mercoledì 24 aprile 2024

25 aprile 1945 - 2024: un augurio e qualche riflessione

Buon 25 aprile. Come ogni anno, sono indispensabili la memoria del passato, l'analisi del presente e la prospettiva per il futuro. Propongo alcune riflessioni, per un necessario confronto. Il testo è lungo e la lettura richiede tempo e pazienza. Un pensiero grato a tutte e tutti coloro che hanno dato la loro vita per la nostra libertà.

Celebriamo oggi la Festa della Liberazione. Celebrare, etimologicamente, significa compiere un atto che prevede il concorso di molta gente. Una festa, parola che proviene sempre dal latino, significa momento di gioia, di profonda letizia. Il concetto di Liberazione deriva dal verbo latino libet, che significa “mi piace”, sono contento perché posso agire secondo il mio desiderio. E, in quanto tale, è il contrario di schiavitù, che significa proprio non essere in grado di poter agire secondo la propria volontà.

Dunque, siamo qua in tanti a gioire insieme perché possiamo vivere in un contesto nel quale siamo liberi di pensare, parlare e agire in modo corrispondente al nostro desiderio.

Ogni festa si colloca sempre in un presente, sospeso tra un passato che la giustifica e un futuro che da essa viene in qualche modo significato.

Per quanto riguarda il passato, la festa della Liberazione è la riproposizione del racconto di ciò che ha dato fondamento e stabilità a quasi 80 anni di storia italiana. Ci si riferisce anzitutto alle partigiane e ai partigiani, che con il loro sacrificio hanno riscattato la vergogna di un’Italia umiliata e vilipesa dal criminale miscuglio di violenza, razzismo e guerra nel quale Mussolini e il regime fascista l’hanno trascinata. Sono donne e uomini che, in particolare dopo l’8 settembre 1943, hanno impegnato la loro vita e spesso versato il sangue, per affiancare chi già stava combattendo contro il nazifascismo e spalancare alle generazioni successive la strada della democrazia, della giustizia e della libertà.

Ogni anno il 25 aprile, data simbolica legata all’insurrezione di Milano, nelle città e nei paesi la gente si incontra per rinverdire il ricordo della Resistenza, ma anche per ribadire la necessità che l’antifascismo sia esplicitamente riaffermato. Il no al fascismo deve essere proclamato con forza, non soltanto come contrasto a un determinato sistema di potere, ma soprattutto a una mentalità che si sta purtroppo diffondendo in modo subdolo e sottile anche tra le pieghe delle istituzioni, attraverso un perverso negazionismo che tende a confinare in un remoto passato ciò che invece da un momento all’altro potrebbe di nuovo manifestarsi. Non si può negare che i riti legati al 25 aprile, nel corso degli anni e soprattutto in Italia, si siano generalmente un po’ appassiti. Da una parte la progressiva scomparsa dei protagonisti della Resistenza ha indebolito l’efficacia di un messaggio particolarmente avvincente, quando trasmesso attraverso la testimonianza diretta. Dall’altra una ventata di revisionismo storico ha portato a idealizzare una falsa idea di riconciliazione, tentando di equiparare perniciosamente vittime e oppressori.

Per quanto riguarda il presente, ci sarebbe quest’anno davvero poca voglia di festeggiare. La festa della nostra Liberazione che coincide con la memoria della fine della seconda guerra mondiale, cade in un momento nel quale la schiavitù e la guerra sembrano parlare con una voce più alta che mai. E’ la schiavitù della fame, dell’analfabetismo, della miseria che attanaglia quattro quinti dell’umanità e che costringe milioni di donne, uomini e bambini a mettersi in cammino alla ricerca di un possibile futuro. Ricevono in cambio ovunque – anche nel nostro sedicente civile Paese - porte chiuse in faccia, respingimenti, reclusioni negli orribili centri per il rimpatrio, veri e propri lager come quello a noi geograficamente vicino di Gradisca. E’ la guerra che si combatte nel mondo da sempre – si parla di circa quaranta conflitti combattuti nel mondo, accompagnati per lo più dal generale silenzio dei media – e che ora ci preoccupa perché sentiamo più vicine le inutili stragi tra Russia e Ucraina, gli attentati sanguinosi di Hamas, il genocidio perpetrato da Israele nei confronti dei palestinesi di Gaza.

Come far sì allora che la festa della Liberazione torni a essere sentita come lo era un tempo? Come far parlare le ragioni dell’antifascismo nell’attuale preoccupante situazione planetaria. Provo a delineare alcune proposte concrete, certamente non scontate e offerte a una discussione che non è mai senza se e senza ma, ma che sempre ci impone di scegliere da che parte stare.

Per rinverdire la forza della festa, è bene dare uno sguardo ai nostri vicini, che ancora la celebrano e vivono con grande intensità, probabilmente perché le conseguenze del fascismo le hanno sperimentate prima di qualsiasi altro movimento di resistenza europeo, a partire dall’incendio del Narodni dom di Trieste nel luglio 1920 e ininterrottamente fino al 1945.  Oltre vent’anni di esplicita persecuzione e cinque di tragedie belliche, hanno lasciato una traccia che è ancora profonda nell’animo delle genti della Primorska e della Benečija. I cori delle comunità slovene, che nel ventennio fascista sono stati spazi di aggregazione e di clandestina libertà, continuano a suscitare emozioni. Le parole hanno lo spessore speciale di chi per tanto tempo è stato maltrattato soltanto perché reclamava il diritto di parlare la propria lingua, al punto da subire, insieme a una vera e propria forma di schiavitù, anche il vilipendio dei propri cognomi e dei nomi dei paesi d’origine. Imparando da loro e più in generale dallo spirito che ha animato in origine la lotta per la Liberazione Jugoslava, con i sogni di unità nella diversità che avevano animato la conferenza di Jajce alla fine di novembre 1943, occorre avere il coraggio della memoria e delle memorie, da difendere anche dai ripetuti tentativi di cancellarla o trasformarla. 

Mi domando, pensando a quell’esperienza che in quella fase iniziale univa comunisti, socialisti, cattolici, ortodossi, protestanti, ebrei e musulmani, non si potrebbe forse rilanciare la conoscenza dei luoghi e delle gesta della lotta di Liberazione, proponendo magari che quell’epopea sia riconosciuta come patrimonio unesco immateriale dell’umanità? Non si possono far cadere nell’oblio i monumenti che ricordano i caduti per la Libertà, gli ospedali partigiani di Franja e di Pavla, le tipografie nascoste tra boschi impenetrabili! Sono segni di un eroismo del quale anche oggi si ha bisogno, per combattere le risorgenti nostalgie neofasciste che sembrano prendere sempre più forza un po’ ovunque.

Per quanto riguarda i diritti dei migranti, occorre aderire con convinzione ai progetti di accoglienza diffusa dei richiedenti asilo che funzionano bene, anzi molto bene, come posso testimoniare avendo realizzato un importante progetto sprar nel periodo in cui sono stato sindaco ad Aiello del Friuli. Portare la presa in carico di piccoli gruppi di persone in seno ai Comuni, con l’aiuto di enti competenti preposti all’azione, significa costruire percorsi di reciproca conoscenza, efficace sostegno e piena integrazione costruttiva tra i nuovi venuti e i residenti storici, in un circolo virtuoso capace di far crescere la comunità civile in modo armonico e, oserei dire, entusiasmante. Non basta dire che si è d’accordo con un umano trattamento delle persone. E’ necessario aderire agli strumenti di liberazione e di coinvolgimento che – un tempo chiamati appunto sprar – oggi portano il nome di Sai, Servizi di Accoglienza e Integrazione.

Riguardo alle guerre, anche qua fare memoria della festa della Liberazione significa ribadire il ripudio della guerra, in tutte le sue forme e dimensioni. La Giornata odierna ci invita a non proclamare sterili invocazioni a una pax generica e insostenibile, ma ad adoperarci in tutti i modi perché immediatamente cessi il fuoco ovunque. Cessi in Ucraina, dove, dopo due anni caratterizzati da decine di migliaia di soldati e civili uccisi, sembra che ci si trovi ancora al punto di partenza. L’Unione europea e gli Stati Uniti sembrano finora non aver trovato nessuna altra strada di soluzione che non fosse l’invio di micidiali armi, la cui conseguenza è stata soltanto quella di un prolungamento a tempo indeterminato del conflitto. E’ urgente che si ascoltino le parole dei pochi saggi che, come papa Francesco, continuano a proporre il negoziato come unica arma in grado di far vincere la guerra alle povere vittime e no agli squallidi interessi dei vari protagonisti di questo tragico teatrino.

Lo stesso vale – a maggior ragione – per il terribile massacro di Gaza. Non si tratta certo di criminalizzare l’ebraismo, al contrario è proprio un antidoto al veleno funesto dell’antisemitismo dichiarare che ciò che sta accadendo a Gaza è inaccettabile. Il carico immane di sofferenza che scaturisce dalla morte di decine di migliaia di persone inermi, tra le quali tantissimi bambini, non può essere né giustificato né compreso, neppure alla luce degli esecrabili attentati di Hamas contro giovani colpevoli solo di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento sbagliato. Tacciano subito le armi, vengano rilasciati tutti gli ostaggi, cessi immediatamente il bombardamento sistematico e anche qua, una volta per tutte, ci si sieda intorno al tavolo delle trattative per trovare insieme, con la forza dell’intelligenza e della diplomazia, il bandolo per districare l’aggrovigliata matassa. E’ urgente farlo, ma senza le armi, la cui produzione, vendita e utilizzo fanno sorridere una manciata di approfittatori e getta nel dolore interi popoli.

Rinverdire la Festa della Liberazione significa ritrovare la forza e la convinzione di chi non si sente impotente, di chi crede che è ancora possibile cambiare registro, di chi pensa che l’essere umano ha tutte le potenzialità per trasformare le lance in falci, la vendetta in perdono, la violenza in autentica pace. Abbiamo tutto il diritto e anche il dovere di affermarlo in una terra che per tanti anni ha visto scorrere fiumi di sangue sulle nostre colline e montagne, ma ora si appresta a diventare addirittura capitale europea della Cultura. Dedichiamo ai partigiani sloveni e italiani questo straordinario onore che l’Europa riserva a Nova Gorica con Gorizia e tutti i comuni vicini. Lo dedichiamo a loro, perché siamo certi che sia questa cultura dell’amicizia, della reciproca comprensione, della valorizzazione delle diversità, l’obiettivo che si prefiggevano quando combattevano e quando morivano per tutti e per ciascuno di noi.

Viva la Resistenza, vivano i partigiani, vivano la giustizia, la pace e la libertà.

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