lunedì 28 aprile 2025

Roma senza Papa...

Per la Chiesa cattolica, il periodo della “vacanza” è quello che intercorre fra la morte o dimissione di un vescovo di Roma e l’elezione del successore. E’ un momento molto particolare, nel quale si rincorrono le voci e impazza il totopapa. Difficile è esimersi dal commentare e dal provare qualche tentativo di analisi, a livello più giornalistico che di approfondimento della fede.

Una volta terminate le solenni esequie, si comincia anche ad affrontare un’analisi meno immediatamente coinvolta delle azioni e delle parole dello scomparso, anche per cogliere gli elementi essenziali dell’eredità affidata a colui che ne prenderà il posto. L’entusiasmo quasi unanime che ha accompagnato la morte e i funerali di Francesco è la cifra dalla quale partire per comprendere meglio ciò che in quest’ultimo decennio è accaduto.

Dai media sono scaturiti fiumi di espressioni colme di retorica, dal papa degli umili a quello degli ultimi, da quello della gioia a quello della pace. Ma quanto ha inciso veramente il suo magistero, nel mondo e nella Chiesa?

Sicuramente è stato più amato fuori dalle cerchie ecclesiastiche che al loro interno. Aiutato da un sostegno mediatico “laico” superiore a quello riservato a qualsiasi altro predecessore, ha sicuramente potuto sottolineare con forza alcuni gangli vitali del mondo contemporaneo. Ha parlato di pace e di trattativa come ineliminabile strumento per risolvere la guerra in Ucraina, anche se dal punto di vista pratico i suoi sforzi – mediati dalle infruttuose missioni del cardinale Zuppi – non hanno ottenuto nemmeno l’appoggio dei cattolici ucraini. Ha denunciato con chiarezza il “crimine” e il “terrorismo” degli attacchi israeliani contro la Striscia di Gaza, arrivando vicino a pronunciare la parola “genocidio”. Non si è mai stancato di parlare a favore dei migranti e all’obbligo dell’accoglienza e dell’assistenza, anche in questo caso ottenendo giustamente grande simpatia da parte di chi fa salti mortali per salvare le vite nel Mediterraneo e nei Balcani. Ma anche in questo caso non ha ricevuto in cambio altro che imbarazzate ma quasi amichevoli pacche sulle spalle da sindaci e governanti nazionali e internazionali, pronti a saltare sul suo carro prima ancora della sepoltura. Si è pronunciato molto sulla necessità che gli Stati garantiscano i fondamentali diritti alla vita, alla libertà e alla giustizia sociale, proponendo un alto magistero, forse un po’ indebolito dal suo essere, al pari dei suoi collocutori, un Capo di Stato. E di uno Stato assai importante, crocevia di problematiche economiche, politiche e culturali tutt’altro che trascendenti. Hanno destato molta attenzione le sue encicliche, prime fra tutte la Laudato sii e Fratelli tutti, piene di forti raccomandazioni riservate alla custodia del creato e alla fraternità e sororità universali. Anche in questo caso, le sue proposte hanno suscitato molto più consenso che dissenso, senza che per questo divenissero spunto di studio a livello accademico internazionale, orientamento scientifico sul quale improntare le scelte planetarie dei prossimi decenni e secoli. La reiterata denuncia dei produttori e dei venditori di armi – convenzionali e di distruzione di massa - non è arrivata fino al punto di chiedere la distruzione di tutti gli arsenali esistenti e la riforma degli statuti delle Nazioni Unite. E forse per questo in piazza san Pietro l’altro giorno c’erano molti rappresentanti di tante Nazioni, iperintrallazzate proprio con gli interessi legati al commercio degli strumenti di morte. Molto apprezzato è stato anche l’interesse attivo e costruttivo nei confronti dei più deboli della terra, anche questo tuttavia accompagnato dalla difficoltà di trasformare una Chiesa cattolica straricca, proprietaria di beni mobili e immobili giganteschi, in quella che Francesco avrebbe voluto come “Chiesa povera tra i poveri”. In sintesi, le parole programmatiche pronunciate sull’aereo, al ritorno da uno dei tanti viaggi intercontinentali e riferite a tutt’altro contesto, possono rilevare la forza e la debolezza di questo pontificato, dal punto di vista della politica estera: “voglio una chiesa senza banca vaticana”? Il che vuole dire affascinante e simpatetico nuovo modo di guardare a un mondo post e ultramoderno in evidente difficoltà, ma anche potrebbe voler rilevare l’impotenza nel voler affrontare e superare le dinamiche più complesse.

E qui si entra nel secondo capitolo, quello relativo alla partecipazione interna alla vita della Chiesa cattolica. Anche se ora quasi tutti osannanti, molti sono coloro che negli ultimi anni hanno espresso dubbi sulla conduzione “ecclesiastica” di papa Francesco. C’è stata un crescente critica tradizionalista, da destra, relativa più agli atteggiamenti che alle deliberazioni della santa sede. Si è rilevato come la semplicità estrema dei gesti simbolici papali – dalla famosa valigetta portata in aereo senza portaborse alle utilitarie (pur scortate da cortei di auto blu) – abbia messo in pericolo il concetto di sovranità e di infallibilità attribuiti al capo della Chiesa dal Concilio Vaticano I. Si è fatto presente il vero e proprio rovesciamenti di interesse accaduto dopo la repentina dimissione di Ratzinger: se il vecchio Benedetto XVI sottolineava l’importanza prioritaria della fedeltà alla Verità custodita autorevolmente dalla Chiesa cattolica, il suo successore fin dal dialogo con Eugenio Scalfari ha manifestato la sua simpatia per la relazione con l’altro, condizione previa a qualsiasi imposizione dogmatica. Se per il secondo c’erano i principi non negoziabili legati al concetto medievale di “natura”, per Francesco era evidentemente molto più importante non negoziare i temi legati alla pace, allo sfruttamento dei poveri e al rifiuto dell’accoglienza dei migranti. Se per Benedetto XVI, ispiratore della Dominus Jesus di Wojtyla, il cristianesimo ere l’unica via per un pieno rapporto con il divino, per Bergoglio ogni religione, a determinate condizioni, è una strada per arrivare a Dio. E così via, con mille altri possibili esempi. D’altra parte, anche se in misura minoritaria, c’erano anche i contestatori progressisti, da sinistra, che rimproveravano al papa l’incapacità o la mancanza di volontà nel trasformare le grandi intuizioni preannunciate attraverso le scelte personali in normativa di diritto canonico, in grado di rivoluzionare realmente e fino in fondo la Chiesa cattolica. Non si è arrivati ad affrontare e avviare una riflessione sul sacerdozio cattolico femminile, sulle tematiche legate al celibato obbligatorio per i ministri ordinati, neppure perfino alla liberalizzazione della comunione per i fedeli divorziati risposati. E non si possono passare sotto silenzio anche alcuni motivi concreti di imbarazzo e perplessità, in particolare – per citarne solo due – le ritrosie nel portare finalmente a piena luce le incredibili zone di buio del caso Emanuela Orlandi e le sostanziali ambiguità espresse di fronte all’imbarazzante caso Rupnik, addirittura con il mancato ascolto delle donne coinvolte negli abusi da esse denunciati. Comunque, dando uno sguardo positivo all’insieme di un pontificato che ha avuto senz’altro molte più luci che ombre, si potrebbe dire che la posizione di Francesco indicherebbe una strada radicalmente nuova, quella di un cristianesimo “federale”, di una considerazione egalitaria della relazione con le religioni e di un rispetto profondo e dialogante con le nuove istanze dell’ateismo moderno. Francesco avrebbe voluto arrivare fino a questo punto? O forse, si è limitato a suggerire sommessamente la via, lasciando le scelte ai suoi successori, rendendosi conto che una simile Riforma avrebbe richiesto lo smantellamento del Potere della cattolicità nel mondo attuale, la revisione dell’esistenza stessa della Città del Vaticano, la perdita di prestigio e privilegio in numerosi Paesi del mondo capitalista?

A parte il manipolo di poveri che hanno atteso la salma di Francesco a Santa Maria Maggiore, i funerali di piazza san Pietro e l’attesa frenetica del nuovo Conclave e dei suoi secolari rituali, sembrano per ora riportare l’orologio della Chiesa cattolica al momento delle scelte precedenti. La grande maggioranza di cardinali scelti da Bergoglio induce a immaginare un nuovo papa non troppo distante dai “desiderata” del “transitato”. Tuttavia la difficoltà starà nel decidere se appunto radicalizzare le posizioni di Francesco e creare le condizioni per una nuova Chiesa, finalmente, dopo più di 1700 anni post-costantiniana, con annesso possibile scisma dei tradizionalisti. Oppure cercare una soluzione di mediazione, attraverso una diplomazia in grado di ricostruire ponti e relazioni con chi in questi anni ha storto il naso, rischiando però l’intiepidimento e la delusione di coloro che in questi dieci e più anni, hanno comunque sentito il papa “vicino” alle ong sulle navi del Mediterraneo, ai migranti rinchiusi nei Centri per il Rimpatrio, agli obiettori di coscienza e al mondo ecologista. Ai tantissimi cioè che – in questi giorni di distacco – hanno detto quasi sempre le stesse parole: “io non sono credente e non mi sono mai interessati agli affari della Chiesa, ma rispetto come grande essere umano la figura e l’opera di papa Bergoglio”.

venerdì 25 aprile 2025

Buon 25 aprile 2025! La Resistenza, patrimonio dell'umanità

Monumento ai caduti partigiani, sloveni e italiani, nel cimitero di Nova Oselica

 Degli orrori del nazismo e del fascismo ci sono infinite tragiche memorie ovunque. In questo 25 aprile, ottanta anni dopo, si è chiamati a ricordare i valori della Resistenza, soprattutto il sacrificio di coloro che hanno rischiato e perso la vita nella lotta per la Liberazione.

L'opposizione al fascismo nel Regno d'Italia è stata opera di politici e intellettuali illuminati - come Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci e molti altri. In forma organizzata è iniziata con l'azione di cittadini italiani di nazionalità slovena, che hanno combattuto già dall'inizio del secondo decennio del Novecento per difendere la lingua, la cultura e la coscienza del popolo sloveno. Tra loro ci sono i fondatori del movimento TIGR, fondato nel 1927 nella riunione sul Monte Nanos. Tra essi sono da ricordare i giovani di Basovizza e quelli di Opicina, fucilati dai fascisti a Basovizza e a Opicina, dopo i due processi farsa di Trieste. Non è stato attribuito loro il titolo di eroi dell'antifascismo, l'Italia li ricorda ancora come "terroristi", nonostante l'omaggio congiunto dei presidenti Pahor e Mattarella di tre anni fa. Ci sono anche tanti altri caduti, prima ancora dello scoppio della guerra, il mite musicista e maestro di coro Lojze Bratuž, trascinato via dalla messa del 27 dicembre 1937, costretto a bere olio di ricino mescolato con olio di motore e morto un paio di mesi dopo, con tremendi dolori, nell'ospedale di Gorizia. Anche la moglie, la poetessa Ljubka Šorli, è costretta all'arresto, alla tortura e all'internamento.

Sono da ricordare anche coloro - partigiane e partigiani - che hanno disertato dall'esercito italiano prima dell'8 settembre 1943, per militare nelle formazioni dell'esercito di liberazione jugoslavo, come pure quelli che - a partire dalla battaglia di Gorizia - sono entrati nei movimenti della Garibaldi e dell'Osoppo per combattere contro l'occupatore nazi-fascista nei quasi due anni successivi.

Della loro vita sui monti rimangono tanti segni che non devono essere semplicemente trattati come una sorta di archeologia moderna. Sono invece testimonianze estremamente vive dell'orrore che può scaturire dalla dimenticanza dei valori umani, come pure dell'eroismo di chi ha cancellato quell'orrore combattendo contro eserciti dalle forze preponderanti. I luoghi che ricordano gli stermini di massa e quelli che raccontano l'epopea partigiana dovrebbero essere valorizzati come patrimonio immateriale, ma anche monumentale, dell'intera umanità.

Celebriamo questo 25 aprile 2025 con un particolare invito alla vigilanza. Il razzismo, la xenofobia, la mancanza di rispetto per i valori culturali, religiosi, filosofici, sembrano essere tornati fuori dai sotterranei della storia. C'è da preoccuparsi per la risorgente nostalgia per le epoche oscure delle dittature, per la rinascente venefica voglia di menare le mani, a livello interpersonale e internazionale. 

La stessa strumentalizzazione incarnata nella decisione dei cinque giorni di lutto - in un Paese sedicente laico! - per la morte di papa Francesco sembra andare nella direzione della deprivazione dell'importanza della ricorrenza del 25 aprile. Celebrarlo nel migliore dei modi è invece, per coloro che lo desiderano, la forma più adeguata per ricordare un uomo che ha dedicato una parte cospicua del suo magistero alla pace, al disarmo, all'accoglienza dei migranti, alla scelta dei poveri e alla giustizia sociale.

lunedì 21 aprile 2025

Grazie Francesco!

 

Nella luce sfolgorante della Pasqua appena celebrata, la notizia tanto temuta quanto purtroppo da tempo attesa. 

Dopo Francesco, nulla sarà come prima.

Il "buon giorno" si è sentito fin dalle prime parole del nuovo Papa, quando ha salutato nel modo più quotidiano la folla che attendeva la sua uscita sul balcone di San Pietro, subito dopo l'elezione.

Dal punto di vista umano, è stato un vescovo di Roma profondamente inserito nelle dinamiche del mondo attuale, con scelte dirompenti proprio a causa della loro normalità. Un papa che viaggia con l'utilitaria, che porta la sua valigetta salendo le scale per entrare nell'aereo, che telefona ai genitori affranti per la morte di una figlio, che abbraccia i personaggi più lontani dalla Chiesa... Tante sono le immagini che si rincorrono pensando a questa decina di anni di assai originale e avvincente pontificato.

E' molto importante tuttavia cogliere l'importanza dei segni "personali". Non c'è più il "pontifex" dal sapore imperiale, nemmeno il "vicario di Cristo" o il "santo padre". C'è un uomo che con la sua debolezza e fragilità guida l'organismo di una Chiesa che non pretende più di essere l'unica depositaria della Verità. C'è un costruttore di pace, instancabile nel contestare la guerra, la produzione e il commercio delle armi, come pure l'egoismo dei ricchi che non accolgono e respingono coloro che bussano alle porte dei Paesi dell'opulenza, cercando rifugio, pane e speranza di futuro. C'è un teologo che rilegge il Vangelo nelle dinamiche dello spazio e del tempo, con accenti nuovi che privilegiano la verità della relazione con l'altro piuttosto che quella del dogma. C'è una persona in dialogo con tutti, che riconosce il pluralismo religioso come un grande valore e contempla in esso il disegno di un Dio che appartiene a ciascuno ma non può essere strumentalizzato da nessuno.

Con il suo esempio Francesco ha permesso di intravvedere una nuova Chiesa, riscoprendo le fondamenta antiche dei primi secoli piuttosto che i fasti di potere che l'hanno caratterizzata da Costantino in poi. Entrano in discussione dogmi consolidati, dall'infallibilità del papa all'unicità della salvezza in Cristo, dal senso e forma del ruolo sacramentale del ministero ordinato alla valorizzazione della libertà di coscienza, dall'autorevolezza dell'interpretazione magisteriale della Scrittura alla partecipazione di ogni essere umano alla realizzazione di una Chiesa non più settaria, ma confederata con le altre confessioni e religioni per la comune costruzione della nuova civiltà dell'amore.

Non può mancare ora una riflessione sul prossimo futuro. Che cosa accadrà? Chi sarà il nuovo Papa? Continuerà sulla via di una Riforma che per ora si è manifestata soltanto nella buona volontà e nella chiara intenzione di Francesco? I fermenti di contrarietà che si sono moltiplicati in questi ultimi anni - soprattutto negli ambienti tradizionalisti, ma anche in quelli progressisti che si sarebbero attesi svolte operative più concrete - esploderanno dentro il conclave? Vincerà la linea "bergogliana", sicuramente numericamente maggioritaria? In questo caso, l'eletto, oltre che seguire le orme del predecessore, convocherà l'attesissimo nuovo Concilio per dare alle intuizioni intravviste forma e normativa definitive? Oppure ci si deve aspettare un movimento di riflusso, magari giustificato dalla necessità di evitare un inevitabile scisma? O ancora, si vorrà prendere tempo scegliendo la classica figura di "transizione"?.

E' in ogni caso un'eredità complessa e delicata, soprattutto tenendo conto dell'urgenza di tempi nei quali si fanno sempre più numerosi i sinistri segnali della minaccia della guerra e dell'involuzione dell'umanità in una società senza diritti, alla mercé del più forte di turno. 

Quella di Francesco è stata in questo periodo senz'altro una delle poche voci autorevoli capaci di richiamare la necessità della pace, del disarmo e della fraternità universale. Il Mondo si risveglia da questa Pasqua con un senso di ulteriore smarrimento, di incertezza e di paura. Ma forse, il modo migliore per ricordare papa Jorge Mario Bergoglio è quello di assumere la sua proposta giubilare di speranza: non il facile ottimismo dell'incoscienza, ma l'intenso impegno, una vita spesa a contrastare l'odio con l'amore, la vendetta con il perdono, il male con il bene. 

domenica 20 aprile 2025

Velika noč, Pasqua 2025

La parola Pasqua deriva dall’ebraico antico e significa “passaggio”.

E’ uno dei miti fondatori dell’autocoscienza del popolo di Israele, fondato sul racconto biblico dell’Esodo. Secondo la ricostruzione teologica dei sacerdoti del tempio di Gerusalemme, dopo trecento anni di permanenza in Egitto, i discendenti del patriarca Giacobbe sarebbero stati miracolosamente liberati dalla schiavitù. Guidati da Mosè e assistiti dal “loro” Dio, avrebbero provocato una decina di sciagure sui sudditi del faraone, attraversato il Maro Rosso spalancato davanti ai loro occhi increduli e rinchiuso sui carri e cavalli del Potere, trascorso quaranta anni nel deserto del Sinai prima di approdare – non senza conflitti con le popolazioni locali – nella Terra Promessa. Ogni anno il pio israelita rivive tutte queste vicende celebrando il rito della cena pasquale, nel corso della quale non solo “ricorda”, ma anche rende di nuovo presente tutto ciò.

I cristiani si collegano direttamente con l’antico Israele, dal momento che nel corso di una cena pasquale, Gesù avrebbe sostituito il sacrificio dell’agnello con quello della sua stessa vita. Nello stesso tempo, avrebbe indicato nella condivisione del pane e del vino la sua presenza nel tempo e nello spazio. Il rito eucaristico, nelle intenzioni della testimonianza della comunità cristiana della fine del I secolo raccolta nei quattro vangeli, avrebbe quindi lo scopo di rendere di nuovo presente, sotto forma di memoria, l’arresto del Maestro nel Getzemani, la salita al Pretorio, i dialoghi con Ponzio Pilato, gli stracciamenti di vesti di Caifa e dei sacerdoti, la via crucis, la deposizione nel sepolcro e la risurrezione, all’alba del giorno di Pasqua.

Il mito è la narrazione che stabilisce una specifica identità storica, il rito il gesto che lo vivifica nel corso degli anni. Quando il rito perde di intensità o si cristallizza nel formalismo, il mito tende a scomparire dall’orizzonte della storia, così come la dimenticanza del mito, nel tempo trasforma il rito in folklore. E’ ciò che sembra accadere anche al cattolicesimo contemporaneo. La maggior parte dei sedicenti fedeli non conosce più il valore del rito – basti pensare al fatto che una minima percentuale partecipa alla più importante celebrazione dell’anno, quella della notte del sabato santo – di conseguenza non attinge più i criteri etici, estetici e logici dal mito. E’ forse per questo che in un Paese nel quale tuttora la stragrande maggioranza delle persone risulta battezzata e una molto minore percentuale praticante, sorprende il fatto che sia così poco presente la dimensione della Speranza e della Misericordia, valori che dovrebbero derivare direttamente dalla fede in una misteriosa e peraltro creduta reale Risurrezione dalla morte.

Ed è così che proprio da chi dovrebbe realizzare nella propria vita gli ideali del vangelo giunge una clamorosa contro-testimonianza. Se il vangelo presenta un Gesù che predica la nonviolenza assoluta (porgi l’altra guancia…), gli assertori dei “valori cristiani” propongono il riarmo dell’Europa come difesa della sua presunta “identità”. Se il Nazareno mette in discussione ogni forma di Potere, molti neocristiani sono piegati davanti alla potenza del Capitalismo. Se il Maestro abbraccia e accoglie ogni essere umano, i politici che si ispirano alla fede cristiana costruiscono campi di concentramento in Albania e rafforzano le sbarre dei Cpr, dove sono rinchiusi i migranti.

Solo se si affermeranno la pace e la nonviolenza a costo di perdere la propria vita, solo se la giustizia e l’accoglienza trionferanno sugli squallidi interessi economici e pseudopolitici, il rito tornerà a essere significativo e il mito rinnoverà la sua immensa originaria forza vitale.

Buona Pasqua allora!

sabato 19 aprile 2025

Isonzo Soča 119, istruzioni per l'uso, navodila za uporabo

La bellissima copertina, curata da Anton Spazzapan
 Martedì 22 aprile, alle ore 18 presso il Kulturni dom di Gorizia e Lunedì 5 maggio, alle ore 19 presso la Knjigarna Maks di Nova Gorica, sarà presentato il numero 119 di Isonzo Soča.

La rivista, fondata 35 anni fa da Dario Stasi, nel ricordo del suo direttore riprende il suo cammino, caratterizzata da continuità nella testata e nella numerazione, ma anche da alcune novità che vale la pena richiamare. Il pregevole formato cartaceo è accompagnato dal sito internet https://www.isonzo-soca.it/ dove è possibile trovare tutti i testi tradotti in italiano, sloveno, tedesco e inglese. 

La prima importante innovazione sta nel metodo di impostazione e preparazione del giornale. La proprietà è della famiglia Stasi che ha affidato il ruolo editoriale a Transmedia. Tutta la costruzione dell'impianto legale è stata curata da Boris Peric. C'è un direttore responsabile, come previsto dalle leggi italiane sulla stampa ed è il referente di questo blog, Andrea Bellavite di Gorizia. C'è anche un con-direttore, Miha Kosovel di Nova Gorica. 

Ogni numero viene ideato all'interno di un'assemblea generale bilingue, nel corso della quale si individuano i temi principali da trattare. E' da notare la forza comunicativa di un simile metodo, grazie al quale decine di persone rappresentative delle diverse culture di Nova Gorica e Gorizia si incontrano diverse volte nel corso dell'anno per "leggere" insieme le opere e i giorni. Poi una redazione ristretta assegna gli articoli, li raccoglie e prepara la pubblicazione, prevista in quattro numeri all'anno. I collaboratori del n.119 sono numerosi e trattano temi di carattere internazionale o locale. Oltre a giornalisti e opinionisti di grande esperienza e competenza, hanno offerto la loro disponibilità anche valenti disegnatori e fotografi impegnati nel "fissare" - tra gli altri - i momenti salienti dell'Evropska prestolnica kulture. La grafica è curata da Zvone Kukec, professionista di Global, il mensile di Mladina. Una speciale menzione va a Peter Abrami, Katarina Vizintin, Francesca Jancig, Paolo Hmeljak e tanti altri, senza i quali non sarebbe stato possibile giungere alla presente pubblicazione.

E' uno strumento di comunicazione che si propone di informare su tematiche varie, aperto al dialogo e al confronto, ma non superficiale. Ci sono documentate e precise posizioni relativamente ai temi del momento, quali ovviamente le guerre e i genocidi, le manifestazioni dei giovani in varie parti del mondo. Non mancano tematiche relative alle questioni del territorio, dal delicato tema delle memorie, trattato sia dal punto di vista (tradizionale in Isonzo Soča) della rigorosa ricerca storiografica che da quello delle prese di posizione più politiche, come per esempio la mancata cancellazione della cittadinanza onoraria a Mussolini. Non mancano spunti relativi alla cultura locale, dalle riflessioni filosofiche sulla terra di confine alle problematiche ambientali, da un magistrale focus dedicato al ponte di Salcano al flauto dei Neanderthal, tradizioni carnevalesche alle rubriche dedicate a cinema, libri, musica e arte contemporanea, dalla sottolineatura relativa a luoghi e volti del territorio alle iniziative laboratoriali e ai nuovi innovativi musei del Goriziano. C'è anche una pagina satirica con avvincenti vignette, spiritosamente denominata Corno/Koren.    

Un altro aspetto decisivo, last but non least, è la scelta del bilinguismo sloveno/italiano per ciò che concerne gli autori e del plurilinguismo per quanto riguarda i lettori. Ogni scrittore utilizza infatti la propria lingua, ma ogni testo può essere letto in quattro diverse lingue nel già citato sito https://www.isonzo-soca.it/ oppure attraverso un qr code collocato nella pagina dell'indice (pag.3).

Ecco alcuni spunti, di certo nella fretta di scrivere questo post ci si è dimenticati di qualcuno o di qualcosa, nel caso ci si scusa anticipatamente. Ora non resta che ringraziare di cuore ogni partecipante a questa "avventura che continua" e attendere martedì 22 sera per la presentazione ufficiale, alla quale tutte e tutti sono invitati.

venerdì 18 aprile 2025

Veliki petek, venerdì santo nell'anno giubilare

 

Ultima cena siriaca, particolare (coll. personale)
Il racconto evangelico delle ultime ore di amicizia tra Gesù, le sue amiche e i suoi amici, è pieno di espliciti riferimenti alla nonviolenza attiva.

Il gesto della condivisione del pane e del vino, prima della più tarda sacralizzazione, richiama il dono della propria vita "per tutti", come realizzazione della "salvezza" per ogni uomo.

A Pietro e agli apostoli che lo vorrebbero difendere nel Getzemani, il Maestro, curando il soldato colpito, ricorda che "chi di spada ferisce, di spada perisce".

Davanti a Pilato e a Caifa, si rifiuta di reagire alle loro provocazioni, richiama all'intelligenza e all'umanità chi lo percuote, domandandogli: "se ho fatto del male, dimostramelo, se no, perché mi percuoti?"

Nel cammino verso il Golgothà sorride nella sofferenza alla Madre, alla Maddalena e alle altre donne che lo accompagnano, allargando il suo dolore a una dimensione universale.

Sulla croce non invoca l'intervento degli eserciti celesti per sterminare i suoi persecutori, ma pronuncia soltanto parole di perdono: "Perdona loro perché non sanno quello che fanno".

Prolunga la logica delle sue profetiche parole: porgi l'altra guancia, chi vuol salvare la propria vita la perderà, chi la perderà la salverà, solo se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto.

Quanti venerdì santi personali si verificano in questo giorno dell'Anno Domini 2025. 

Quelli che arrivano nelle loro case attraverso parole e immagini ci conducono nella stessa terra di Gesù. Un governo criminale stermina donne e bambini nella Striscia di Gaza, giustificando un vero e proprio genocidio come spropositata reazione ai terribili attentati che hanno strappato la vita a qualche migliaio di giovani inermi.

In Ucraina le bombe russe cadono su ospedali e scuole, altri crocifissi insieme ai soldati russi e ucraini mandati al macello dai rispettivi capi politici, sotto lo sguardo quasi compiaciuto degli Stati Uniti e dell'Unione europea.

In altre parti del mondo i crocifissi sono altrettanti e anche di più, senza neppure l'"onore" di balzare alle cronache internazionali "coperte" da un sistema di comunicazione totalmente miope.

Riecheggiando il titolo del famoso testo di Lenin, ci si chiede "Che fare?"

La prima risposta è quella di imparare dal racconto dei Sinottici e di Giovanni: seguire l'esempio di Gesù, riproposto quasi duemila anni dopo da Gandhi: lasciarsi ferire guardando in volto con misericordia l'offensore piuttosto che colpirlo, morire piuttosto che uccidere, come gli eroi disertori della prima guerra mondiale che si rifiutavano di uscire dalla trincea perché non volevano ammazzare giovani "con il loro stesso identico umore ma con la divisa di un altro colore". La nonviolenza attiva come metodo di affronto delle relazioni internazionali e interpersonali in molte situazioni si è dimostrata più efficace di qualsiasi uso delle armi nei conflitti.

Ma questa risposta non è sufficiente. A livello personale, là dove si decide di pagare di persona la propria scelta, quella della nonviolenza attiva è la più importante e rivoluzionaria delle risposte possibili. Ma quando ci si trova davanti al sistematico uso della forza bruta nei confronti degli altri? Se vedo una persona che colpisce un innocente davanti ai miei occhi, cosa devo fare? Restarmene passivo e non fare nulla per impedirlo non è un atteggiamento accettabile e umano. E se un intero popolo soffre sotto la pressione ingiusta delle scelte politiche di un dittatore del proprio o di un altro popolo, è ancora giusta la scelta della nonviolenza? 

E' una domanda drammatica. Se la sono posta persone di pace come Dietrich Bonhoeffer, che dopo profonda riflessione interiore ha deciso di partecipare all'organizzazione dell'attentato a Hitler. Se la sono posta gli sloveni membri del Tigr, fucilati a Basovizza nel 1930 perché avevano tentato di contestare il disegno di cancellare dalla storia la cultura, la lingua e la storia del popolo sloveno. Se la sono posta tanti partigiani che hanno contribuito a rovesciare il fascismo e il nazismo nel corso della seconda guerra mondiale. E sicuramente se la pongono tanti che vedono i propri cari minacciati dalla forza oscura dei neonazismi e dei neofascismi del nostro tempo. E' sufficiente testimoniare con la propria decisione di essere uccisi piuttosto che uccidere? O in alcuni casi, con grande dolore, è necessario imbracciare il fucile? Ma, se accettiamo questa "triste e tragica necessità", fino a dove possiamo arrivare? Qual è il limite, il confine tra il livello della responsabilità individuale e quello dell'intervento sulla situazione complessiva.

Tutti questi interrogativi dipendono dal fatto che il Novecento non ha di fatto prodotto alcuna soluzione definitiva al problema, la cui unica soluzione possibile sta nell'evitare che si creino le situazioni di conflitto. Facile a dirsi... Ma lo avevano già detto in parte il presidente statunitense Wilson e papa Benedetto XV nel 1917: soppressione di tutti gli arsenali militari, costituzione di un'autentica Società delle Nazioni alla quale i singoli Stati avrebbero dovuto conferire la responsabilità della politica estera e della difesa del Pianeta, la realizzazione degli Stati Uniti del Mondo. Era ed è un'utopia, intesa come "eu-topia", cioè bel luogo e non come realtà impossibile da realizzare. Sono passati più di cento anni e non si è fatto quasi nulla per camminare in questa direzione.

Ed è per questo che anche nel Venerdì santo 2025 ci si trova costretti ancora a distinguere tra il nobile esempio personale, profondamente umano di Gesù sulla croce e la drammatica necessità di tutelare intere popolazioni inermi, minacciate nel loro stesso elementare diritto alla Vita e alla Pace.

martedì 15 aprile 2025

A "Gorici" la visita degli studenti di sloveno nelle università italiane

 

Gli studenti di sloveno al Kulturni dom di Gorizia
Graditissima visita nel Goriziano di una categoria assai particolare di studenti universitari, di tutte le età. Accompagnati dalle insegnanti, gli iscritti ai corsi di sloveno nelle università italiane hanno deciso di dedicare la loro annuale uscita alla Capitale europea della Cultura.

Dopo aver visitato il Trgovski dom di Corso Verdi e la luminosa biblioteca Feigel, lo scorso fine settimana si sono immersi nelle culture che caratterizzano con la loro diversità e mescolanza Gorizia e Nova Gorica. Hanno incontrato tanti personaggi interessanti, visto monumenti storici importanti, conosciuto la peculiarità di una terra dove troppo sangue è stato versato durante le guerre, troppe ingiustizie sono state perpetuate dal fascismo, troppe violenze hanno impedito per tanto tempo di riconoscere la straordinaria bellezza della natura e dall'arte. Hanno goduto della nuova situazione, nella quale il confine non è più una barriera, ma un passaggio, un ponte tra differenti lingue e concezioni della vita che ora si congiungono - o si dovrebbero congiungere - nell'accoglienza della responsabilità affidata dall'Europa.

Da dove sono arrivati professori e studenti? Dove si può studiare in Italia la lingua slovena? Forse a Trieste e a Udine? Vi chiederete coi... Eh sì, a Trieste e a Udine, ma anche a Padova, a Roma e a Napoli dove l'insegnamento dello sloveno è previsto all'Orientale da oltre 110 anni!

C'è da sorridere mestamente, se si pensa che nelle scuole italiane di Gorizia, città nella quale lo sloveno è la lingua di una parte cospicua della popolazione, in stretto rapporto con Nova Gorica, dove quasi tutti lo parlano come lingua madre, non esiste l'opportunità di poter affrontare un corso curricolare adeguato.

Un grande grazie ai corsisti per la loro visita e l'invito a essere di nuovo quanto prima fra noi. Non bastano tre giorni per conoscere e amare questo meraviglioso territorio. Ma in tre giorni se ne può avere un'idea e coltivare il desiderio di ritornare. Najlepša hvala vsem!

domenica 13 aprile 2025

La domenica delle Palme, tra "osanna" di pace e "crocifiggi" di guerra

 

Monumento a Filippo Corridoni, particolare
L'ulivo e la quercia, i simboli della pace e della forza, ricordano molto gli avvenimenti celebrati nella domenica delle Palme.

Secondo i vangeli, Gesù entra trionfalmente in Gerusalemme, acclamato dagli osanna di una folla entusiasta che agita palme e ulivi e stende mantelli sotto gli zoccoli dell'asino da lui cavalcato. Bastano pochi giorni e gli osanna si trasformano nell'urlo "crocifiggilo", il Maestro è impallinato dai sacerdoti, condannato da Pilato e massacrato dalla stessa folla informe che vuole la sua morte.

Quanto rapidamente cambiano gli umori della gente! I milioni di fascisti del 10 giugno 1940 si trasformano in convinti antifascisti il 25 luglio 1943. Dei 150 milioni che nel mondo, il 15 febbraio 2003, hanno sfilato contro la guerra in Iraq ora una buona parte si schiera a favore del riarmo dell'Unione europea, ovviamente - ci mancherebbe altro - in funzione della difesa delle diverse patrie.

Nel giorno dell'innalzamento e del quasi contemporaneo abbassamento di Gesù, mentre nelle chiese ovunque si ripete il rito e si agitano con gioia i rami d'ulivo, le bombe seminano morte a Gaza e in Ucraina, le ghiande cadono dalla quercia, l'ulivo appassisce e la pace sembra veramente molto lontana.

Sembra di essere ancora all'epoca delle caverne, la propria grotta deve essere a ogni costo difesa, costi quel che costi. Poi è il clan a lottare contro l'altro clan, le tribù della Terra si scontrano per conquistare nuovi pascoli, chi è con noi è con noi, chi è contro di noi è contro di noi. Arrivano i popoli, ciascuno crede di essere l'unico e prevale la legge del più forte, pogrom, massacri, genocidi, non hai la mia fede, non sei degno di vivere. E poi le Nazioni che credono di essere più forti e coraggiose delle altre, si sentono più importanti dell'Umanità in quanto tale. C'è sempre bisogno di qualche aggettivo - italiano, tedesco, brasiliano, pakistano, ivoriano... - per far dimenticare che prima di esso c'è sempre la fraternità universale. E ci si scanna, perché la mia Nazione merita di vivere più della tua, perché io sono nato ricco e tu - magari mi dispiace anche per te - sei nato povero e devi restare là da dove vieni. 

Oggi l'irrazionalità è ancora maggiore. Tutti sanno che la guerra arricchisce pochi produttori d'armi e capitalisti senza scrupoli. Tutti lo sanno, ma i più fanno finta di credere ancora alle favole del "mio" Dio, della "mia" Patria e della "mia" famiglia. I primi si sfregano le mani dalla felicità, vedendo il fiume di incassi ingrossarsi ogni giorno di sangue e di denaro. Gli altri chinano la testa e vanno al macello, chiedendosi quanto meno possibile il perché. E l'irrazionalità è ancora maggiore, perché gli strumenti della guerra non sono più clave, lance o rudimentali fucili, bensì armi di distruzione di massa che potrebbero cancellare dal Pianeta ogni forma vivente. Eccetto naturalmente i padroni del vapore che attenderanno nelle segrete stanze dei loro rifugi antiatomici la fine del pericolo delle radiazioni per godersi - i figli dei loro figli - i beni accumulati nell'Oceano della Solitudine.

Insomma, per uscire dalla preistoria occorre superare gli stereotipi della "guerra c'è sempre stata e sempre ci sarà" oppure del funesto "si vis pacem para bellum". L'umanità del XXI secolo saprà scendere dagli alberi e utilizzare l'intelligenza per costruire e non per distruggere, per amare invece che odiare? E i sedicenti discepoli di Gesù - tantissimi - che affollano le chiese e gridano il loro osanna in questo giorno delle Palme, domani saranno con Lui dalla parte dell'intero genere umano o saranno i primi a gridare con convinzione il loro "crocifiggi!"? Cosa grideranno ai Ponzio Pilato, ai Caifa, ai Cesare Augusto del nostro tempo e di ogni tempo?

martedì 1 aprile 2025

Davide Gandini e Robert Bahčič ad Aquileia

 

Di questo libro e di molto altro parleremo venerdì 4 aprile, alle ore 20.30 nella meravigliosa Basilica di Aquileia, nel corso della seconda conferenza dell'Iter Goritiense, nell'ambito del Festival dei Cammini, insieme a Davide Gandini e a pater Robert Bahčič. Un evento assolutamente da non perdere!

Decisi di andare a percorrere il Cammino di Santiago dopo aver letto la prima edizione del Portico della Gloria. Correva l'anno 2005 e quell'esperienza fu una delle più importanti della mia vita. Fui contento del mio mese nel nord della Spagna, accompagnato dalle stelle della via Lattea e dalle suggestioni del grande Luis Bunuel. Incontrai una miriade di persone interessanti, scoprii la misteriosa unità nella diversità dell'Europa in marcia, presi decisioni fondamentali per la mia vita.

Fui anche contento di aver conosciuto, poco tempo dopo, Davide Gandini. Nei suoi occhi pieni di un ardore semplice e accogliente ho incontrato la luce della "Charis", la grazia che viene dall'alto e si comunica attraverso l'incontro con l'altro. Nella sua voce ho ascoltato la sapienza che scaturisce dalla contemplazione dell'essere e nei suoi scritti ho ritrovato la passione indomita per l'umano, quella che non ci impone l'obiettivo irrazionale della perfezione, ma suggerisce la dolce consapevolezza della fedeltà.

Il "cammino" di Davide non è il classico diario quotidiano, anche se i luoghi e i rapporti non mancano e non possono certamente essere relegati a semplice sfondo di un'umana avventura. E' tuttavia dominante il percorso interiore, quello che ogni viandante sperimenta, anche se non sempre riesce a comunicare. Perché i 4 km/h, a differenza dei 120 o degli 850, sono pieni di colori e di profumi, ma soprattutto di volti e di mani che si stringono, di abbracci e di sorrisi. Lo spazio ritrovato e il tempo rivissuto sono le categorie dell'"homo viator", dove la scoperta più straordinaria è quella di sé stessi. Non si è più naufraghi su una pallina che rotea senza meta apparente nella periferia della più piccola fra le miliardi di Galassie, ma si è persone che portano un messaggio che sconfina nell'eterno e nell'infinito.