Ferdinando ha più di sessant’anni gran parte dei quali trascorsi senza una residenza fissa, istituti per orfani, panchine, istituti di pena, treni, prigioni…

Il suo primo ricordo è una stanza d’ospedale, un letto sul quale la madre moriva urlando di dolore e stringendogli con veemenza la mano… Poi la divisione dalle sorelle più grandi e la partenza per il primo orfanotrofio, poi i trasferimenti di casa in casa, Veneto, Toscana, Lazio, fino al ritorno nel natìo Polesine: frati, suore, buone dame di compagnie, giochi poco innocenti, punizioni esemplari, miscela esplosiva di rancore, sorda gratitudine e paure…

E venne il compimento del fatidico sedicesimo anno, fine della permanenza garantita: Ferdinando esce dalla sua casa con il classico sacchetto sulle spalle, un cambio di vestiti, i soldi per un panino e la raccomandazione di rigare dritto. Sì, ma dove andare?

I primi giorni della nuova vita trascorrono su una panchina in un parco comunale, come stanza da bagno il pubblico wc e – primo di una lunga serie di periodi - come tetto la volta stellata. Tra chi lo vede c’è chi fa finta di niente, chi avvisa impotenti forze dell’ordine, chi si scandalizza per il degrado della città. Passano due o tre giorni e poi su quella panchina si siede un signore elegante e gentile, che lo affronta con una domanda precisa: “Vuoi lavorare per me?”

La fame e la necessità di avere in tasca qualche lira hanno contribuito in modo decisivo a dare inizio così a una lunga carriera: piccoli negozi, poi più grandi esercizi commerciali, poi qualche banca… Fino al primo arresto e a quello che una volta veniva definito “manicomio criminale”. Soltanto le parole del protagonista possono comunicare una minima idea di ciò che poteva significare per un ragazzo di vent’anni vivere legati ad un letto, fatti vittime dei più incredibili soprusi.

Dopo il più massacrante periodo tra le case di pena, i momenti di libertà, senza denaro, senza prospettive e senza sostegni: nell’Italia di quegli anni la vita per un uomo che non rientra tra le categorie a rischio di alcoolismo o tossicodipendenza è molto dura, sembra non sia contemplata la possibilità di strade riabilitative dedicate a chi – per un motivo o per l’altro – si è trovato a imboccare vicoli ciechi. In una girandola di incontri – affaristi senza scrupoli, benpensanti da spennare, pingui preti alla ricerca di emozioni a buon mercato, ragazzi fuggiti di casa da istruire sui trucchi e sui rischi di un’esistenza vissuta nelle carrozze delle ferrovie – Ferdinando impara a conoscere l’essere umano nel profondo.

Per periodi più o meno brevi paga il prezzo di una vita raminga sperimentando la residenza in quasi tutte le prigioni italiane, conosce dal di dentro brani importanti della complessa recente storia nazionale; nel periodo degli anni di piombo è vittima di clamorosi errori giudiziari giungendo a provare la stretta al cuore che si produce quando il giudice pronuncia la parola “ergastolo”; con la sua selvatica saggezza e la fuga sistematica in un silenzio introverso diventa autorevole fra i suoi compagni di cella procurandosi amicizie e  protezioni utili alla sopravvivenza nella giungla di relazioni umane fragili quanto il vetro più sottile.

L’ultimo nemico, quello da cui è più difficile fuggire, è la propria coscienza a tratti stanca di lottare: le mura delle case di detenzione sono sempre troppo alte, le umiliazioni ricevute da capi disumani sono troppo frequenti cosicché l gambe si spezzano, le braccia si coprono di tagli, i polmoni respirano aria poco pura. E la disperazione si avvicina, nascosta tra le pieghe di un indomito desiderio di autentica libertà.

Passano gli anni e si avvicina il tempo che per molti coincide con la pensione; contemplando il cielo stellato sdraiato sulla pietra lungo la passeggiata delle mura di Lucca, Ferdinando si domanda inquieto a cosa sta andando incontro, come potrà andare avanti ancora nella sua fuga senza fine, dove trovare i mezzi per poter almeno mangiare. Ancora una volta un uomo gli va vicino, lo risveglia dal torpore; è ben vestito ed elegante, gli dice di non averlo mai visto in quel luogo… Colpito dal portamento della persona non si accorge dell’abbassamento del livello di guardia e per la prima volta Ferdinando si racconta, quasi piangendo, come un figlio che si rifugia tra le braccia di un genitore che credeva scomparso. L’uomo lo saluta con sobria gentilezza e scompare come era arrivato, come risucchiato dalle mura di Lucca. Ferdinando si addormenta felice ed al risveglio da un sonno finalmente profondo trova nella sua tasca una busta con tanti soldi, sufficienti a risolvere il problema del cibo e a consentire di rimettersi in strada. Prima di andarsene vuole ringraziare il suo benefattore, chiede informazioni ma nessuno sa dire chi sia: molti ne avevano sentito parlare come dell’”angelo delle mura”, ma alcuni ritenevano fosse una leggenda metropolitana, altri un misterioso Robin Hood che rubava ai ricchi e restituiva ai miseri, alcuni ancora un ricco eccentrico che ogni tanto regalava una sua notte in albergo al primo povero che incontrava.

Con il contenuto di quella busta raggiunge la Lombardia dove uno dei tanti compagni occasionali di cammino gli offre la possibilità di mettere a frutto una delle sue migliori qualità; fa il cuoco in una casa di riposo fino all’ennesimo scontro con i responsabili e all’inevitabile allontanamento. Ma ormai la sorte sembra aver cambiato il proprio orientamento e con l’espulsione da quell’ennesimo istituto si materializza la proposta di trascorrere un mese in una casa-famiglia di Cordovado: un bellissimo podere bagnato dalla Fontana di Venchiaredo (quella cantata da Ippolito Nievo) dove la legge della convivenza è l’accoglienza illimitata e la faticosa valorizzazione della dignità specifica di ogni persona umana.

Siamo nella primavera del 1998; la stanza laboratorio sul retro della grande casa colonica diventa il quartier generale di una nuova fase esistenziale: per la prima volta qualcuno cerca di aiutare Ferdinando che con il sistema delle borse lavoro si impegna in diversi campi, dalla custodia del cimitero all’aiuto in cucina, dalla pulizia nei bar all’arrotondamento degli spigoli nella vetreria. Un percorso di riabilitazione difficile, caratterizzato da esplosioni di rabbia, fughe incontrollabili, incredibili arresti per pene già precedentemente scontate, perfino il destino dell’omonimia con un ladruncolo della zona...

Cammino difficile, ma non impossibile, se è vero che si conclude cinque anni dopo, con l’assegnazione di un appartamento dell’edilizia popolare. La storia non finisce con un “visse felice e contento”: il carattere temprato da decenni di diffidenza e di paura deve fare i conti con le quotidiane costrizioni dell’ordinarietà; resta tuttavia la dimostrazione che un altro mondo è possibile, anche qui e ora, anche per un uomo relativamente avanti con gli anni che ha avuto la forza di cercare e la fortuna di trovare il bandolo della matassa esistenziale.

martedì 8 dicembre 2020

Lidia Menapace, grazie di cuore!

Lidia Menapace (foto Andrea Fregonese)
Lidia Menapace è stata una straordinaria donna, impegnata su tutti i campi del servizio all'autentica umanità. Il suo percorso, condiviso con tanti coetanei, dalla Resistenza al fascismo al Cattolicesimo sociale, dalla Democrazia Cristiana ai Cristiani per il Socialismo, dai movimenti per i diritti civili a Rifondazione Comunista, costituisce già di per se stesso una sintesi della storia del secondo dopoguerra italiano.

Sempre in prima fila nelle rivendicazioni finalizzate a rendere l'Italia una Nazione più equa, solidale, laica e resistente contro ogni forma di dittatura, la si ricorda anche presente in tutte le grandi manifestazioni per la pace e la giustizia che si sono tenute negli ultimi decenni. Con un entusiasmo impressionante e con una parola sempre avvincente, ha saputo infondere sapienza e coraggio a chi ha condiviso gli stessi ideali, dimostrando tra l'altro come l'impegno e il servizio al bene e ai beni comuni non ha età.

Si è scritto molto in questi giorni per ricordarla. Qui solo poche parole, sintetizzate in un convinto "grazie di cuore!" 

sabato 5 dicembre 2020

La via della vergogna. Un "Avvenire" da non perdere!

Il giornalista Nello Scavo
Se si uniscono l'intelligenza e l'umanità di un giornalista con la libertà di un giornale sempre molto informato, soprattutto sugli eventi internazionali, si può incontrare un numero di quotidiano come "Avvenire" di oggi.

Il titolo cubitale della prima pagina, La via della vergogna, aiuta a comprendere da subito di che cosa si tratti. E' la rotta balcanica, seguita nell'ultimo quinquennio da centinaia di migliaia di persone che - provenendo nei primi tempi soprattutto dalla Siria, poi da Pakistan, Afghanistan ma anche dal resto del Medio Oriente e del Nord Africa - hanno camminato per mesi per raggiungere il territorio della speranza, i Paesi dell'Unione europea.

Dopo gli accordi con Turchia e Grecia, che hanno portato alla realizzazione di enormi campi di concentramento, in particolare nel retroterra turco e nelle isole greche di Samos e Lesbo, la frontiera dell'Unione è stata chiusa. Decine di migliaia di profughi sono rimasti bloccati nella punta settentrionale della Bosnia, soprattutto nelle zone di confine di Bihac e Velika Kladusa. E' di questi campi che scrive Nello Scavo, non raccontando purtroppo cose nuove, ma eventi che si stanno ripetendo almeno da tre anni, per lo più ignorati dai media italiani ed europei. Si racconta il disperato tentativo di uomini, donne e bambini di attraversare la frontiera con la Croazia, il ritrovamento da parte delle guardie confinarie e il respingimento in Bosnia, non senza un dose terribile di violenze e torture, delle quali i corpi martoriati sono testimonianza ormai inconfutabile. Qualche intervento al Parlamento Europeo, proteste vibranti di associazioni di volontariato e meno eclatanti da parte degli organismi internazionali, hanno evidenziato una vergogna assoluta, ciò che sta accadendo ai confini tra Bosnia e Croazia non è il frutto della cattiveria di qualche poliziotto fuori controllo, ma è volontà politica dei Paesi dell'Unione che affidano ai croati il "lavoro sporco" della repressione.

Il "campo" di Postojna

Ma Nello Scavo va oltre e descrive una situazione ancora più coinvolgente le nostre coscienze. Tra i tanti che ci provano, alcuni riescono a superare lo sbarramento. Dopo aver investito tutto ciò che avevano riversandolo nelle tasche delle mafie internazionali che agiscono ovunque indisturbate, i profughi attraversano di nascosto le colline e le montagne e giungono in Slovenia. Se vengono rintracciati, finiscono nei corrispettivi dei "nostri" Centri per il rimpatrio (CPR), costretti in situazioni drammatiche, al di là di qualsiasi garanzia di rispetto dei diritti umani. Se ne è parlato anche in questo blog, descrivendo una manifestazione davanti al "campo" di Postojna. Dopo breve soggiorno, il loro destino è quello di essere quanto prima caricati sulle corriere e "restituiti" alla Croazia e alla Bosnia.

C'è chi riesce ad arrivare in Italia, solo in questo 2020 qualche migliaio di persone. In forza dell'interpretazione di un accordo del lontano 1996, cancellato di fatto dall'ingresso della Slovenia nell'Unione europea, molti di questi nuovi arrivati, provati da mesi di cammino, di rischi e di ogni sorta di difficoltà, vengono "restituiti" (si dice proprio così) alla Slovenia. Nello Scavo denuncia tale pratica, sostenendo che la polizia che opera tali reali respingimenti sa benissimo a quale destino i profughi sono destinati: Slovenia, Croazia, tortura, Bosnia e poi probabilmente, ritorno a casa, privi di qualsiasi risorsa vitale, derubata da più o meno legalizzati ladri patentati.

Ecco, è la via della speranza per coloro che la percorrono rischiando la vita per cercare un futuro sostenibile. E' la via della vergogna per gli abitanti dell'Europa opulenta, incapaci di intendere e di volere, chiusi gli occhi e il cuore all'accoglienza di chi vorrebbe condividere con un "nuovo mondo" idee, percorsi esistenziali e spirituali, storie di sofferenza e di realizzazione, momenti che caratterizzano semplicemente e umilmente il nostro semplice sentirci tutte e tutti "umani".

Non perdete Avvenire di oggi, 5 dicembre 2020!

venerdì 4 dicembre 2020

Lo Spirito dei Piedi, una chiacchierata nel Mercoledisagio su facebook

Per chi ha qualche minuto da trascorrere, ascoltando qualche riflessione sul tema che offre il titolo a questo blog, si propone una bella chiacchierata fra Andrea Antoni e Andrea Bellavite, trasmessa su facebook dall'emittente della  Mutua di Assistenza del Credito Cooperativo (MACC): https://m.facebook.com/maccstaranzano/?locale2=it_IT

martedì 1 dicembre 2020

In attesa del nuovo dpcm. Ci si ricorderà dei "congiunti"?

Come previsto, è iniziata la girandola di notizie relative ai contenuti del prossimo dpcm, previsto per giovedì 3 dicembre. I giornali cacciano le indiscrezioni e filtrano decisioni, offerte come certe, in realtà tutte ancora da verificare. Si tornerà tutti in zona gialla, ci sarà o non ci sarà la Messa di Mezzanotte (a Mezzanotte?), come la si mette con il cenone di Natale, a che ora si chiuderà tutto a Capodanno, si potrà sciare oppure no? Anche se all'apparenza sembrano domande banali, dalle risposte dipende probabilmente l'andamento della tremenda pandemia, sicuramente la situazione economica di centinaia di migliaia di persone che vivono dell'indotto del turismo e che vedono la possibile evaporazione degli affari nel periodo più importante dell'anno.

Si comprende quindi la prudenza del Governo, stretto tra la necessità di salvaguardare la salute di tutti e quella di garantire il diritto al lavoro, tra le pressioni dei sanitari e le categorie imprenditoriali, tra la responsabilità di indicare prospettive di ordine nazionale e le esigenze rivendicate con forza dalle singole regioni. Non volendo quindi aggiungere nulla alla ridda delle previsioni, si vuole segnalare un aspetto della questione molto richiamato e poco preso in considerazione, forse anche perché di fatto privo di risvolti commerciali come quelli implicati negli interrogativi che si rincorrono.

I motivi che, previa autocertificazione, consentono il superamento dei confini (tra regioni di colore diverso, tra comuni nelle zone rosse e arancioni, tra Stati nazionali, ecc.) sono essenzialmente il lavoro e la salute. Non sono compresi gli affetti stabili, in particolare le relazioni di coppia consolidate. D'accordo, non è semplice definire cosa si intenda con il concetto di "stabilità", in assenza di legami formalizzati. Tuttavia il divieto generalizzato a due persone che si amano e vivono in realtà geografiche o in Stati diversi, non ha alcuna giustificazione. Il loro incontro non può essere definito un assembramento, anzi potrebbe essere un incentivo a starsene a casa a godersi qualche momento di rara reciproca compagnia. Per questo, l'auspicio è che ci si ricordi dei "congiunti geograficamente separati", per evitare che il divieto sistematico e prolungato si trasformi in una forma di vera e propria violenza psicologica. 

Un discorso parallelo andrebbe proposto anche relativamente alla situazione delle persone anziane che abitano sole, non tanto nelle case di riposo o di soggiorno, dove c'è un oggettivo pericolo di contagio e in ogni caso non dovrebbero esserci situazioni di abbandono. La privazione sistematica della visita di un figlio o - in assenza - di un parente stretto, per hi vive in solitudine, è un aiuto indispensabile all'equilibrio esistenziale.